Corso Italia 7
Rivista internazionale di Letteratura – International Journal of LiteratureDiretta da Daniela Marcheschi
“Dionysos Speed”, la quinta vertiginosa prova letteraria di Rainer J. Hanshe
Un libro strettamente “inattuale” nel senso nietzschiano prediletto dal suo autore e, lo speriamo, dal nostro tempo così privo di speranza da essere ormai maturo per una nuova, incognita ma totale quanto profonda e necessaria sacralità
Maura Del Serra

Rainer J. Hanshe – Dionysos Speed, New York, C.M.P., 2024, pp. 165.
“Questo è un libro che si situa al di là di ogni critica tradizionale” recita la sommaria recensione apparsa online su “Bedlam Files”, rimarcando il carattere estremamente sperimentale della narrativa – o meglio prosa inventiva – dell’autore, e sintetizzando questa quinta vertiginosa prova letteraria di Hanshe come “a visionary concoction that can be categorized as surrealist poetry or avant-garde science fiction”. Analogamente, negli Advance Praises che accompagnano il lettore ad apertura di libro, Erika Mihálycsa sottolinea che l’autore dispiega qui “the full range of avant-garde gestures and operations”, il cui nucleo sono “phantasmagoric images, striking associations, now raw visions, elaborate manifestos punctuated with […] outbursts of (nonsense) poetry”; e Stuart Kendall sintetizza:
“Dionysos Speed is a shot in the eye […] a raw apocalypse […] a jeremiad for the age of all fantasies that inoculates its reader against the viral lure of virtual post-humanism”. La voce narrante impersonale e assoluta ma politonale, quasi extraterrestre o meglio meta-terrestre, scandisce col ritmo tanto fluido quanto martellante una sorta di flusso di coscienza insieme mitico-arcaico e futuribile nelle 21 sequenze del libro, ed esclude categoricamente ogni possibilità di ritorno o di nostalgia per una trama con personaggi di eredità naturalistica (ancor oggi imperanti nella vulgata narrativa della fiction mondiale), ma non permette di ricondurre il pluristilismo assai virtuosistico di Hanshe ad una pura distopia di eredità orwelliana (pur presente ed operante tra la molteplicità delle fonti, dei rimandi e degli echi letterari, poetico-filosofici e scientifici di cui è pervaso il libro. Questa voce è piuttosto riconducibile, appunto, ad una dilatata, parafrasata e “profanata” matrice epico-biblica – l’Apocalisse pseudo-giovannea – trasfigurata in una personalissima chiave postmoderna e tecno-metafisica, sferzante ed assolutizzante, tanto che l’abusata definizione di “distopia” induce il lettore a trasformarla in una “trans-topia”, inquietante ed angosciata quanto liricamente irridente ed oltraggiosamente satirica.
Domina qui un ossimoro permanente, concettuale e linguistico, memore della sentenza imperativa di Breton e dei surrealisti “La Beauté sera convulsive ou ne sera pas”, a partire dall’ingegnosa e suggestiva copertina, che “gioca” con la celebre immagine leonardesca dell’Uomo Vitruviano, facendone un simbolo solare perfettamente dionisiaco, ed imitando la scrittura bustrofedica dello stesso Leonardo, che viene mimeticamente trasformata e riproduce la chiusa esplosiva e cosmico-sinfonica del libro (chiusa che a sua volta evoca la “Stella Assenzio” che cade dal cielo e incendia le acque, o l’Angelo che suonando la tromba provoca l’eclissi di sole, luna e stelle nell’Apocalisse, ma ricorda anché l’ekpyrosis profetizzata dagli Stoici e la Klangfarbe espressionista).
Lo scenario – corredato da inquietanti foto artistiche – è quello di una Terra non troppo futura, la cui popolazione – che vive in “conglomerati megalitici” eredi degli opprimenti grattacieli è ormai cronicamente cibernetica e dominata dalla dittatura fascisteggiante (assai orwelliana) di un capitalismo selvaggio e dai suoi “digito-humanists” ovvero “digitalists” o addirittura “digitists”, tesi alla sostituzione/fusione finale dell’umano col virtuale-tecnologico annullante ogni forma di coscienza personale, di emozioni “arcaiche” e di memorie dolorose in una de-fisicizzata iperrealtà: “Why be Real when you can be Hyperreal?” recita la voce del nuovo Grande Fratello: ma la visionaria trasformazione robotizzante richiama anche il ben più antico Golem, la Creatura del Frankestein di Mary Shelley, gli automi sette-ottocenteschi e “L’uomo meccanico dalle parti cambiabili” vagheggiato nei manifesti futuristi.
Gli antagonisti di tale orrifico “angelismo macchinico” sono gli enigmatici, fantasiosi e imprendibili componenti di una banda di sabotatori anarchico-rivoluzionari vestiti canonicamente di nero (ed arieggianti sia figure teatralmente fumettistiche sia il nero del cosmo) autori di attentati surreali vòlti a distruggere lo status quo (“to disrupt” è il verbo dominante), a partire dagli specchi-video che inchiodano compulsivamente l’umanità ai media: nella sequenza iniziale The Terror of Narcissus (che rinvia al Narciso classico e a quello di Rousseau) la banda provoca la frantumazione caotica degli “8 bilioni di specchi” di narcisistici utenti dell’immagine ipnotizzante (specchi che, una volta faticosamente ricomposti, rivelano la temuta identità ed interiorità personale degli iperconnessi utenti, il cui mondo viene via via distorto e annullato (anche graficamente) in maschere satirico-drammatiche, in profluvi di messaggi nonsensical e di rumori e colori grottescamente impersonali, tipograficamente mimetici e variati con un virtuosismo che si estende alla punteggiatura estrema ed “elastica”, di rinnovata eredità futurista-dadaista.
Ma non manca nella seconda sequenza, The Laughing Vulture, il ricordo del demonico Corvo di Poe, in un contesto di detonazioni e di silenzi che distorcono o nullificano l’identità del corpo e del millenario linguaggio umano, ridotto solo a “bale of data” e quindi degradato a “bale of shit” – con un probabile ricordo di Eliot, che già identificava nei “dati” il grado zero della conoscenza, un grado inferiore anche alla semplice informazione.
Nel linguaggio incalzante e pulsante del beat bio-poetico e gnomico di Hanshe – ricco di neologismi, tecnicismi e scientismi parodici che rinviano, con arguzia pirotecnica, alle sue molteplici e predilette fonti letterarie, da Rabelais a Baudelaire a Rimbaud, da Nietzsche ad Artaud e alle ricordate avanguardie moderniste ed espressioniste – spiccano per arguta intensità la sequenza Memory Surgery e quella complementare Map the Universe, Map the Unconscious, che nella forma satirica di slogans pubblicitari incitano appunto gli utenti digitali ad una “chirurgia memoriale” liberatrice da complessi freudiani e terapie psichiatriche, dalle frustrazioni familiari infantili e dal doloroso romanticismo di ferite amorose, facendosi estrarre i brutti ricordi “come tonsille” e sostituendoli con nuovi ricordi positivi, ottenendo così “il migliore di tutti i sé possibili” tramite il Centro digito-neurale “Candido” di voltairiana memoria, e raggiungendo la coincidenza pura ed efficientistica tra il virtuale e il reale: “virtual is real because real is virtual”, è la parafrasi della celebre sentenza delle streghe nel Macbeth shakespeariano, “fair is foul and foul is fair”.
Ma ad ogni satireggiata vittoria bionica fanno da contrappunto musicale e logistico gli “uragani di silenzio” che svelano il “basso pulsare del cosmo”, provocati alternativamente dai terroristi anarchico- artistici (che ricordano non poco anche l’apocalittico Angelo sterminatore antiborghese del film di Buñuel) e da scatenate, irridenti “Baubos” che nella sequenza omonima Hurricane Baubo esibiscono i genitali a scherno dell’occhiuta e voyeuristica videosorveglianza, e li trasformano in maschere facciali che lanciano raggi laser distruttori. Qui è attivo il ricordo del mito di Demetra disperata per la perdita della figlia Kore, e indotta finalmente al riso dalla vecchia Baubo che si scopre il sesso davanti a lei; ma sembrano presenti anche il ricordo dei Bijoux indiscrets di Diderot nonché quello biblico della spada infuocata che esce dalla bocca del Cristo in trono e distrugge la corrotta Babilonia nell’Apocalisse.
Il tema della mutazione orale delle vagine sfocia in un vero pezzo di bravura centrato sul motivo del labirinto digitale che produce la mutazione stessa; il mostro del potere vi è diffuso e invisibile, e il tempo si annulla in una narcisistica e fittizia eternità auto-erotica, fino al parossismo di una “imagografia polifemica” (polyphemic imagography) che diviene poi “teleintimatic virotics”.
L’uso dell’anafora variata e il beat della punteggiatura a flusso e riflusso musicale, che eredita la “melodia infinita” di Wagner o, a tratti, il Ravel del Bolero, si snoda lungo le sei sequenze successive, che evocano tempeste di sabbia distruggenti le banche mondiali e i loro accoliti, nonché corpi allucinatori di schiavi coloniali che cadono dal soffitto della Borsa di New York, in una sorta di fantasmatica vendetta degli anarco-sabotatori intenti alle loro varie “operations” para-poliziesche (Operation Wordstorm, Operation Tradewinds, Operation Sandbox, Operation Disport, etc.) virando a spirale su un tono scientificizzante: nella parte conclusiva, la sequenza. The Temple of Blue Light evoca gli effetti pseudo-religiosi dell’idolo o Nume digitale, paragonato ad una bomba nucleare.
Come conseguenza mimetica, nelle ultime tre sequenze si fa sempre più sentenzioso il crescendo della impersonale voce narrante del Big Brother, che esorta nuovamente, in una specie di suasoria ipnotica, ad abbandonare le antiche, huxleyane “porte della percezione” biologica a favore di una rinascita ascetica e fusionale nel “Virtual Sanctum” e di un’ultra-parodica “telemetafisica”.
La suasoria diviene imperativa tramite l’uso costante di neologismi ossessivi (anche tipograficamente sempre più sofisticati) che mimano gli ordini ripetutamente impartiti allo “schiavo” cibernetico, di cedere ogni volontà ed ogni organo biologico alla “digital whip”, che distrugge ogni individualità ed ogni memoria del male per i suoi fini ultimi di sottomissione economico-sociale, centrata sulla presunta neutralità dei dati: “all roads lead to data” è la polemica variante del noto proverbio italiano “Tutte le strade portano a Roma”, città che Hanshe implicitamente identifica con la Grande Meretrice delle Scritture, divenuta una planetaria Babele elettronica dai molti nomi internazionali, appunto un “digital golem” che rinnega e distrugge metodicamente l’energia primordiale del corpo e dell’anima umana, della natura e della coscienza intima e cosmica.
Ma infine, nelle ultime due sequenze, The Cosmic Dream Machine e Terra Nullius, l’esposizione digitale dei soggetti umani mette capo – tramite un’ipersilenziosa ed inquietante epifania del buio ed una eclissi solare con paradossale dominio lunare, minuziosamente descritta e dalle conseguenze astronomiche collassanti – ad una davvero apocalittica assimilazione psichedelica e spersonalizzante del mondo umano al cosmo, ritmicamente evocata nel pathos di un flusso linguistico-tipografico variato, che sfocia in una sospesa punteggiatura dell’indicibile, tradotto in righe di punti di sospensione, paralleli alle pagine quasi interamente bianche che racchiudevano il silenzio della follia di Nietzsche nel libro precedente di Hanshe, il monumentale romanzo-saggio epistolare Closing Melodies (2023). Tali visioni evocano al lettore tanto quelle ignee della citata Apocalisse quanto quelle cinematografiche ormai classiche del capolavoro di Kubrick, 2001 – A Space Odyssey: la rivolta del cosmo contro la devastante specie umana si sigilla, e insieme si trasforma, in una renovatio mediante esplosione di fuoco – la ricordata ekpyrosis– in un ritorno del cosmo stesso ad un caos, che viene musicalmente scandito sul binomio Aqua nullius – Terra nullius dalla misteriosa banda (orma orfico-dionisiaca e plurima) di musicisti e naviganti cosmici, in simbiosi con l’innocente mondo animale ed astrale.
Un libro strettamente “inattuale” nel senso nietzschiano prediletto dal suo autore e, lo speriamo, dal nostro tempo così privo di speranza da essere ormai maturo per una nuova, incognita ma totale quanto profonda e necessaria sacralità.

Rainer J. Hanshe

Per commentare gli articoli è necessario essere registrati
Se sei un utente registrato puoi accedere al tuo account cliccando qui
oppure puoi creare un nuovo account cliccando qui
Commenta la notizia
Devi essere connesso per inviare un commento.