Corso Italia 7

Rivista internazionale di Letteratura – International Journal of Literature
Diretta da Daniela Marcheschi

Il lungo viaggio di Giuseppe Baretti

Un caos di roba, lettura drammatizzata da G. Baretti, per la regia di Marco Solari con Marco Solari, Guidarello Pontani e Alessandra Vanzi[Seravezza, Teatro Scuderie Granducali, 3 maggio 2019; Roma, Auditorium, 11 maggio 2019]

Mariapia Frigerio

Il lungo viaggio di Giuseppe Baretti

Benedetto Croce lo definì focoso, impaziente, burbero, bisbetico. A questo elenco di aggettivi si potrebbe aggiungere “viaggiatore”, non solo per i viaggi che compì in Italia e in Europa nei suoi settant’anni di vita, ma anche per quelli post mortem, visto che Giuseppe Baretti è approdato a Seravezza quasi per autopresentarsi in Un caos di roba, spettacolo messo in scena dagli “storici” attori della Gaia Scienza a chiusura della prima giornata del Convegno internazionale a lui dedicatogli, per raggiungere infine Roma l’11 maggio.

Se è merito del MiBac avere sottratto all’oblio questo «ribelle conservatore» istituendo, a trecento anni dalla nascita, un Comitato Nazionale per le Celebrazioni del Tricentenario del grande torinese, su proposta del Centro Internazionale di Studi Sirio Giannini d’intesa col Comune di Seravezza, è anche vero che, incaricati di ideare una performance in suo onore, gli attori Marco Solari, Guidarello Pontani, Alessandra Vanzi hanno permesso a chi ne aveva una conoscenza superficiale di conoscerlo direttamente, come solo può fare uno spettacolo ben riuscito e per quella magia che è parte integrante del teatro.

Così, nel Teatro Scuderie Granducali di Seravezza, eccolo il nostro Giuseppe Baretti raccontare, conversare, far schioccare un’enorme frusta verde, elencare gli autori amati e quelli disprezzati ripercorrendo momenti curiosi della sua vita.

Un’operazione impegnativa quella sostenuta da Marco Solari per creare un montaggio di testi che, a prescindere dal valore letterario di questo autore importante e in parte scordato, «poco studiato a scuola e ingiustamente misconosciuto», avesse un riscontro teatrale. Insomma un insieme di testi e di vita, perché «il teatro deve anche divertire».

E la sensazione prima che prova lo spettatore è proprio quella che l’autore-regista e gli attori si siano anche divertiti, che questa loro non comune sintonia si propaghi tra il pubblico e tra il pubblico e Baretti.

C’è in questo spettacolo tanto del grande torinese: la critica ai letterati, le disquisizioni sulla lingua, il suo viaggiare tra le parole e le cose, gli incontri, il processo, l’odio e l’amarezza.

Idee e spaccati di vita che entrano in scena direttamente nel suo studio di Londra, un interno dimesso (uno scrittoio pieno di roba, un paravento, una poltrona e un tavolino con gli scacchi) con una domestica che spolverando resta stupita da quanto abbia scritto. Poi è lo stesso protagonista (un penetrante Guidarello Pontani), a sedersi alla scrivania, a interagire con i due coprotagonisti e a raccontare il suo inizio da istitutore a «Esteruccia», a cui insegna la lingua italiana attraverso modi di dire e proverbi, perché la lingua è una «cosa viva e morde», per questo è importante ascoltare le voci del popolo e apprenderne la grandezza. «Esteruccia» altri non è che la figlia della salottiera Mrs Thrale (un’incantevole Alessandra Vanzi), frequentata da Baretti, ma dopo la pubblicazione delle lettere di Johnson da lei curate e, ancor più, dopo il suo secondo matrimonio con il cantante italiano Gabriele Piozzi, avversata, per un intricato groviglio di sentimenti: non esita infatti a definirla «vecchio fagottino di lussuria» fino a scrivere all’amico milanese Francesco Carcano una lettera contro la «puttana».

È poi il «bravaccio con frusta» che, facendo schioccare sotto gli occhi del pubblico la sua verde, sa di essere una vera e propria minaccia per gli scrittori, inimicandoseli con La frusta letteraria.

Nel suo studio, dove aleggiano idee e spaccati di vita (le accuse contro Voltaire, il processo per l’uccisione di un malvivente, la testa del turco ritratto da Reynolds, gli scacchi, l’elenco degli autori sì e di quelli no), lo spettatore in parte sbircia, in parte è quasi chiamato in causa e a interagire con la vita dell’autore. Così da questo antro ci appare l’uomo pieno di contraddizioni e di amarezze, irriducibile a sottomettersi ad alcuna autorità, che resta comunque un esempio per il giornalismo moderno.

Originalissima la scelta delle musiche, in particolare quelle di John Cage dedicate a Marcel Duchamp scacchista, e dei costumi in giusto equilibrio tra ‘700 e ‘900.

Attori superlativi per uno spettacolo di ironia sopraffina, che di certo Baretti avrebbe apprezzato e applaudito insieme agli spettatori.

Foto di Mariapia Frigerio

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