Corso Italia 7

Rivista internazionale di Letteratura – International Journal of Literature
Diretta da Daniela Marcheschi

Dai papiri di Alessandria a Google, o come redigere l’indice del mondo

Ritornare ai classici. Duemilatrecento anni prima di Google, ogni idea elaborata dalla mente umana è raggiungibile, se non con un clic, almeno con un minimo sforzo, in un unico edificio e senza allontanarsi da Alessandria. Però… c’è un ma. L’invenzione della biblioteca è bellissima, ma gli scaffali dei papiri sono scomodi. È a partire dall’ideazione dell’indice che tutto comincia. È da questa invenzione semplicemente geniale che si può provare a padroneggiare il sapere evitando di annegarvi dentro

Anna Ferrari

Dai papiri di Alessandria a Google, o come redigere l’indice del mondo

Alessandria d’Egitto, circa 2300 anni fa. In un’area non lontana dalle rive del mar Mediterraneo, in quella che  per volere di Alessandro Magno era sorta con il preciso destino di diventare una delle principali città del mondo antico, è appena stata costruita una straordinaria biblioteca. Migliaia e migliaia di papiri (c’è chi dice quarantamila, chi addirittura mezzo milione), contenenti tutto lo scibile umano, sono raccolti nei suoi scaffali ben ordinati che si susseguono allineati lungo le pareti. È un’idea meravigliosa: avere a disposizione, in un unico luogo, tutto quanto è stato scritto al mondo, su qualsiasi argomento. Basta tendere una mano verso uno dei ripiani ed estrarre il rotolo di papiro che contiene il testo che si cerca: tutto il sapere dell’umanità è lì, a portata di mano. Il papiro si srotola con un fruscìo, et voilà: la dottrina dei filosofi, l’opera dei poeti, i resoconti degli storici, le orazioni dei retori e degli avvocati di grido, i trattati scientifici, tutto è messo a disposizione di chiunque voglia servirsene. Duemilatrecento anni prima di Google, ogni idea elaborata dalla mente umana è raggiungibile, se non con un clic, almeno con un minimo sforzo, in un unico edificio e senza allontanarsi da Alessandria.

Però… c’è un ma. L’invenzione della biblioteca è bellissima, ma gli scaffali dei papiri sono scomodi. I rotoli affastellati cascano facilmente dai loro ripiani e, soprattutto se sono chiusi in casse per stare in ordine, da fuori non si capisce che cosa contengano. Sono tutti identici; per individuarli bisogna esaminarli uno per uno. Come fare a riconoscere il papiro che interessa, a trovare l’opera di cui si è alla ricerca, senza srotolare innumerevoli rotuli che scivolano dalle mani, si ammucchiano sul pavimento, e soprattutto non rivelano dall’esterno il loro contenuto? Come destreggiarsi tra le centinaia di metri lineari di ripiani ingombri di un sapere pronto a franare disordinatamente per terra, mimetizzato dietro una veste omogenea di papiri apparentemente tutti uguali?

Il problema dovette assillare i bibliotecari di Alessandria, che di quei tesori di dottrina erano i custodi, fino a che uno di loro (o forse più d’uno: ma nella nostra ricostruzione ci atteniamo per semplicità all’ipotesi che fosse uno solo)  trovò una soluzione brillantissima per la quale meriterebbe di essere ricordato e celebrato assai più di quanto non lo sia. Il bibliotecario in questione si chiamava Callimaco, era nativo di Cirene e qualcuno lo conosce meglio, forse, come poeta dotto e raffinato: aveva infatti composto tra l’altro un’elegia nota come La chioma di Berenice, in cui narrava in versi la storia del ricciolo che la regina Berenice, moglie del sovrano Tolomeo III Evergete, aveva sacrificato in voto per il felice ritorno del marito dalla campagna militare che stava conducendo in Siria; quella ciocca di capelli era stata assunta in cielo e aveva preso la forma di una costellazione, nota ancor oggi appunto come “chioma di Berenice”. Callimaco aveva legato il proprio nome anche a numerosissime altre opere (si diceva che ne avesse scritte addirittura ottocento), tra le quali quattro libri di elegie intitolati Aitia, o “origini”, epigrammi, giambi, inni e l’epillio Ecale, per limitarsi a ricordare l’opera poetica.

Tuttavia Callimaco può essere considerato un benefattore dell’umanità non per le sue virtù letterarie o per i suoi trattati ricchi di dottrina, bensì soprattutto per un’altra ragione.  Fu lui, infatti, che – a quanto sembra – risolse l’annoso problema del riordinamento della biblioteca di Alessandria, adottando una soluzione che, nella sua estrema semplicità, ha qualcosa di meraviglioso: catalogò alfabeticamente i papiri,  e a parte redasse un volume che ne raccoglieva l’elenco completo. Questo volume, intitolato Pinakes o tavole, era in realtà costituito da ben 120 rotoli di papiro che elencavano tutti gli autori presenti nella biblioteca, ordinati alfabeticamente all’interno di una superiore divisione per generi (per esempio retorica, legge, epica, tragedia e così via, fino alla categoria “opere miscellanee”, che comprendeva di tutto un po’, tra cui anche, udite udite, la pasticceria). Ogni rotolo, a sua volta, portava una targhetta appesa che recava il nome dell’autore e dell’opera in esso contenuta e che si chiamava sittybos o sillybos, corrispondente alla parola latina index.

Eccola, la parola magica: l’indice. È da qui che tutto comincia, è da questa invenzione semplicemente geniale che si può provare a padroneggiare il sapere evitando di annegarvi dentro.

È una storia affascinante, che dalle sue origini nel Mouseion di Alessandria d’Egitto si dipana attraverso l’intera storia umana fino a giungere ai moderni motori di ricerca, che fanno il lavoro per noi e riescono, muovendo da quella semplice invenzione callimachea, a gestire una quantità di dati per una mente umana assolutamente inimmaginabile. Attraverso quali tappe il processo di affinamento dell’indice e la moltiplicazione dei suoi usi e delle sue applicazioni sia passato nei secoli, dai tempi di Alessandria d’Egitto, è ciò che si propone di ricostruire un libro affascinante, che riserva a ogni pagina straordinarie sorprese: Indice, Storia dell’, di Dennis Duncan (anzi: Duncan, Dennis, prima il cognome e poi il nome, come in ogni indice che si rispetti), tradotto in italiano da Chiara Baffa (pardon, Baffa, Chiara) ed edito da Utet nel 2021. Lasciamo alle sue pagine (338, compreso, e doverosamente, l’indice analitico) il compito di seguire le varie tappe di questa storia, che non è solo la vicenda degli indici, non è solo la ricostruzione dell’affinarsi delle tecniche di costruzione, accumulo e gestione del sapere, ma è una straordinaria storia dell’umanità e del suo modo di riflettere, di scoprire e di imparare. Lasciamo questo compito alle sue pagine perché esse vi assolvono in modo non soltanto mirabile, esauriente e nitido, ma anche estremamente  e (imprevedibilmente, diciamolo) divertente, e non vogliamo togliere al lettore il piacere di delibare scoperte deliziose. Due cose, per dare un’idea di ciò che ci si deve aspettare, vale però la pena di menzionarle, senza guastare troppo la sorpresa. Una è, nel primo capitolo, la storia del racconto L’indice, pubblicato nel 1977 dallo scrittore di fantascienza britannico J.G. Ballard, nel quale si immagina che l’autobiografia di un certo Henry Rhodes Hamilton, personaggio illustre del XX secolo, sia andata completamente perduta e se ne sia conservato soltanto l’indice: il lettore deve quindi ricostruire la sua vita sulla esclusiva base di alcune parole chiave, di pochi titoli e dell’andamento cronologico suggerito dai rimandi ai numeri di pagina. Inutile dire che in un racconto come questo l’indice va letto dall’inizio alla fine ed è fondamentale non saltarne neanche una voce.

Ed è quello che conviene fare anche con il libro di Duncan, il cui indice analitico è la seconda cosa che vorrei ricordare di questo saggio sorprendente: un indice al quale l’autore dedica un lavoro meticoloso (e dato l’argomento, non poteva non essere così), affidandolo in primo luogo a un software automatico di indicizzazione (che funziona però soltanto per la versione originale del libro, che è in inglese, e non per la traduzione italiana), e mettendone in evidenza le aporie insieme alla (rassicurante) constatazione che all’indice automatico occorre poi comunque affiancare l’intervento di un indicizzatore in carne ed ossa. Il passaggio successivo è quindi quello di far entrare in scena Paula Clarke Bain, un’indicizzatrice esperta e “vera” (si qualifica “essere umano”), che ci regala nel formato dell’indice alfabetico una trentina di pagine di purissimo e incantevole divertimento intellettuale. Davvero: tra rinvii alle pagine del testo e rimandi interni all’indice stesso, che si inseguono in un moto perpetuo, senza finire mai oppure riportando il lettore al punto di partenza (“assurdità, vedi mordersi la coda”, “mordersi la coda, vedi buco nell’acqua”, “buco nell’acqua, vedi falsa pista”, “falsa pista, vedi depistaggio”, “depistaggio, vedi tentativo infruttuoso”, e non finisce qui), l’indice analitico è la ciliegina sulla torta di un lavoro degno della più alta tradizione britannica della divulgazione scientifica (l’autore è docente all’University College di Londra). Al suo interno l’indicizzatrice si inserisce di tanto in tanto tra le voci, con un comico effetto spiazzante (“Society of Indexers, [ehilà, colleghi!]”); gioca con rimandi e allusioni e conclude, con un ammiccante sorriso, alla lettera Z, con  un rimando materno: “Z, z, z, E ora, a letto”.

In apertura, foto di Olio Officina©

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