Corso Italia 7

Rivista internazionale di Letteratura – International Journal of Literature
Diretta da Daniela Marcheschi

Daniela Matronola su Hospital Sketches di Louisa May Alcott

Daniela Matronola

Daniela Matronola su Hospital Sketches di Louisa May Alcott

C’è un piccolo libro che merita tutta la nostra attenzione per il valore che custodisce e per una piccola avventura editoriale che lo riguarda. Il libro è Hospital Sketches, (o Bozzetti Ospedalieri) di Louisa May Alcott. Che genere di testo è? In origine si trattava di una serie di lettere che, in piena Guerra Civile, la Alcott scrisse ai suoi familiari durante le sei settimane (tra il 1862 e il 1863) in cui, muovendosi all’interno del territorio nucleare del New England, dalla Pennsylvania raggiunse in modo avventuroso Georgetown, distretto di Washington D.C., e lì servì come infermiera volontaria nell’ospedale dell’esercito unionista. Solo dopo la Alcott vide in quel pugno di lettere una materia romanzesca: in un primo momento formulò quattro bozzetti, o sketches appunto, e li pubblicò su rivista a partire dal 22 maggio del 1863; in seguito, dopo sapiente sistemazione, concertò il romanzo in sei parti, dotato di una vivacità di descrizione, effettivamente bozzettistica, di luoghi e persone che richiama molto la simile arte di Charles Dickens ben dispiegata in Sketches by Boz e in Pickwick Papers.

Riguardo a Louisa May Alcott chiariamo subito che fu scrittrice abolizionista (favorevole, cioè, alla abolizione della schiavitù) e femminista, allevata da una madre, Abigail May, femminista lei stessa, e da un padre, Amos Bronson, che perseguiva the sweetness of self-denial (cioè, la dolcezza dell’abnegazione: Bronson fu un aspro educatore) – entrambi convinti trascendentalisti e sperimentatori di una comunità utopica chiamata Fruitlands. Louisa May Alcott nacque nel 1832 nel cuore degli Stati Uniti originari, a Germantown, oggi parte di Philadelphia (Pennsylvania), ed è poi vissuta a Concord (Massachusetts), città nota, con Lexington, per essere stata teatro della Rivoluzione Americana. A Concord, Louisa May Alcott riposa nel cimitero sulla collina di Sleepy Hollow – il nome è lo stesso della Sleepy Hollow cantata da Washington Irving nel racconto gotico del leggendario cavaliere senza testa, ma il posto è un altro, trovandosi il primo in una contea dello stato di New York e il secondo appunto a Concord, Massachusetts, in Bedford Street. Lì è circondata da Ralph Waldo Emerson e Henry David Thoreau che, con Margaret Fuller, furono amici di famiglia e suoi mentori, come lo stesso Nathaniel Hawthorne, che dai suoi genitori comprò la tenuta di famiglia da lui ribattezzata The Wayside.

Louisa May Alcott, che ha sempre incluso se stessa nei suoi romanzi nelle vesti di Jo March, in Hospital Sketches adotta un altro nome di finzione, Tribulation Periwinkle. In esso ci dà conto, per un verso, delle tribolazioni patite dalla generosa infermiera, capace di resistenza eroica e grande dedizione nell’accudimento dei soldati feriti (curati spesso, nell’ospedale militare dove la ‘nostra’ presta servizio, in modo brutale), e per l’altro verso, della tenacia da lei profusa nella professione, in modo simile ai fiori di pervinca, capaci di sfidare condizioni critiche e alte temperature. Nel corso del romanzo, l’infermiera Trib o Miss P. non perderà mai il suo spirito, ma una simile esperienza umana non potrà non produrre in lei una profonda trasformazione, ed esaurire il suo gran lavoro in un pugno di giorni, mentre inchioda noi lettori, su uno squisito piano di racconto, ad almeno due episodi toccanti che qui si raccomanda di tener d’occhio: l’eroica battaglia contro il dolore di un soldato ferito, in cuor suo contrario alla guerra, e la lotta fino allo sfinimento della stessa Trib o Miss P.

Chiariamo ancora. Si tratta proprio dell’autrice di Piccole Donne e Piccoli Uomini, di I Ragazzi di Jo e di Piccole Donne Crescono – cioè Good Wives, dove l’autrice, che fieramente nella vita vera mai contrasse matrimonio, si perita di svelarci che Jo March non sposò Laurie ma l’austero professor Bhaer per una ragione precisa: perché Jo e Laurie erano two souls solely fit for friendship, cioè due anime fatte solo per l’amicizia, e nella circostanza ci dà anche un saggio di un proprio vezzo stilistico, piuttosto naturale, di cui si dirà più avanti, l’allitterazione).

Veniamo solo brevemente all’avventura editoriale italiana di questo piccolo grande libro (dei suoi primi passi americani abbiamo già detto). Un primo lavoro di studio accorto e parziale traduzione di Hospital Sketches si deve intanto alla cura di Daniela Daniele, già docente di Anglistica all’Università di Genova e PhD in Letterature Comparate a NYU, ora docente di Letteratura Anglo-Americana all’università di Udine, autrice a tal proposito di un denso contributo accademico, Domestic Wounds – Nursing in Louisa May Alcott’s War Tales. Solo lo scorso anno però, nel 2018, una giovane e agguerrita casa editrice femminile, anzi per sua stessa autoproclamazione: femminista, L’Iguana di Chiara Cecilia Turozzi e Hanna Suni, ha provveduto alla traduzione integrale del testo consegnando nelle mani di lettrici e lettori un piccolo tesoro visto che il libro è edito in versione originale con testo a fronte. Ciò permette di ascoltare la voce di Miss P./ Louisa May Alcott e di apprezzare la limpida traduzione della curatrice, Sara Grosoli, autrice anche di un puntuale, ampio e prezioso apparato di note.

Se davvero si vuol fare onore al libro, conviene leggerlo a voce alta, e a un certo punto ci si ritroverà a commuoversi, come è capitato a chi qui scrive. Intanto per le grandi e piccole tragedie che il libro racconta in una sorta di reportage di guerra condotto da un punto di vista clinico, ma anche per il rivelarsi di un tessuto della scrittura miracoloso, che, pagine alla mano, documenta una palese vocazione della Alcott: a scrivere in prosa come stesse scrivendo in versi, inanellando con totale naturalezza rime ed allitterazioni (eccoci arrivati), cioè figure della versificazione, che donano al testo una qualità sonora eccellente. Su questa linea si può mettere anche la sua capacità di far parlare l’inserviente di colore come il ferito morente di origine irlandese esattamente nella loro versione vernacolare: un altro segnale di vivacità del dettato che per esempio fa pensare a Mark Twain, ma, lungi dal creare un effetto comico o all’inverso patetico, mostra risorse della scrittura capaci di comunicare al lettore la grande pietà, e la grande capacità di sintonizzarsi e mettersi in armonia, da parte di Miss P. o Trib, e, attraverso lei, della stessa autrice, con la tribolata umanità che popola queste pagine, inclusi il chirurgo sadico o la caposala materna, oppure lo staff medico che si assicura un vitto ricco e di qualità sottraendolo ai malati e allo staff paramedico, o ancora la genìa degli inservienti che tende alla sciatteria, al cattivo servizio, ritraendo esattamente i vizi delle corsie e amministrazioni ospedaliere del mondo d’ogni tempo e luogo.

Il libro poi ha un altro pregio notevole: poiché Hospital Sketches proviene dal New England nei decenni centrali dell’Ottocento, esso attesta un processo identitario di grande significato culturale, definito solo nel 1941 da Francis Ottho Matthiessen (studioso californiano migrato a Boston), American Renaissance, o Rinascimento Americano, da intendersi non come rinascita ma come conquista per la prima volta di una consapevolezza di sé per i Nuovi Americani. Un processo culturale che ebbe nel Trascendentalismo, cui avevano aderito i genitori della Alcott, il suo punto di forza teoretico – artefice proprio Ralph Waldo Emerson, vicino di casa e grande filosofo, con la sua opera maggiore, Nature (1836). In questa sua opera fondativa, Emerson incitava i Nuovi Americani a camminare sulle proprie gambe, a lavorare con le proprie mani, a dar voce al proprio animo, a prendere contestualmente atto della nascita di sé come nazione nuova in cui ciascun individuo potesse scoprirsi partecipe del respiro divino della Grande Anima, e a porsi alcune grandi questioni metafisiche, Cosa è vero?, Cosa è buono?, Cosa è reale? – quanto a questo, Emerson in Nature concludeva che lo Spirito Interiore (l’Anima) è più reale della Realtà.

Trib o Miss P., proprio come la stessa Louisa May Alcott nella vita vera, si dà animo, fiera ed eretta procede a grandi falcate, non esita a sporcarsi le mani, si batte per i suoi feriti, sopporta spettacoli crudeli e salta serenamente i pasti, per cui poi si ammala ed è riformata.

A una simile cornice di entusiasmo (e fiducia nell’America Anglosassone e Protestante = WASP), direi si possa riferire non solo lo spirito di servizio e intraprendenza di Miss P., ma anche la potenza creatrice nella scrittura di Louisa May Alcott che, in questo particolare libro, come apprendiamo dal sapiente apparato di note predisposto dalla traduttrice, Sara Grosoli, si nutre a un patrimonio immenso, antico e nuovo, innovativo e tradizionale, che per contaminatio è alluso riusato e riformulato, o anche solo richiamato, o direttamente citato dal dettato asciutto e agile messo in piedi dall’autrice. Penso con delizia a certe apparizioni di personaggi dickensiani o brontiani, e con ammirazione alla naturalezza con cui la Alcott utilizza i testi sacri come serbatoi di figure personaggi ed exempla, riesumando un uso medievale, ma soprattutto anticipando quel mythical method che sarebbe stato definito per la prima volta da TSEliot a proposito di Ulysses di James Joyce, nel quale, specchiandosi, Eliot alluse al se stesso di The Waste Land. Bè, TSEliot proveniva da quello stesso New England, trascinandosi dietro, qui in Europa, una formazione filosofica e letteraria costruita in primis a Harvard (Cambridge, Massa.), dove fu allievo di Babbitt, e studiò Laforgue e i simbolisti francesi. Eliot ebbe anche sempre con sé il bagaglio puritano di letture sacre che non lo abbandonò mai, neppure nella sua fase nichilista e atea. Un dato, questa immanenza del sacro in convivenza dinamica con l’idea del Grande Spirito suggerita dall’animismo dei nativi nello sconfinato contesto americano, che aveva già informato in modo evidente l’immaginario e il realismo a tratti scoppiettante di Louisa May Alcott giusto in Hospital Sketches, e che è un dato evidente ed ereditario per esempio nei romanzi, oggi, di Elizabeth Strout (anche lei autrice di area Ne England), mentre direi che, sul piano di un diarismo che apre la dimensione tempo, la dilata e la analizza col sapiente ricorso ai cataloghi e al romanzamento di sé, l’eredità della Alcott possa essersi spinta fino ai magnifici libri, in apparenza solo autobiografici ma loro malgrado storici, di Annie Ernaux, che non è americana e neppure canadese francofona, ma francese di Normandia.

Detto tutto questo, penso si possa e si debba provvedere a proclamare la Alcott un grande scrittore, intendendo non il genere maschile ma quel neutro universale preferito da Elsa Morante (che lo usava per definire sé stessa).

La Alcott fu in contatto costante con un critico letterario del suo tempo, quel Thomas Wentworth Higginson, abolizionista e trascendentalista lui pure, che intrattenne una fitta corrispondenza anche con Emily Dickinson: la fulgida poetessa gli inviò gruppi di propri testi, quei suoi epigrammi formidabili perlopiù costruiti sull’unità costitutiva della quartina, con quella loro punteggiatura insolente fondata sull’uso del trattino che a noi pare strana ma che per lei era naturale per la frequentazione della letteratura innologica puritana, e sappiamo bene che il solerte critico scelse di sconsigliarle di pubblicarne in vita, e di volgersi a pratiche più squisitamente femminili che la poesia. Higginson toppò due volte: sbagliò giudizio sulla Dickinson e ritenne che la poesia dovesse essere esclusivamente maschile.

Con Louisa May Alcott, Higginson sbagliò meno. A lei riconobbe subito valore e offrì sostegno. Con lei dovette arrendersi all’evidenza che, giusto in questo libro che ora ci viene presentato, la Alcott non solo ha dato corpo al coraggio femminile, dimostrando che esso è umano e vulnerabile, perciò di natura diversa dal reboante eroismo maschile senza essere meno eroico, ma ha mostrato in modo indiscutibile che proprio il romanzo è il genere letterario del coraggio.

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