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Rivista internazionale di Letteratura – International Journal of Literature
Diretta da Daniela Marcheschi

Il dottor Pistelli, figura solitaria e gentile

Taccuino di lettura. Il protagonista assomiglia molto al suo autore, Alessandro Trasciatti, ma questo non vuol dire che tutto quello che capita all’uno sia capitato anche all’altro. A volte sì, a volte in parte, a volte no ma avrebbe potuto. Ognuno è libero di credere ciò che vuole

Mariapia Frigerio

Il dottor Pistelli, figura solitaria e gentile

Alessandro Trasciatti ci è sempre piaciuto e non per il suo essere «fantozziano» (citiamo dall’introduzione al libro di Sebastiano Mondadori), come nel caso del dottor Pistelli, ma per l’inventiva sul nulla, per la scrittura che saetta, per la capacità nel raccontarsi di raccontarci.

Raccontarsi? Trasciatti lo scrive chiaramente: «Il dott. Pistelli assomiglia molto al suo autore, ma questo non vuol dire che tutto quello che capita all’uno sia capitato anche all’altro. A volte sì, a volte in parte, a volte no ma avrebbe potuto. Ognuno è libero di credere ciò che vuole».

E c’è da essere felici che dopo tanti rifiuti del genere “racconto” da parte delle case editrici, finalmente se ne sia capito il valore.

Pensiamo a Marsilio, a La nave di Teseo e anche a Tralerighe, perché la gente ama (e il mercato la segue) i pachidermi, ma c’è anche chi, come noi, predilige l’agilità delle gazzelle.

Trasciatti, che dai suoi racconti sappiamo avere qualche chilo in più, è, nella scrittura, una gazzella.

Di lui già ci avevano estasiate le Prose per viaggiatori pendolari, con racconti brevi, alcuni brevissimi, veri e propri flash, fulminanti e all’epoca avevamo avuto modo di parlarne con un suo grande (in doppio senso) estimatore, Manlio Cancogni.

Qui le vicende del dottor – non ancora dottore – Pistelli si susseguono come le onde sulla battima, l’una ricopre l’altra, per poi essere risucchiate dallo stesso mare: il mare – per citare il sottotitolo – di «una vita in ritardo».

C’è nella scrittura di Trasciatti tanta sottile ironia, ma, aggiungerei, anche tanta gentilezza.

Una gentilezza d’animo che si percepisce ovunque tra le “sue” righe.

Il dottor («titolo non posseduto con cui tutti lo appellavano, vista la lunga militanza universitaria») Pistelli fa parte di una generazione di intellettuali trentenni disoccupati, fa l’archivista, fa il portalettere (come non pensare a Il postino Roulin di Van Gogh) di cui ci descrive l’ambiente di lavoro come una «sorta di monotona pazzia collettiva, di coazione a ripetere di gruppo».

Una vita che si aggira circospetta tra cucine della nonna, sabati solitari, un amore lungo e tormentato, il rapporto con i gatti, una tesi a cui non si riesce a mettere la parola fine, una creola a pagamento per «la sua carriera amatoria […] iniziata tardi e male», i disastri di Ferragosto, il pensiero di Dio, l’esigenza del benessere fisico tra palestre in e pugilato, la panchina alle Tuileries da dividere con una certa Josephine.

E ancora la politica da cui rimugina «piani di fuga», la città in cui vive, ma che vorrebbe abbandonare «perché troppo angusta e provinciale», il senso di smarrimento e il lasciarsi «scivolare in quel gorgo memoriale singhiozzando piano, isolato dal mondo».

Geniale a questo punto il fatto di aver inserito, al termine del libro, la piccola rassegna critica.

Ci sono tre lettere della Garzanti.

Lettere di rifiuto con tutti i crismi di una vernice di garbo, del politicamente corretto.

Si dice mezza cosa positiva per poi negarla con una interamente negativa.

Però definire il dottor Pistelli «un borghese piccolo piccolo, antipatico, carognetta, querulo, vagamente repellente» ci sembra un’interpretazione decisamente superficiale e riduttiva, nonché errata.

Pistelli non è ai nostri occhi né antipatico, né carognetta (ma che termine…), né vagamente repellente! E neppure un borghese piccolo piccolo di monicelliana memoria.

Dopo le tre missive di Garzanti, passiamo alle due della Einaudi che continua come d’obbligo, prima del no definitivo, col palleggio positivo-negativo.

Qui infatti abbiamo «invitante e insoddisfacente»: un più e un meno che, algebricamente, si elidono.

Ma ciò che ci ha lasciati basiti è l’affermazione che c’è «qualche brano memorabile come quello sul negozio di formaggi o sul Ferragosto».

Sul Ferragosto concordiamo (l’abbiamo infatti nominato), ma il negozio di formaggi?

Leggi e rileggi: introvabile. Perché? Perché non c’è e la casa editrice torinese ha fatto uno scivolone (forse un complimento indiretto?) citando un passo tratto da Palomar di Calvino.

In Conflitto di interessi il poeta Roberto Amato, nonché biografo dell’autore (da qui il conflitto di interessi), resiste ai facili entusiasmi, ma pone l’accento su L’istinto dell’archivista, Il tormento del portalettere, Amori e disastri di Ferragosto.

Ma di certo la disanima più completa del suo libro la fa lo studioso Paolo Vanelli, titolando il suo intervento Pistelli, personaggio in esilio dalla vita.

Vanelli vede nel protagonista «una latente sofferenza, un disagio» e non esita a definirlo, riprendendo la definizione sveviana, un «inetto».

Rileva inoltre tra i temi quello della solitudine – trasversale a tutti i racconti – e anche i sogni che, forse, ne sono l’antidoto.

Poi l’alienazione, l’incomunicabilità, l’introversione, la malinconia e la noia.

E lo definisce uno «scrittore di razza», visto che narra le vicende del Pistelli non in un romanzo organico, «ma in una teoria di racconti».

Nota inoltre nel Trasciatti una «sapienza narrativa» basata tutto sommato su «un materiale opaco», su «una vita che, invece di essere vissuta, viene solo sfiorata».

Bello l’apporto illustrativo di Nazareno Giusti, per cui se a qualcuno dovesse annoiare (impossibile, credete) la lettura, potrebbe fare suo quanto disse Andy (Warhol): «Io non leggo. Guardo solo le figure.»

 

Alessandro Trasciatti, Il dottor Pistelli, Lucca, Tralerighe libri, 2024

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