Corso Italia 7

Rivista internazionale di Letteratura – International Journal of Literature
Diretta da Daniela Marcheschi

Anche “Corso Italia 7” ricorda con affetto e stima Rosalia Cavalieri

La notizia ci ha lasciato sgomenti. La prematura scomparsa della studiosa messinese di filosofia e teoria dei linguaggi ci spinge a leggere (o rileggere) l'intera sua opera. Abbiamo sempre seguito con grande attenzione il suo lavoro, ne proponiamo uno stralcio, dal titolo "L’impero della vista", tratto da un più ampio saggio pubblicato dal nostro editore, Olio Officina

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Anche “Corso Italia 7” ricorda con affetto e stima Rosalia Cavalieri

Ci spiace moltissimo aver saputo della scomparsa di Rosalia Cavalieri (1965-2025), per ricordarla riportiamo un brano tratto dal saggio “Gustare a distanza: la fruizione visiva del cibo”, pubblicato nel 2017 su Olio Officina Almanacco, dove è anche possibile attingere alla ricca bibliografia. “L’occhio – si legge – vuole la sua parte, sebbene a nutrirlo e ad appagarlo non sia il cibo nella sua materialità, quanto piuttosto la sua immagine, il suo mostrarsi, il bello da vedere ancor più che il buono da mangiare”.

Rosalia Cavalieri è stata professore ordinario di Filosofia e teoria dei linguaggi presso l’Università di Messina, ed è autrice di oltre cinquanta di saggi e di numerosi volumi tra cui: Breve introduzione alla biologia del linguaggio (Editori Riuniti, 2006), Il naso intelligente. Che cosa ci dicono gli odori (Laterza, 2009) e Gusto. Lintelligenza del palato (Laterza, 2011). Per il Mulino ha pubblicato Parlare, segnare. Introduzione alla fisiologia e alla patologia delle lingue verbali e dei segni (con Donata Chiricò, 2005), E luomo inventò i sapori. Storia naturale del gusto (2014), La passione del gusto. Quando il cibo diventa piacere (2016) e Gastronomia consapevoleIstruzioni per l’uso (il Mulino, 2020).

Per le edizioni Olio Officina ha pubblicato I sensi e la lingua dell’olio. Appunti per un degustatore amatoriale (2018) e Suoni in cucina. Il matrimonio tra musica e cibo (2024).

 

L’impero della vista

Le società umane, e quelle occidentali in particolare, «sono caratterizzate da un’ipertrofia dell’occhio» (Le Breton 2006, p. 31), il senso dominante nel nostro universo percettivo. Considerato fin dall’antichità classica il senso nobile per eccellenza, il più intellettuale (a partire dalla gerarchia dei sensi proposta da Aristotele: Del senso e dei sensibili, 436b-437a; Metafisica, 980a), la vista si è configurata per noi umani come la fonte di conoscenze più certe, affidabili e oggettive e anche il senso più stimolato nel nostro rapporto con il mondo, in virtù della sua distanza dall’oggetto percepito, considerata quest’ultima un vantaggio sul piano cognitivo, estetico e morale. Sempre al centro delle nostre attività sociali, individuali, intellettuali e pratiche, gli occhi, a torto o a ragione, si sono conquistati nel corso dei millenni il primato indiscusso su tutti gli altri sensi, testimoniato anche dalla quantità di termini, letterali e metaforici riferiti all’attività del vedere di cui abbonda il nostro linguaggio. «Vedere – osserva l’antropologo sensoriale David Le Breton – è la via necessaria per giungere al riconoscimento. Una terminologia di tipo visivo ordina le modalità del pensiero nelle diverse lingue europee» (2006, pp. 45-6). Ed espressioni di uso comune come “vedere per credere”, “non vedere al di là del proprio naso”, “balzare agli occhi”, “tenere d’occhio” qualcuno o qualcosa, “non vederci chiaro”, “mettere in chiaro”, “vedere con i propri occhi”, chiedere a qualcuno “come vede una certa cosa”, “averne viste tante”, “ vedersi perduto”, “non dare nell’occhio”, “rifarsi gli occhi”, “essersela vista brutta”, “vedere lontano”, “aprire gli occhi”, “chiudere un occhio”, “piantare gli occhi addosso a qualcuno”, “avere le bende sugli occhi” o “gli occhi foderati di prosciutto”, “leggere negli occhi”, “essere un pugno in un occhio”, “vederci doppio”, “mangiare con gli occhi”, dire a qualcuno “vedi un po’ tu”, “non vederci per la fame”, “schizzare veleno dagli occhi”, “vedersi in una descrizione”, “lasciarci gli occhi”, “fare gli occhi dolci”, sono comunemente associate alla conoscenza, alla comprensione, all’attenzione, alla chiarezza, alla certezza, alla previsione, alla capacità di controllo, alle emozioni e ai desideri, riflettendo in tutti i casi una modalità di rappresentazione mentale ampiamente improntata sul senso della vista, una proiezione all’esterno di un modo di pensare al mondo e di interpretarlo prettamente visivo.

L’era dell’informazione prima, quella delle immagini e dei media poi, e per ultima in ordine di tempo l’era digitale, hanno contribuito potentemente a rafforzare il primato indiscusso della vista, consacrandone definitivamente la supremazia su tutti gli altri sensi e caratterizzandoci come una specie “visiva” anche sul piano culturale. Tutto questo non poteva non influenzare anche il nostro rapporto con l’attività più antica, più istintiva e necessaria da una parte, e più elaborata, culturalizzata e consapevolmente goduta dall’altra: ovvero il nostro rapporto con il cibo. L’occhio vuole la sua parte anche in questo caso, sebbene a nutrirlo e ad appagarlo non sia il cibo nella sua materialità, quanto piuttosto la sua immagine, il suo mostrarsi, il bello da vedere ancor più che il buono da mangiare.

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