Corso Italia 7

Rivista internazionale di Letteratura – International Journal of Literature
Diretta da Daniela Marcheschi

Animali e immaginario nel mondo antico

Ritornare ai classici. In molte religioni l'animale è in rapporto strettissimo con il mondo divino. Può essere esso stesso una divinità, oppure esserne il simbolo e costituirne una sorta di materializzazione agli occhi degli uomini. Legata a quella religiosa è anche la dimensione mitica: il patrimonio del mito classico ha tramandato storie e leggende innumerevoli che hanno per protagoniste figure di animali. Conoscere questi ultimi significa, per certi versi, acquisire gli elementi necessari per capire il mondo

Anna Ferrari

Animali e immaginario nel mondo antico

I. Aspetti religiosi e mitologici del mondo animale

Paradisi, animali e mondo naturale: approcci possibili a un tema complesso

In un grande numero di tradizioni religiose del mondo antico il paradiso è rappresentato come il luogo incantato nel quale, in un paesaggio sereno e fiorente, il lupo e l’agnello vivono l’uno accanto all’altro in perfetta armonia. Il paradiso deriva il suo nome, come attesta per primo Senofonte, dall’antico persiano, dove il termine indicava le ampie aree recintate all’interno delle quali, per la gioia dei sovrani, erano allestiti splendidi parchi popolati di animali selvatici che i ricchi ospiti del re si dilettavano a cacciare. Erano ricostruzioni, squisitamente artificiali, della natura incontaminata e perfetta del mondo delle origini, benché destinati, nella pratica, a macchiarsi del sangue dei cruenti svaghi dei signori locali. I paradisi persiani divennero ben presto il sinonimo di qualsiasi luogo dalla natura idilliaca e perfetta: quindi il paradiso nel senso moderno del termine, sia che esso fosse proiettato nel remotissimo passato della storia dell’uomo, sia che fosse immaginato come il destino futuro dell’umanità, età dell’oro non più ricuperabile o  eden destinato, dopo la morte, al singolo che se lo sappia meritare.

Il paradiso è popolato da creature animali che convivono pacificamente. Questa concezione è comune a molte culture, da quella biblica a quella islamica, ed è interessante: non soltanto per gli aspetti di serenità e di pace che essa sottende, ma perché indica in modo inequivocabile che l’idea della beatitudine è associata, in un modo o nell’altro, con la natura, della quale gli animali sono una parte importante. Una simile concezione del paradiso può aprire spiragli significativi per capire il ruolo della natura, e in modo più specifico del mondo animale, nelle diverse culture del mondo occidentale e del Vicino Oriente tra antichità e Medioevo.

Tali spiragli, e gli approcci che essi consentono, sono numerosi.

C’è in primo luogo l’aspetto religioso: in molte religioni l’animale è in rapporto strettissimo con il mondo divino. Può essere esso stesso una divinità, come avviene in certe figure di animali totemici, o in certe divinità dell’antico Egitto; oppure essere il simbolo di una divinità e costituirne una sorta di materializzazione agli occhi degli uomini, come nel caso della civetta sacra ad Atena, in Grecia; o ancora rappresentare una vittima da offrire agli dei in sacrificio, e allora, come sappiamo soprattutto per il mondo greco e romano, ogni divinità avrà la sua vittima preferita. Nel cristianesimo gli animali hanno un ruolo fondamentale nella simbologia religiosa delle origini (Cristo come agnello, il simbolo del pesce, ecc.) e parallelamente allo sviluppo della tradizione agiografica diventano elementi caratterizzanti dell’iconografia di molte figure di santi.

Legata a quella religiosa è anche la dimensione mitica: il patrimonio del mito classico ha tramandato storie e leggende innumerevoli che hanno per protagoniste figure di animali in un modo o nell’altro legati a vicende di dei ed eroi. Eracle, nella mitologia greca e romana, è in svariate occasioni alle prese con animali più o meno mostruosi, di potenza straordinaria, che è suo compito riuscire a debellare. Dalle culture orientali i greci hanno ereditato e accolto nel loro patrimonio mitico un gran numero di figure animalesche che costituiscono in realtà non reali immagini di animali esistenti in natura, ma ibridi mostruosi che simboleggiano la ferinità e le forze più oscure della natura, che è compito dell’uomo, e della ragione, imparare a dominare. Sono i centauri, il mostruoso cane Cerbero, la Chimera, i grifoni, le sirene e le altre numerose creature composite, nelle quali talvolta si fondono più animali diversi. Ma la mitologia non ci parla solo di animali mostruosi o nefasti per l’uomo: il cane Argo, fedelissimo compagno, un tempo, di Ulisse, è una figura indimenticabile di animale affezionato e fedele al suo padrone; la capretta Amaltea è l’affidabile  nutrice del piccolo Zeus in fasce nelle caverne del monte Ida a Creta; e i racconti delle metamorfosi ovidiane pullulano di piccole creature del mondo quotidiano, dai ragni agli uccelli, colte con vivacità e freschezza nelle loro caratteristiche.

Ci accostiamo così a un altro approccio possibile: giacché parallela alla dimensione mitica corre quella favolistica. Iracconti di Esopo e Fedro, eleggendo a protagoniste figure di animali, le caricano di significati morali, contribuendo a caratterizzare, anche per i secoli successivi, i diversi personaggi animaleschi. Un approccio molto interessante al mondo animale è poi quello offerto dalla storia dell’arte: immagini di animali sono frequenti in tutte le culture e offrono uno spaccato di estremo interesse per rendersi conto delle conoscenze naturalistiche degli artisti e del conto in cui gli animali erano tenuti nella società.

Gli animali nelle culture antiche e nella tradizione popolare possono poi essere esaminati anche dal punto di vista delle conoscenze scientifiche, che possono abbracciare tanto le meticolose osservazioni sulla vita degli animali di un Aristotele quanto le competenze basate sull’esperienza della tradizione popolare.

In tutte le culture, però, gli animali sono per prima cosa un pilastro fondamentale della vita economica. A partire dalle pitture preistoriche delle caverne, dove sono riprodotte le immagini degli animali oggetto della caccia dell’uomo primitivo, gli animali sono cacciati, allevati, offrono cibo, aiuto per i lavori agricoli, pelle e lana per la confezione di abiti, mezzi di trasporto, supporto per la guerra.

Tanto nell’antichità quanto nel Medioevo, poi, ma con particolare enfasi nel mondo romano, gli animali sono uno strumento di pubblico intrattenimento nelle cacce imperiali come nei giochi del circo.

E per finire non mancano, neppure nell’antichità e nel Medioevo, animali da compagnia, con i quali non di rado i padroni intessono rapporti di autentico affetto: lo testimonia un ricco patrimonio di immagini, mute ma non per questo meno efficaci, come una commovente stele funeraria di una fanciulla greca dell’età classica, rappresentata nell’atto di accomiatarsi per sempre da una colomba; o le numerose raffigurazioni di cagnolini dipinti in scene medioevali accanto alle dame. Per non parlare delle testimonianze letterarie che in ogni epoca confermano lo sbocciare di rapporti affettivi teneri e profondi tra l’uomo e l’animale.

A ciascuno degli approcci qui elencati proveremo a riservare qualche considerazione che, pur limitata a fronte di un campo di per sé vastissimo, ci permetta però di inquadrare nel suo complesso il problema del rapporto tra uomo e animali nel mondo antico. E, per questa via, ci aiuti anche a capire che cosa è cambiato e che cosa è rimasto nella natura di tale rapporto nella società contemporanea.

Gli animali nella religione classica

Il rapporto che unisce gli animali alla sfera religiosa è complesso. La più antica testimonianza di un’associazione tra animali e rituale magico-religioso è stata solitamente individuata nelle pitture preistoriche delle caverne occidentali, dalla Dordogna ai Pirenei: i nomi di Rouffignac, Lascaux, Altamira e molti altri evocano l’immagine di profondità ctonie dipinte dai nostri ignoti antenati del Paleolitico con immagini di bisonti, mammut, cervi e altri esemplari della fauna di quell’epoca remota.

Davanti alle scoperte di documenti così straordinari per antichità, livello tecnico, freschezza espressiva, il problema è quello di proporre un’interpretazione del significato di dipinti e incisioni in cui  gli animali, riprodotti con stupefacente fedeltà al vero e spirito d’osservazione, hanno un ruolo preminente. Una delle ipotesi formulate che ha suscitato più interesse, ma anche più acceso dibattito, è quella del valore magico-religioso delle pitture dell’arte animalistica del Paleolitico. Si tratterebbe, in altre parole, di rievocazioni di scene di caccia a scopo propiziatorio.

La fauna oggetto di quotidiani inseguimenti per garantire ai gruppi umani la sopravvivenza sarebbe stata cioè rappresentata – qualche volta anche con realistiche riproduzioni di lance e frecce – per evocare battute dall’esito favorevole, a scopo beneaugurante. La raffigurazione dell’abbattimento di un bisonte doveva in qualche modo anticipare la reale cattura di un animale. Un mondo dipinto, parallelo a quello reale, doveva prefigurarne gli eventi. Oppure – il che significa, a ben guardare, la stessa cosa – una mandria dipinta doveva reduplicare in qualche modo una mandria reale, sostituirsi ad essa, rimpiazzare i capi abbattuti nella realtà, perché la selvaggina non venisse mai a mancare.

Da questa visione del ruolo delle pitture nelle caverne si ricavò la nota interpretazione dell’artista preistorico come mago, capace di anticipare con la potenza della sua arte gli eventi della realtà; e si trassero delle conclusioni di tipo sociologico, sottolineando la complessità già notevole di una società solo apparentemente primitiva, che poteva permettersi – e anzi riteneva fondamentale assicurarsi – la presenza di un artista al proprio servizio, che sottraeva le sue forze alla caccia attiva per dedicarsi a una funzione magico-rituale di estrema importanza per la sopravvivenza del gruppo.

Altre interpretazioni individuavano nelle pitture preistoriche un atteggiamento simile a quello che ancora in epoche recenti gli antropologi americani hanno riscontrato presso talune popolazioni indigene di Indiani d’America: l’uccisione dell’animale nella battuta di caccia, pur indispensabile per la sopravvivenza, viene sentita tuttavia come una forma di violenza alla natura o alla divinità, alla quale è necessario offrire un compenso, in forma di sacrificio, di rituale religioso sulle spoglie della preda, e analogamente forse anche di pittura nelle cavità di una grotta.

Indipendentemente dalle molte interpretazioni possibili, tutti gli studiosi sembrano concordare per lo meno sull’attribuzione delle pitture preistoriche con scene animali a una dimensione magico-sacrale, comunque la si voglia poi più dettagliatamente definire e spiegare. Creando così, fin dagli albori della storia umana, un legame singolarmente intenso tra la dimensione divina e quella del mondo animale.

Il nesso sembrò ancora più chiaramente espresso dal fenomeno del totemismo, interpretato come una forma di religione in sé. La venerazione verso l’animale totemico presso molte popolazioni primitive sembrò, alla luce delle teorie evoluzionistiche, un antecedente della credenza in divinità antropomorfiche; e in questo modo vennero interpretati aspetti della religiosità degli Egizi e dei Greci primitivi, dove la fede in animali venerati come dei, quella in animali totemici e la credenza in dei dalle forme animalesche vennero viste come fasi di passaggio verso il culto di divinità antropomorfe più evolute. Questa convinzione poteva portare a conseguenze dalle implicazioni esplosive: per esempio, l’identificazione del dio con la vittima del sacrificio che al dio stesso veniva offerta presentava affinità sorprendenti con la teologia cristiana del sacrificio della Messa.

Sarebbe tuttavia semplicistico accomunare tra loro concezioni così diverse come quella di una divinità teriomorfa – di una divinità, cioè, chiamata, descritta, rappresentata e venerata in forma animale -, di un animale reale fatto oggetto di culto come divinità, e ancora degli animali come simboli di divinità. Ognuno di questi modi d’intendere il divino ha caratteristiche sue proprie e comporta, nei confronti dell’animale, un atteggiamento diverso.

Mentre in alcune civiltà del Vicino Oriente (per esempio l’Egitto) è possibile riscontrare la vera e propria identificazione di un animale con un dio (l’animale viene cioè venerato come dio in sé stesso, e non come simbolo di un’altra divinità), un atteggiamento del genere è ignoto alla tradizione classica. Il mondo greco, e più tardi quello romano, accostano in vario modo gli animali al mondo divino, ma fin dove ci portano le nostre conoscenze non è possibile giungere a riconoscere una vera e propria identificazione di animale e divinità.

Semmai, alle origini del mondo classico è possibile intuire la presenza di divinità teriomorfe, forse importate dalle religioni orientali, che in età classica e nelle nostre fonti hanno ormai perduto quasi completamente traccia della loro parvenza animalesca: delle loro più antiche fattezze rimangono solo echi pallidissimi, in qualche epiteto o in qualche vago accenno iconografico, del quale però molto probabilmente già gli antichi avevano perso la nozione esatta. Un caso tipico in questo senso è quello di Era, la divina sposa di Zeus, che ancora nei poemi omerici è accompagnata qualche volta dall’epiteto “dagli occhi di vacca” (analogo può essere il caso di Atena “dagli occhi di civetta”).

Il più “animalesco” degli dei è forse Dioniso, che a Cizico veniva venerato sotto spoglie di toro e che nell’iconografia, talvolta, di un toro ha appunto le corna. Tutti questi riferimenti, tuttavia, che in un ambiente come quello egizio o quello di altre civiltà del Vicino Oriente non avrebbero suscitato alcuna perplessità o esitazione, nel mondo greco classico tendono a venir lasciati sullo sfondo, perché vengono sentiti come scarsamente compatibili con l’immagine pubblica del divino.

Non mancano però in tutta l’età classica costanti riferimenti ad animali sacri: sono sacri di per sé stessi, ma soprattutto in quanto simboli di particolari divinità antropomorfe. Proviamo ad elencare qualche esempio.

Il toro, che appare in una posizione preminente in tutta la tradizione mitica e religiosa greca, è (a prescindere dai suoi legami con Dioniso, già ricordati)  l’animale sacro a Zeus ma anche a Poseidone: tutto il complesso insieme di racconti mitici ambientati a Creta prendono le mosse dal giorno in cui Zeus, assunte le sembianze di un toro, sedusse Europa e generò da lei la stirpe di Minosse, il re di Creta. Il toro torna non senza inquietanti ambiguità nella storia cretese: è la vittima che deve essere immolata ogni anno a Poseidone, dio delle acque e protettore dell’isola, ma quando Minosse una volta evita il sacrificio esso diventa portatore di sventura per la stirpe del sovrano.

Sarà il toro del quale si innamorerà Pasifae e dal quale nascerà il Minotauro, mostro appunto per metà toro e per metà uomo; e sarà, forse, lo stesso toro con il quale si batterà Teseo nella piana di Maratona, dove l’animale scampato al sacrificio devasterà la regione finché sarà debellato da un eroe. Ma sarà anche il toro con il quale combatterà Eracle nel corso di una delle sue dodici fatiche, che è ricordata appunto dalle fonti non come la lotta contro un toro qualsiasi, ma espressamente contro il toro cretese. Il toro rimane, in tutta la tradizione classica, animale di tutto rispetto nei sacrifici.

La sua mole imponente e la sua furia terribile costituiranno elementi sufficienti per fargli fiorire intorno molte leggende e per farlo apparire come la vittima più nobile che si possa offrire a un dio: il quale sarà, di solito, il re degli dei, oppure Poseidone. Molto più tardi, durante l’impero romano, quando le truppe dell’urbe verranno a contatto con tradizioni e culture d’impronta orientale, il toro ricomparirà con prepotenza nei culti misterici facenti capo a Mitra, tra le cui imprese si annovera appunto l’uccisione di un toro, simbolicamente riprodotta anche nei mitrei romani.

Nella tradizione della lotta contro il toro è evidentemente adombrato un evento centrale nella storia del cammino dell’umanità, quello dell’addomesticamento dell’animale selvaggio e della sua riduzione in cattività: è il momento d’inizio della vita sedentaria, in cui l’animale non è più preda che fugge ma bene prezioso da accudire e far vivere più a lungo possibile. Di quel momento drammatico, in cui l’animale da nemico diventa amico, rimase per lunghissimo tempo il ricordo; e forse le molteplici competizioni di tauromachia che sembrano nate proprio sul suolo cretese, che sono riprodotte in diverse opere d’arte del periodo minoico e che forse hanno lasciato una traccia duratura nelle corride dei nostri giorni non sono altro che la drammatizzazione di un rito di antichissima origine che rievocava, per l’appunto, quella primitiva fondamentale domesticazione. Il cranio del toro (il bucranio) rimarrà per tempo immemorabile il simbolo che segna i confini del santuario, l’indicazione dell’area sacra deputata al sacrificio.

Il toro è associato nella mitologia classica, dunque, a Zeus e a Poseidone. A Poseidone si affianca anche il cavallo, che secondo la tradizione il dio delle acque avrebbe donato agli ateniesi nella mitica contesa con Atena per il predominio sull’Attica. La capra è l’animale sacro ad Hermes; il cervo ad  Apollo e ad Artemide. La civetta, simbolo di Atena; l’aquila, uccello messaggero di Zeus; il pavone, che si affianca ad Era; la rondine e il cigno, sacri ad Afrodite, sono nell’iconografia greca e romana altrettanti animali araldici. Le colombe sono sacrificate ad Afrodite, il maiale a Demetra.

Accanto a questi animali che fanno parte del quotidiano paesaggio del mondo classico, non mancano figure più esotiche, in particolare legate al culto di Dioniso (la tigre, la lince, la pantera, il serpente, accanto al delfino, sono altrettanti simboli del dio; ma il serpente è sacro anche ad Apollo e a suo figlio Asclepio). Né mancano animali feroci e inquietanti, come il lupo, la cui pelle è un attributo del dio degli inferi, Ade, o il leone, sempre presente, nella forma delle spoglie del leone nemeo, nell’iconografia di Eracle.

Il sacrificio di animali è il più prezioso e più gradito agli dei. Tuttavia, nella tradizione del mondo classico, esso è caratterizzato da uno svolgimento particolare, che fa sì che, alla fin fine, in apparenza agli dei resti ben poco da godere degli animali immolati, se non forse il profumo delle loro carni arrostite e il fumo delle pire che sale fino al cielo. La vittima sacrificata, infatti, viene consumata in gran parte nel banchetto rituale.

Secondo il mito, Prometeo aveva ingannato per primo gli dei: nell’intento di favorire gli uomini, che Zeus non aveva certo privilegiato fra le creature nella distribuzione delle diverse abilità, aveva indotto lo stesso Zeus a scegliere, delle varie parti dell’animale ucciso nel primo sacrificio, le semplici ossa e le parti non commestibili, che egli aveva ingannevolmente avvolto di un lucido e attraente strato di grasso. Se il mito identifica nell’inganno di Prometeo le origini del pasto rituale dopo il sacrificio, l’antropologia tende a collegarlo alla consuetudine della caccia: il sacrificio di un animale rimanda infatti, in primo luogo, all’uccisione della preda nelle battute di caccia, destinata essenzialmente a fornire cibo. Uccisione dell’animale e pasto sono dunque strettamente legati in una società di cacciatori, che non può permettersi il dispendio e lo spreco; e questo collegamento non viene dimenticato a livello del rituale.

Animali e mitologia

Oltre alla dimensione più strettamente religiosa, il mito ci presenta nel mondo classico figure di animali che, pur avendo quasi sempre significato simbolico, sono però prima di tutto protagonisti di seducenti racconti. Molte delle grandi saghe mitiche dell’antichità hanno al loro centro figure di animali. Di nuovo la caccia, grande evento collettivo delle società più antiche, è al centro del mito che ha per protagonista il cinghiale di Calidone: per catturare il feroce animale, che devastava le campagne, si trovano riuniti tutti i grandi eroi del mondo antico; protagonista per eccellenza della vicenda è l’eroe Meleagro.

La cerva cerinitide, gli uccelli stinfalidi, i buoi di Gerione, il cinghiale d’Erimanto, le cavalle di Diomede, oltre al già ricordato leone nemeo, sono animali protagonisti delle fatiche di Eracle. Innumerevoli animali compaiono nelle Metamorfosi di Ovidio, spesso coinvolti in racconti eziologici di origine più antica o frutto della creazione e dell’inventiva del poeta. I racconti poetici delle metamorfosi hanno toni favolistici che ci portano spesso lontano dalla sfera della pura religiosità e ci immergono nella dimensione gratuita e fantastica dell’invenzione letteraria.

È impossibile ricordare tutti gli animali che ricorrono nelle Metamorfosi ovidiane: è forse però opportuno ribadire che in più d’un caso il racconto della trasformazione nasce dal desiderio di spiegare le origini di un fenomeno, di una credenza, di una tradizione. Così è per il mito di Aracne che si metamorfizza in ragno, per quello di Acalante trasformata in cardellino, di Cicno in cigno, di Ascalafo in civetta, di Ecuba in cagna, di Coronide in corvo, di Abante in lucertola, di Tereo in falco o upupa, di Filomela in usignolo, e così via. Conoscere gli animali, così, significa per certi versi acquisire gli elementi necessari per capire il mondo.

In apertura, foto di Olio Officina©

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