Corso Italia 7

Rivista internazionale di Letteratura – International Journal of Literature
Diretta da Daniela Marcheschi

Il fatto religioso

Siamo immersi in fatti religiosi dalla nascita alla morte. Pellegrinaggi, processioni, feste popolari, preghiere, comunioni, cresime, matrimoni, circoncisioni, ritualità di vario genere e di ogni confessione. Il fotografo cerca di registrare, un passo fuori da ogni situazione; pur conoscendo le forme attende di ritrovarvi il senso che le muove, il mistero che sottendono, le relazioni che intercorrono. Occorre far tacere la ragione e cercare di comprendere qualcosa che va alla radice dell’essere

Carla Morselli

Il fatto religioso

Quando si fotografa occorre sapere quali saranno gli elementi necessari del racconto per immagini, l’inquadratura frontale, il totale, un controcampo, i particolari e le relazioni. Si deve prevenire quel che accadrà, essere al posto giusto; non ci si può immedesimare del tutto in quel che avviene, si perderebbe l’immagine, lo scatto giusto. Si è fuori e dentro quel che succede, non si tratta più della nostra visione soltanto, ma di quella che servirà a rappresentare al meglio la situazione.

Non ci appartiene il tempo, si diventa puro strumento: si resta ragionevoli ma in funzione del racconto dei fatti e delle persone. Insomma, ci si sente un po’ storditi, quasi non si riesce a riflettere; il corpo va inseguendo immagini che sono lì chiuse nello stereotipo degli abiti e delle forme, nella concentrazione dei gesti. Nello stesso tempo ci si deve mimetizzare fin quasi a diventare parte dell’ambiente e a lasciare che tutto fluisca indipendentemente da noi. In breve, il fotografo c’è, ma più diventa uguale agli altri più la spontaneità potrà fluire. La visione non potrà comunque essere neutra.

Se si tiene conto che la maggior parte del lavoro di un fotografo è su commissione, si comprende quanto tempo del lavoro stesso sia dedicato a fotografare riti e cerimonie di ogni genere.

Siamo immersi in fatti religiosi dalla nascita alla morte. Pellegrinaggi, processioni, feste popolari, preghiere, comunioni, cresime, matrimoni, circoncisioni, ritualità di vario genere e di ogni religione.

Si pensa che tutto filerà liscio, che si ripeterà qualcosa di comune, di conosciuto. In realtà ogni volta l’atmosfera è diversa e si carica delle emozioni di chi partecipa fino alla commozione, al riso o alle lacrime. Il fotografo cerca di registrare, un passo fuori da ogni situazione; pur conoscendo le forme attende di ritrovarvi il senso che le muove, il mistero che sottendono, le relazioni che intercorrono. E non può che stupirsi di quel che avviene oltre la formalità del rito, oltre i simboli e i modi. Occorre far tacere la ragione e cercare di comprendere qualcosa che va alla radice dell’essere: la sua richiesta di felicità e di senso, il suo mistero.

Elenco brevemente qualche fatto.

Fra le feste popolari religiose, quella di Sant’Agata a Catania è significativa di un sincretismo fra sacro e profano. La festa comincia una settimana prima che si svolga la grande processione dei ceri.

La città si prepara con piccole processioni spontanee. I partecipanti sono vestiti di bianco: un fiume di uomini in vesti e guanti bianchi attraversa le strade scure della città portando enormi ceri. Alcuni ceri hanno un diametro di 40 o 50 centimetri, tanto che, il giorno dopo, le strade sono coperte dallo spesso strato della cera colata a terra. Le poche donne che partecipano portano una veste verde.

Il tempo è come sospeso. Commemorazioni religiose a parte, quel che è palpabile, la sera della domenica, nella piazza gremita ad ammirare i bellissimi fuochi d’artificio, è un sentimento di uguaglianza, che al di fuori di quel contesto potrebbe spaventare chiunque. Come si saluteranno domani gli uomini che hanno partecipato a tutto questo oggi? La festa si ripete tutti gli anni all’inizio di febbraio.

Una volta ho avuto l’incarico di fotografare una milà ossia una circoncisione. Nonostante le rassicurazioni preliminari del committente, restai sorpresa e stupita della commozione che traspariva in tutte le persone della casa. Tutti erano coinvolti emotivamente fino alle lacrime, anche il trono vuoto del profeta Elia (tradizionale elemento-presenza di questa cerimonia ebraica) pareva vibrare.

Lourdes

Seguendo molte volte i pellegrinaggi a Lourdes si nota che l’aria fredda, il fiume Gave de Pau che corre veloce, l’umidità che aleggia, il sentimento di preghiera costante che si solleva verso la Vergine della grotta, fanno del luogo una Chiesa a cielo aperto. Qui i sentimenti di attenzione all’altro, ai malati soprattutto, rivelano una tenerezza fuori dal comune. A ben vedere, chi cerca la sua anima può veramente trovarla. Alle vasche dove si fa il bagno c’è sempre qualcuno che aiuta ad immergersi, e la fila è costante. Non c’è da stupirsi dei miracoli: la densità dell’acqua di Lourdes è la densità della fede.

San Gennaro

Le invocazioni che i fedeli rivolgono ogni 19 settembre a San Gennaro sono una richiesta di liberazione dalla sofferenza dei giorni, dal pericolo che si corre vivendo. Il duomo di Napoli si riempie di fedeli che si rivolgono al Santo anche imprecando, urlando e chiedendo; l’aria è surriscaldata, ma un certo ordine regna, nonostante la tensione generale: siamo in chiesa. Colpiscono i volti tesi e drammatici. Il vescovo alza l’ampolla e mostra il sangue che si scioglie sempre o quasi.  Si scioglie pure all’insaputa di tutti, mi raccontano, non solo a Napoli, ma anche nella chiesa di Pozzuoli.

A Gerusalemme tutte le religioni monoteistiche sono contigue, e la convivenza sarebbe anche possibile, lo è stata per molti anni. In questo momento non è più così e ogni gesto, può divenire motivo di scontro. I modi della preghiera sono costanti, le religioni mostrano i loro abiti rituali nel quotidiano, si intravedono sotto le giacche i tefilim di chi va a pregare al muro. Molti pregano con le coroncine musulmane o misbaḥah fra le mani. Le processioni della Via Crucis lungo la via dolorosa dei pellegrini sono un’altra costante; i pellegrini ripercorrono le tappe della vita e della passione di Cristo.

Il Santo Sepolcro

Il Santo Sepolcro è controllato dalla Chiesa Ortodossa greca, dalla Chiesa Cattolica attraverso la Custodia di Terra Santa dei Frati Minori Francescani, dalla Chiesa Apostolica armena, dalla Chiesa Ortodossa copta e dalla Chiesa Ortodossa siriaca. L’accordo chiamato dello Status quo ha affidato la chiave del Santo Sepolcro a due famiglie arabe che si occupano di aprirne e chiuderne le porte, onde evitare liti. I frati francescani, di notte, dormono dentro per non perdere i diritti alle postazioni all’interno del Santo Sepolcro.

Nella città tutto sembra muoversi in funzione delle cerimonie e delle preghiere religiose.

Ma religione e politica si mescolano. La città è divisa in settori e soldati armati la presidiano.

Si resta osservatori incapaci di valutare quel che ci circonda. Noi, alle affermazioni identitarie, preferiamo le relazioni che rimettono in contatto le persone nella vita quotidiana.

Assisi

Nel 1986 ero ad Assisi, e le preghiere di ogni religione costituivano un coro unico: indiani d’America, shintoisti, ebrei, musulmani, cattolici, cristiani ortodossi, buddisti. Tutti parlavano la stessa lingua, quella della preghiera: era straordinario. Nonostante il freddo, ognuno vestiva i propri abiti tradizionali. Le immagini raccontano qualcosa del giorno, delle corse sotto la pioggia, dei segretari dei prelati stranieri incontrati per strada, della nudità dei Sioux, degli abiti colorati degli africani, del freddo che congela chi prega sotto l’acqua, della piccola Madre Teresa che si fa largo tra la folla.

Mi è parso di riconoscere una sorta di amicizia circolare fra tutti, quasi a consentire un riconoscimento dell’altro ben oltre la fede che ciascuno aveva nella sua religione, ben oltre i luoghi destinati ad ognuno. La distinzione fra le religioni era lì evidente eppure nessuna era confusa con l’altra, come se tutto questo potesse aprire a una diversa conoscenza, così semplicemente, attraverso la poesia della preghiera. Oltre rituali.

Mi sono fatta domande su quanto ognuno sia condizionato dalla religione a cui è educato fin dalla nascita, su come non vi sia mescolanza fra le diverse forme di religione, su quanto sia difficile conoscere a fondo le altre religioni e quasi impossibile lasciare la propria. Sul perché nella mia vita io abbia assistito a tanti eventi religiosi e all’inevitabilità di dovermi porre questo problema, ma anche sull’incapacità di darmi risposte.

Ho fatto cento chilometri del cammino di Santiago con un gruppo di amici. Avere il peso delle macchine fotografiche sulle spalle è stato fin da subito penalizzante. Ero l’ultima della fila; in salita poi era veramente difficile. Ho vissuto le tappe, le difficoltà e il disagio di qualche ostello in cui non era possibile addormentarsi. I paesaggi verdi e freschi della Galizia, le dinamiche personali, il camminare, ma soprattutto la presenza di un sacerdote che è un amico speciale, attento e capace di ascolto, hanno però determinato l’armonia del viaggio. Molti sono stati gli incontri, ho apprezzato una tranquillità determinata da un percorso non commercializzato. Quanto di Cristianesimo vi è in noi e cosa è la fede?

La meditazione zen aiuta a lasciarsi attraversare dal silenzio alla ricerca del presente. Il respiro, simbolo di vita e morte, si quieta sui nostri limiti.

Il lavoro della fotografia insegna a tacere e a osservare.

In apertura (“Orvieto”), e all’interno, foto di Carla Morselli

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