Corso Italia 7
Rivista internazionale di Letteratura – International Journal of LiteratureDiretta da Daniela Marcheschi
Debolezze umane e peccati di volontà possono creare mostri
Ci vuole una grande bravura per ridurre il romanzo di Klaus Mann a un testo rappresentabile in un’ora e cinquanta minuti. Eppure Mephisto, con la regia di Andrea Baracco, è uno spettacolo che, senza interruzione, ha tenuto vivo l’interesse degli spettatori senza alcun cedimento, anzi, li ha resi partecipi emotivamente. Sicuramente un ottimo lavoro di équipe
MEPHISTO, romanzo di una carriera, da Klaus Mann, regia di Andrea Baracco, con Ian Gualdani, Woody Neri, Anahì Traversi, Giuliana Vigogna
Viareggio, Teatro Jenco, 13 – 14 marzo 2024
Va detto che ci vuole una grande bravura per ridurre il romanzo di Klaus Mann (315 pagine) a un testo rappresentabile in un’ora e cinquanta minuti.
Un romanzo fitto di personaggi che, ridotti nel numero, vengono comunque interpretati da solo quattro attori: due uomini e due donne.
Eccone i ruoli. Woody Neri è il protagonista Hendrik Höfgen, attore che sacrificherà tutto alla carriera: amore, amicizia, idee politiche.
Anahí Traversi sarà alternatamente Otto Ulrichs (amico di Höfgens) e l’attrice Nicoletta von Niebuhr, seconda moglie di Hendrik Höfgen.
Giuliana Vigogna darà corpo alle attrici Dora Martin e Lotte Lindenthal (amante di Goering) e a Barbara Bruckner, scenografa, nonché prima moglie del protagonista.
Ian Gualdani sarà una splendida Juliette Martens (il “travestito” amante di Höfgens) oltre al “rivale” Hans Miklas, mentre le voci fuori scena dell’autore e di Amleto saranno di Lino Musella.
E grande bravura ci vuole anche a realizzare uno spettacolo che, tra quelli che abbiamo avuto modo di vedere in questa stagione, è sicuramente tra i più riusciti insieme a Parle, envole-toi! Ou comment le théâtre m’a sauvé la vie di e con Bruno Abraham-Kremer, visto a Parigi, e alla Maria Brasca di Testori con Marina Rocco, visto a Torino.
Uno spettacolo, quello di Baracco, che corre su due binari, perché in modo parallelo (da notare la presenza di due sipari) viene narrato sia quanto avviene nel romanzo sia la “fortuna” (o sfortuna) dello stesso riguardo le vicende travagliate della sua pubblicazione.
Del romanzo parleremo in altra sede.
Qui però dobbiamo mettere in luce almeno la vicenda: quella di un attore, Hendrik Höfgen, che partito da Colonia arriverà ad Amburgo e infine a Berlino e, per la smodata ambizione, per la sua carriera, sarà pronto a rinunciare ad amore e amicizie e a rinnegare il suo credo politico per raggiungere i suoi obiettivi.
Il tutto sullo sfondo di una Germania che si prepara alla II Guerra Mondiale, con personaggi che, seppur non nominati mai esplicitamente, rimandano alle inquietanti figure di Göring, Göbbels e Hitler.
In platea, al Teatro Jenco di Viareggio, che da sempre si distingue per scelte non conformiste, il pubblico trova una delle poltrone della prima fila occupata da un anziano signore.
La sua presenza incuriosisce, perché è il primo ad essere arrivato e se ne sta lì, immobile.
Si scopre poi che è un manichino, una sorta di fantoccio che, per certi aspetti rimanda a Kantor e alla sua Classe morta, ma soprattutto agli automi del «Teatro del Carretto» di cui la produzione MAT-Movimenti Artistici Trasversali è l’erede.
Lo spettacolo ha inizio con la voce fuori campo di Lino Musella che è la voce dell’autore, di Klaus Mann, in una scena bellissima dove a sinistra c’è l’attrice Dora Martin (Giuliana Vigogna) seduta su una seggiola nella “classica” posa che rimanda a quella della Dietrich, ripresa poi da Liza Minnelli.
Alla sua destra il protagonista, Hendrik, davanti al tipico specchio da camerino teatrale con lampadine e con accanto un armadio sulla cui anta campeggia il manifesto del Faust goethiano.
Poi entra in scena Juliette, il “travestito”, nonché amante dell’attore (un impareggiabile Ian Gualdani) che ricorda William Hurt nel film Il bacio della donna ragno di Babenco.
E sempre la voce fuori campo di Lino Musella spiega che Gustav, cognato di Klaus Mann, qui è Hendrik.
Perché, ripetiamo, la narrazione procede in parallelo, tra la vicenda narrata nel romanzo (in cui è coinvolta la biografia dell’autore) e le «rocambolesche, assurde e tragiche vicende» che il romanzo ha attraversato fino a giungere alla pubblicazione.
Da qui parte lo spettacolo, sorta di negativo cursus honorum del protagonista che, come sostiene il regista, più che un arrivista artefice del proprio successo è la rappresentazione di un uomo debole, «che non riesce a fermarsi quell’istante prima di oltrepassare la soglia della decenza».
Un uomo debole che non riesce a dire «no», un uomo affetto dal peccato di volontà che, volendo azzardare, è lo stesso della Monaca di Monza.
Peccato che porterà Marianna de Leyva a prendere voti, di cui poi non sarà degna, e Hendrik nelle “braccia” di Goering, Goebbels e Hitler.
E visto che gli incontri di quest’ultimo col “grassone”, “lo zoppo” e “il nano coi baffi” sono descritti nel romanzo, sarà la proiezione dei tre (in tre momenti diversi) sul secondo sipario, uniti all’uso sapiente del digitale, a far sì che sembrino reali, come la stretta di mano tra l’attore e Goering che si complimenta con lui, in una sorta di patto di sangue, per la sua interpretazione di Mefistofele nel Faust goethiano.
Una stretta a seguito della quale Klaus Mann, entrato quasi nella mente dell’attore, gli farà dire: «Ora sono infangato – questo sentiva Hendrik sconcertato –. Ora ho una macchia sulla mia mano, non riuscirò mai più a farla scomparire… Ora sono venduto… Adesso sono segnato». Una Lady Macbeth al maschile…
Uno spettacolo che è anche un viaggio nelle rappresentazioni teatrali di quegli anni, come quando Otto, il più caro amico di Hendrik, parla di Risveglio di primavera di Wedekind.
Lo stesso Otto che verrà arrestato dai nazisti e che farà dire a Hendrik «quanto è forte il male».
Ed è pure un viaggio-incontro tra persone e città europee.
C’è Nicoletta von Niebuhr che è all’inizio di una grande carriera, ma che l’amore per lo scrittore Theophil Marder, che ha trent’anni più di lei, farà interrompere.
C’è l’amica di questa, Barbara Bruckner, che disegna scenografie e attrarrà Hendrik per il suo fascino e la sua classe sociale.
C’è Lotte Lindenthal, attrice, e ponte tra Hendrik e Goering in quanto amica di quest’ultimo.
Ci sono Colonia, Amburgo, Madrid, Berlino…
Ci sono frasi emblematiche, come quelle dell’autore, di Klaus Mann, riportate dalla voce di Musella, in cui, a seguito dell’avvento del nazismo, dice di non sentirsi più tedesco «né io, né mio padre, né mio zio Heinrich [autore del celeberrimo L’angelo azzurro, NdC], né mia madre».
È, come nel romanzo, la tragedia dell’attore Hendrik Hoefgen, di un vincente che si può “leggere” anche come perdente.
Sentiamo ancora le sue parole: «Con Mephisto tutto mi era chiaro. Con Amleto no».
E la voce fuori campo: «Tu non sei Amleto, non sei nobile».
A cui il nostro risponde: «Non posso essere Amleto. Ho perso Otto, Barbara, Juliette…».
E la sua ultima battuta sarà (come nel libro) una sorta di giustificazione: «Io sono solo un attore come tanti altri».
Non ci resta che essere felici dell’incontro non programmato tra il regista Andrea Baracco e il libro del figlio di Thomas Mann, Klaus, che ha permesso la realizzazione di uno spettacolo decisamente originale e coinvolgente.
Uno spettacolo che per un’ora e cinquanta – senza interruzione – ha tenuto vivo l’interesse degli spettatori senza alcun cedimento, anzi, li ha resi partecipi emotivamente.
A chi va il merito di questa operazione così ben riuscita?
All’ideatore, nonché regista, in primo luogo e alla sua collaboratrice nell’adattamento del testo, Maria Teresa Berardelli.
Ma anche alle scene e ai costumi di Marta Crisolini Malatesta e di Francesca Tunno, come ai suoni e alle musiche di Giacomo Vezzani, ai video di Luca Brinchi e Daniele Spanò e al disegno luci di Orlando Bolognesi.
E, ultimi, ma non ultimi, agli attori (di cui già abbiamo fatto i nomi) tutti eccellenti nel districarsi tra i vari personaggi.
Ancora una parola per Woody Neri, di cui già avemmo modo di scrivere su «Avvenire» per la sua interpretazione in 1984, che qui ha reso la drammatica figura dell’attore-cognato con grande intensità e per Ian Gualdani (anche di lui scrivemmo su «Avvenire» per il suo Caligola) che si è riconfermato eccellente nell’interpretare il travestito Juliette, che gli adattatori hanno “creato” al posto della donna di colore del romanzo.
Insomma uno spettacolo che deve la sua forza a un ottimo lavoro d’équipe.
Non ci resta che sperare che da questa collaborazione nascano altri lavori di cui nuovamente entusiasmarci.
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