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Rivista internazionale di Letteratura – International Journal of Literature
Diretta da Daniela Marcheschi

“Il maiale e lo sciamano”, i nuovi racconti di Roberto Barbolini

“Un Fellini della scrittura”, secondo Cesare Garboli. Lo scrittore ha pubblicato numerosi romanzi, saggi e raccolte di racconti. Per La Nave di Teseo è dal 3 dicembre in libreria con una nuova raccolta di testi in cui si esplora il tragicomico intreccio fra le “basse voglie” del corpo e il richiamo insopprimibile del sacro nell’epoca della sua impossibilità

Roberto Barbolini

“Il maiale e lo sciamano”, i nuovi racconti di Roberto Barbolini

Per gentile concessione dell’Autore, riportiamo uno dei racconti, quello che da’ il titolo al volume. La prossima settimana ne presenteremo un altro. Buona lettura.

IL MAIALE E LO SCIAMANO

IIl maiale ronfava beato, sbattendo ogni tanto gli occhietti infestati di mosche; la Marcolfa lo guardava sogghignando. Il fango rappreso sulle setole dava alla pelle rosata del bestione una tonalità scura che lo faceva somigliare a un cinghiale. Anche la Marcolfa aveva qualcosa di poco uma- no, una specie di malizia selvatica che le stirava le labbra in una maschera grottesca. Mentre spiava dall’alto il sonno del ’nimèl, la sua faccia scolpita in arenaria sembrava pronta a scongiuri da strega. Sant’Antonio li osservava entrambi, impassibile come un indio, l’occhio color mescalina infossato dietro la trincea delle sopracciglia corrugate, i capelli incolti che gli scendevano sulle spalle in riccioli bianco-giallastri. Lui e il maiale erano praticamente inseparabili. Fratelli di piova e di stravento, di mota e di pulci.

Alla Rocca li conoscevano tutti, quell’uomo che viveva come un porco e quel porco che, a furia di stare con un uomo, s’era messo a sfoggiare una cert’aria di superioritàe gli mancava solo la parola (…) Fu Silvio, che aveva studiato dai preti, il primo a pensare a Sant’Antonio e al suo inseparabile porcello (…) Così tutti cominciarono a chiamare lo straniero Sant’Antonio (…)

Adesso, sdraiato al sole nella piccola radura davanti al metato, mentre il ’nimèlgrugniva nel sonno emettendo a tratti strani borbottii da stufa, lo straniero s’immaginava al posto della vecchia befana pietrosa, immergendosi piano piano in una specie di sopore ipnotico. Gli sembrava che i suoi stessi occhi si fossero staccati da lui e, saltellando sui bulbi come strani rospi in mezzo all’erba, si stessero arrampicando a piccoli balzi vischiosi lungo il metato, su su, fino alla formella della Marcolfa. Con un ultimo saltello i bulbi entrarono nelle orbite della vecchia che si mise a roteare le pupille, mentre la sua fisionomia si allungava nel muso di una lucertola e dalla bocca una piccola lingua biforcuta usciva a frustare l’aria. Con le droghe lo straniero aveva chiuso da un pezzo, ma ogni tanto la lucertola tornava a farsi viva con lui come ai tempi del peyote, quando aveva mollato su due piedi la band per ritirarsi nel deserto del Nevada a fare lo sciamano. C’era rimasto quaranta giorni, come Gesù Cristo, e là gli si erano spalancate le porte della percezione. Era rientrato a L.A. più ieratico che mai, carico d’energia e di Lsd fino a scoppiare. Per la band era stato un vero elettroshock, da un giorno all’altro erano balzati in cima alla hit-parade, più svelti dei rospi che gli erano appena usciti dalle orbite per penetrare negli occhi di lucertola della Marcolfa. (…) Mentre con occhi di lucertola fissava dall’alto il proprio corpo disteso sul prato accanto al maiale, lo straniero ricominciava a non essere più lui. Si sentiva trasportato via, lontano dalla sua carcassa avvinta alla realtàbruta, in uno spazio cosmico dove il peso materiale delle cose sprofondava infinitamente verso uno zero inondato di luce. Fu in quel momento che Pino e gli altri entrarono in azione.

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