Il vino nel contenitore

Ciò che conta, prima di tutto, è che non vengano rilasciati contaminanti alla bevanda. Poi, non meno importante è il mantenimento delle caratteristiche chimico-composizionali e organolettiche. Tutto quel che serve sapere in uno studio intorno al contributo del sistema di confezionamento alla conservabilità di un vino

Gianpaolo Andrich

Il vino nel contenitore

In accordo alle norme vigenti sulla sicurezza alimentare perché un materiale possa essere posto a contatto diretto con un alimento non deve rilasciare dei contaminanti che possano inquinare il prodotto conservato specie se questi composti risultino o siano sospettati di essere dannosi per la salute umana.

La capacità di mantenere il più possibile inalterate nel tempo le caratteristiche chimico-composizionali e organolettiche del prodotto conservato, costituiscono un successivo criterio di valutazione che guiderà la scelta del sistema di confezionamento più idoneo da utilizzare durante la commercializzazione di una specifica derrata alimentare.

La tradizionale confezione impiegata nella commercializzazione del vino è la bottiglia in vetro da 750 ml (bottiglia bordolese) chiusa con un turacciolo di sughero e munita di capsula, ma, a fronte dell’immissione sul mercato di nuovi materiali e contenitori, è ancora oggi il sistema di confezionamento più idoneo per questo prodotto?

Allo scopo di trovare una risposta a questa domanda, è stata attivata presso il Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa, una sperimentazione che prevedeva di confezionare lo stesso vino utilizzando diversi contenitori per valutarne l’evoluzione con il tempo di conservazione così da determinare la capacità del contenitore esaminato a preservarne il più possibile inalterate le caratteristiche chimico-composizionali e organolettiche.

Tra tutte le trasformazioni che possono decorrere in un vino durante la sua conservazione è l’ossidazione a promuoverne le più rappresentative trasformazioni riducendo le concentrazioni dei componenti più sensibili che tendono a reagire con l’ossigeno permeato attraverso il contenitore impiegato nel suo confezionamento.

Ma a fronte di vini che risultano più sensibili ai processi ossidativi perché contraddistinti da una limitata presenza di composti ad attività antiossidante essendo stati vinificati evitando il contatto con la frazione solida dell’uva e quindi in assenza o in presenza di una ridotta macerazione, ve ne sono altri più ricchi in antiossidanti che tollerano meglio il contato con l’ossigeno trovandone spesso un giovamento e che vedono quindi nella macerazione una fase fondamentale del loro processo di vinificazione.

Nel corso di questa sperimentazione sono stati utilizzati:

1. quattro vini caratterizzati da una diversificata sensibilità all’ossidazione ottenuti utilizzando uvaggi e tecnologie di vinificazione differenti, in particolare è stato impiegato un vino:

– bianco ottenuto in assenza di macerazione (vinificazione in bianco) a partire da uve a bacca bianca e caratterizzato da una limitata presenza di componenti ad attività antiossidante e quindi particolarmente sensibile ai processi ossidativi;

– rosè ottenuto a partire da uve a bacca rossa e ricorrendo a una ridottissima macerazione e quindi caratterizzato da una ridotta presenza di antiossidanti;

– rosso tipo novello, ottenuto da uve a bacca rossa, che evidenziava una contenuta presenza di componenti antiossidanti;

– rosso strutturato da maturazione derivante da una macerazione protratta nel tempo di uve a bacca rossa. Prodotto caratterizzato da una consistente presenza di componenti antiossidanti;

2. tre diversi contenitori:

– bag in box da 3 e da 20 litri;
- tetra brik da 0.25 e da 1 litro;
- bottiglie di vetro da 0.375 e da 0.75 litri, chiuse con:

– turaccioli di sughero muniti o meno della capsula e mantenuti in posizione verticale o coricata;

– tappo di materiale polimerico (una delle più utilizzate tra le diverse opzioni disponibili sul mercato);

– tappo a corona;

– tappo a vite (stelvin).

3. tre temperature di conservazione: 
- ambiente (≈ 20°C);
- frigoconservazione (4°C);
- trasporto in condizioni estreme (40°C);

4. dieci determinazioni analitiche per descrivere l’evoluzione dei vini con il tempo di conservazione;

5. dieci tempi di campionamento (0, 2, 4, 6, 8, 10, 12, 18, 24*, 48* mesi; * solo per il vino rosso strutturato da maturazione). 


Per la valutazione dei dati sperimentali raccolti è stata impiegata una metodologia cinetica innovativa che ha permesso di individuare tra i dieci parametri composizionali analizzati quelli più sensibili ai processi ossidativi e quindi in grado di descrivere compiutamente l’evoluzione ossidativa del vino considerato al variare del contenitore e delle condizioni sperimentali adottate. In particolare la diversificata sensibilità all’ossidazione dimostrata da uno stesso vino al variare del contenitore impiegato e delle condizioni operative utilizzate è stata espressa da un unico parametro cinetico (la velocità iniziale di ossidazione). 
Pur evidenziando sensibilità all’ossidazione molto diverse, i quattro vini hanno forniti risultati del tutto sovrapponibili individuando per i vari contenitori analizzati, sequenze di permeabilità all’ossigeno del tutto analoghe.
Al diminuire del volume del contenitore utilizzato tende ad aumentare il rapporto che intercorre tra la superficie esposta al trasferimento di materia (O2) e il volume del vino in questo contenuto.


Per quanto riguarda l’effetto indotto dalla variazione di volumetria a parità di tipologia di contenitore impiegato, sono il bag in box e il tetra brik a risentire di più della contrazione di volume e quindi dell’incremento di superficie esposta per unità di prodotto contenuto. Più il materiale con cui il sistema di chiusura è stato realizzato, oppone un’efficace resistenza al trasferimento di materia, meno la contrazione del volume del contenitore induce un sensibile incremento nell’ossidabilità del vino in queste contenuto (bottiglie di vetro).
Per cui l’ossigeno dell’aria tende a permeare all’interno del tetra brik e del bag in box attraverso la superficie del contenitore contrariamente a quello che accade nelle bottiglie di vetro dove l’ossigeno diffonde quasi esclusivamente attraverso il sistema di tappatura. Inoltre, come era lecito attendersi la velocità di ossidazione del vino tende a diminuire con la temperatura.

Dal confronto dei dati ottenuti analizzando i diversi sistemi di confezionamento esaminati, è il “bag in box” a presentare i risultati peggiori (maggiore permeabilità all’aria esterna) mantenendo saldamente e costantemente l’ultima posizione. Questo giustifica il limitato tempo per la conservazione di un vino (1 anno suggerito dagli stessi produttori di questi contenitori), anche se la permeabilità all’ossigeno sembrerebbe sensibilmente ridursi al diminuire della temperatura.

I contenitori realizzati in “tetra brik” hanno evidenziato una sensibile resistenza alla diffusione dell’ossigeno ma comunque inferiore a quella offerta dal vetro.
Poiché evidenzia la più ridotta permeazione dell’ossigeno, il vetro, quando munito di chiusure adeguate (turacciolo di sughero, tappo a corona o vite), appare il contenitore più adatto a preservare il vino dall’ossidazione.

L’impiego della capsula e la posizione orizzontale o verticale assunta dalla bottiglia durante la sua conservazione, giocano un ruolo tutt’altro che secondario nell’influenzare la tenuta della chiusura e sono quindi in grado di alterare sensibilmente la permeabilità all’aria.
Sulla base dei risultati prodotti nel corso di questa sperimentazione, è possibile affermare che è la bottiglia di vetro munita di turacciolo di sughero, di capsula e conservata in posizione orizzontale a presentare la minor permeabilità all’aria preservando così il vino in questa conservato dai processi ossidativi. Per cui è ancora oggi la tradizionale bottiglia di vetro chiusa con un idoneo turacciolo di sughero ad assicurare al vino la miglior conservazione nel tempo.

Si ringrazia Assovetro. La foto di apertura è di Olio Officina

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