Corso Italia 7
Rivista internazionale di Letteratura – International Journal of LiteratureDiretta da Daniela Marcheschi
[ Un racconto ]
LA PASSEGGIATA
Era troppo stanca, per andare in bicicletta, non ci sarebbe andata. Però se la sarebbe portata dietro. Non voleva che Mary, la cameriera, la usasse. Era la sua.
Antonia sapeva che la madre ci teneva a che facesse almeno un piccolo giro, ogni giorno.
«Fanculo, mamma! A te e alla bicicletta!», pensò.
Avrebbe detto che ci era stata, ecco che avrebbe fatto. Tanto sua madre non se ne sarebbe mai accorta.
La raggiunse Virginia che andava a studiare in biblioteca. Stava prendendo la macchina.
«Che bisogno hai di prendere la macchina? Perché non vai con la bicicletta?», chiese Antonia alla sorella.
«Perché stasera torno tardi…e tu?»
«Io vado in bici, non mi vedi?», disse lei.
«Ti vedo. Brava. Sono di corsa, a dopo…», rispose Virginia.
Antonia la guardò andar via. Il cane della vicina le si avvicinò. Teneva la coda bassa e scodinzolava. Sentì il bisogno di dargli un calcio. Le finestre di Maria Sole, la padrona di Randi, davano sul cortile. Antonia spinse la ruota davanti della bicicletta verso il cane, che la evitò, e le si avvicinò comunque, la coda bassa e gli occhi acquosi, occhi di chi vuole bene a tutti.
«Vattene…», disse lei a bassa voce.
Il cane, come se gli avesse detto una cosa carina, si avvicinò di più.
Come per caso, lei lasciò cadere la bicicletta, che lo sfiorò soltanto.
Il cane indietreggiò, ma non si era spaventato. La guardava da poco distante, la testa dritta, come una persona che aspetti di essere richiamata.
Antonia ebbe un’idea. Con un po’ di fatica, perché la madre le aveva alzato il sellino, salì sulla bicicletta.
La maledì: «Con la sella così bassa, non ti serve a niente!», le aveva detto. Antonia sbuffò. Non era brutta, come ragazza. E forse se avesse accettato di non essere la prima ragazza del mondo, la più bella, la più intelligente, forse sarebbe stata anche meno infelice.
Passava il tempo a sorvegliare la cucina, e a rubare pezzi di torta, o scatole di cibo, buste di salmone, contenitori di roba che sua madre o Mary, la domestica filippina, mettevano a congelare. La madre la sgridava solo quando non ne poteva proprio più. E allora diceva cose cattive: «Sei insopportabile, Antonia! Perché non aspetti l’ora di pranzo? Smettila di evitarci! Ma come fai a non capire che ti stai rovinando la vita?».
Però di solito, poiché si riteneva un’esperta di antropologia, taceva.
Antonia era convinta che, tutte le volte che rubava qualcosa e se la divorava dietro un cespuglio, (nel bagno, o dietro la macchina, in fondo alla strada, o, se la casa era vuota, davanti a Mary) in fondo, lei stava ristabilendo una qualche forma di giustizia.
Lei era la più intelligente, lei era la più bella… be’, forse proprio bellissima no, Virginia era più carina di lei, però, allora, aveva comunque ragione, nel voler ristabilire una qualche forma di giustizia: «Oh, Dio, perché non mi hai fatto nascere la migliore?», implorò. «Bastava metterci un po’ più di cellule di papà, e meno di quella deficientedella mamma. A quest’ora, invece che su questa stronza di bicicletta con questo stronzo di cane, che fra qualche istante sperderò, sarei in qualche albergo, immersa in una splendida vasca da bagno, con la musica dei Draft Punk, e i migliori cioccolatini del mondo fra le mani!»
Il cane la stava seguendo. Avevano imboccato la ciclabile che portava alla piscina. Pedalava piano. La madre le aveva detto di arrivare fino al centro sportivo. «Se ogni giorno farai un un paio di chilometri, alla fine ti sentirai meglio!», le aveva gridato dalla camera da letto. Avrebbe voluto aggiungere, «E sarai anche meno pazza!», ma non lo fece.
«Perché dovrei…», aveva risposto Antonia. E anche lei, come la madre, il secondo pezzo di frase non lo aveva detto, «…sentirmi meglio!», aveva pensato.
Il cane le stava camminando davanti, adesso.
Fermò la bicicletta. Scese dal sellino. I piedi puntati per terra.
«Il cane trotterella…», pensò. Appoggiata al manubrio della bicicletta, lo guardava. C’era un’ armonia nel modo in cui muoveva le zampe: le due davanti, si muovevano in perfetto accordo, con quelle di dietro.
Era divertente. Non facevano rumore, ma era come se lo facessero.
«Tlo tloc… tlo tloc…», pensò Antonia.
Si girò indietro a guardare le case. Non c’era nessuno. Praticamente lei stava facendo fare una passeggiata al cane di Maria Sole, pensò, e non era giusto.
«Randi, vieni qui!», disse. «Torna indietro!». Aveva messo la bicicletta per traverso, adesso.
«Vattene a casa, forza!», ripeté.
Il cane si fermò, la guardò, fece un movimento con la testa, come a dire, «Dai, andiamo!», e procedette.
«Ma perché io devo portare in giro il tuo cazzo di cane, oh, Maria Sole!», disse ad alta voce, allora. «In questo momento tu starai leggendo, o facendo l’amore con quell’atroce del tuo fidanzato!».
Il cane si era allontanato. Stava annusando l’erba al bordo della strada. «Che poi, se solo riuscissi a incontrarlo da sola, e se ne avessi voglia, cara stupida, la mia quarantenne del cazzo, se io volessi, te lo potrei anche fregare il tuo fidanzato! Brutta vecchia del cazzo! Randi, vieni qui!».
Il cane, adesso, era entrato nel prato.
Anche se c’era l’erba alta, riusciva lo stesso a correrci in mezzo. «Randi!», lo chiamò lei. Il cane continuava a correre nell’erba alta.
Antonia risalì sulla bicicletta, ricominciò a pedalare. Piano, all’inizio, poi più veloce. In quella strada non c’erano macchine, e almeno la paura di finire sotto un camion, se la poteva evitare.
Pedalava forte adesso, sicura, sentiva caldo, voleva arrivare al centro sportivo senza mai fermarsi. Una volta arrivata là avrebbe mangiato una focaccia fredda, e avrebbe preso una Coca. Se lo meritava. E anche una barretta di cioccolato. E non avrebbe pagato lei, avrebbe fatto segnare sul conto di suo padre, visto che glielo aveva detto esplicitamente, di non lasciare debiti in giro. Visto che pensava che la sua vita fosse altrove, e che sicuramente preferiva stare con la sua donna, invece che con lei e sua madre, almeno pagarle la merenda. Pedalava e pedalava, cercando di non pensare a Randi.
Sapeva che Maria Sole non voleva che il cane uscisse dal cortile. Si era già perso due volte. La prima volta aveva seguito Anita, l’altra vicina, la seconda sua madre, e tutte e due le volte qualcuno aveva telefonato, per dire di andarselo a riprendere. Ma era delle macchine, che Maria Sole aveva paura.
«Perché non se lo controlla lei, il suo cane?» pensò Antonia. Fermò di nuovo la bicicletta. Scese dal sellino. Si voltò. Il cane, al centro della strada, la stava raggiungendo di corsa. Le orecchie aperte che gli disegnavano una specie di aureola tutto attorno alla testa, e la bocca aperta, come se sorridesse, le stava andando incontro come una persona arrivata in ritardo alla stazione. Correva quasi come se volesse recuperare il tempo perduto, per stare assieme.
La raggiunse.
«Ehi!», sorrise Antonia. «Vieni qui!». Il cane si mise a farle le feste. Le saltava sulle ginocchia. Lei gli fece un cenno con la mano, sulla coscia, «Qui!», disse. Lui le appoggiò le zampe sul braccio. La leccò, un gesto che equivaleva a un bacio.
«No! Stai giù! Basta! Stai giù!», disse. Il cane rimise in terra le zampe. Poi annusò l’asfalto. Fece qualche metro. Di nuovo si infilò nel prato, ma dalla parte opposta della strada, questa volta, dove l’erba era molto più alta.
Antonia ebbe paura che potesse farsi male. Sentiva molto caldo. Con la bicicletta appoggiata dietro la schiena, guardava il campo, e cominciò a pensare a cosa sarebbe successo se una vipera avesse morso Randi. Sua madre glielo diceva sempre, quando era piccola, «Non andartene in giro da sola! E’ pericoloso!».
Lo chiamò. «Randi! Vieni qui!». Il cane doveva essersi accucciato, perché non lo vedeva più. Allora si sporse un poco, sulla punta dei piedi. Alzò la testa.
L’erba era troppo alta.
«Ma perché deve arrivare l’estate, a un certo punto!», pensò.
E, «Che palle!», gridò.
«Vieni!», questa volta lo urlò. Di nuovo in punta di piedi. Non lo vedeva, ma poteva immaginare che fosse lì, giù. Lasciò la bicicletta poggiata per terra, su un lato, con gentilezza.
Raggiunse il bordo della strada, come prima Randi. Aveva paura di inoltrarsi in mezzo alle erbacce. Aveva delle ballerine di stoffa che non le proteggevano i piedi.
«Randi!», chiamò. Poi vide l’erba agitarsi, come se un vento forte la smuovesse dal di dentro. E vide la schiena del cane, pezzata di bianco e marrone.
Si batté una mano sulla coscia. Il vestito a fiorellini blu e celesti, bianco, le rimaneva appiccicato addosso, quando faceva quel gesto.
Randi uscì dall’erba alta con un po’ di fatica.
Aveva in bocca un piccolo cespo di verdura, o qualcosa che gli assomigliava. Antonia si piegò su un ginocchio, la gamba nuda davanti al muso del cane che poggiò per terra, per Antonia, il suo regalo: un topo.
Doveva essere morto già da un po’, perché la testa ce l’aveva completamente schiacciata, da una parte. Si vedevano benissimo i dentini. La ragazza indietreggiò, col piede sinistro colpì la ruota della bicicletta, che cominciò a girare. Randi si piegò sulle zampe davanti, lasciando immobili quelle di dietro. Era il suo modo di dire che voleva giocare. Antonia lo sapeva. La ruota della bicicletta continuava a girare.
THE WALK
She was too tired to ride a bike, she would not have gone there. But if she took it with her. She did not want Mary, the maid, using it. It was hers.
She knew that her mother wanted to her to do at least a little tour, every day.
“Fuck you, mom! To you and your bike!” she thought.
She would have said that she was there, that is what she would have done. So her mother would never have noticed.
She met Virginia who was going to study in the library. She was taking the car.
“Why do you need to take the car? Why not go with the bike? “, she asked her sister.
“Because I am coming back late tonight … and you?”
“I ride my bike, do not you see me?”
“I see you. Great. I have to run, see you later …,” said Virginia.
Antonia watched her go. The neighbour’s dog came up to her. He kept his tail low and wagged it. She felt the need to give him a kick. The windows of Maria Sole, the owner of Randi, overlooked the courtyard. Antonia pushed the front wheel of the bicycle to the dog, who dodged, and still approached her, with lowered tail and watery eyes, the eyes of someone who loves everyone.
“Go away …” she said softly.
The dog, as if she had said something nice, moved closer.
As if by accident, she dropped the bike, which only touched him.
The dog backed away, but was not scared. He watched her from a short distance, his head straight, like a person who expects to be recalled.
Antonia had an idea. With a little effort, because her mother had raised the saddle, she mounted on the bike.
She cursed her: “With the saddle so low, it is no use to you!” she had said. Antonia snorted. She was not bad looking, as a girl. And maybe if she had accepted that she was not the number one girl in the world, the most beautiful, the most intelligent, perhaps she would be less unhappy.
She spent her time overseeing the kitchen, and stealing pieces of cake, or tins of food, bags of salmon, containers of stuff that her mother or Mary, the Filipina maid, put in to freeze. The mother only yelled at her when she could not stand it any more. And then she said bad things: “You’re insufferable, Antonia! Why do you not wait till lunch time? Stop avoiding us! But how can you not understand that you’re ruining your life?“.
But usually, because she believed herself to bean expert in anthropology, she was silent.
Antonia was convinced that, every time she stole something and devoured it behind a bush (in the bathroom, or behind the car, down the road, or, if the house was empty, in front of Mary) in the end, she was re-establishing some form of justice.
She was the most intelligent, she was the most beautiful … well, perhaps not beautiful, Virginia was prettier than her, but then, she was right, however, in wanting to re-establish some form of justice: “Oh, God, why did you not arrange that I was born the best?,” she pleaded. “It would have been enough to put in a little more of dad’s cells, and less from that moron my mother. Then, instead of this bitch of a bike with this turd of a dog, which I will drive away in a few moments, I’d be in some hotel, located in a beautiful bath, with the music of the Draft Punk, and the best chocolates in the world in my hands!”
The dog was following her. They had embarked on the cycle path leading to the pool. She pedalled gently. The mother had told her to get to the sports centre. “If every day you do a couple of miles, eventually you’ll feel better!” she had shouted to her from the bedroom. She would have wanted to add, “And you’ll even be less crazy!” But she did not.
“Why should I …” replied Antonia. And she, like her mother, had not said the second part of the sentence , “… feel better!” she thought.
The dog was walking in front of her now.
She stopped the bike. She got out of the saddle. Her feet firmly on the ground.
“The dog trots …” she thought. Resting on the handlebars of the bike, she looked at him. There was a harmony in the way he moved his feet: the two in front, moving in perfect agreement with those behind.
It was fun. They made no noise, but it was as if they did.
“Tlo tloc … tlo tloc… “thought Antonia.
She turned back to look at the houses. There was nobody. Basically she was walking Maria Sole’s dog for her, she thought, and it was not fair.
‘Randi, come here! “she said. “Go back.” She put the bike sideways now.
“Go home, go on!” she repeated.
The dog stopped, looked at her, he made a motion with his head, as if to say, “Come on, let’s go!” and proceeded.
“But why do I have to go around with your fucking dog, oh, Maria Sole!” she said aloud, then. “At this moment you’ll be reading, or making love with your atrocious boyfriend.”
The dog had gone on further. He was sniffing the grass at the edge of the road. “What then, if only I could meet him alone, and if I feel like it, my dear stupid, fucking forty-something, if I wanted to, I could also pinch your boyfriend off you! Nasty old bitch! Randi, come here.”
The dog had now gone into the field.
Although there was high grass, he could still run into the middle. “Randi!”, she called. The dog continued to run in the tall grass.
Antonia got back on the bike, began pedalling. Slowly, at first, then faster. There were no cars on that road, and at least she could avoid the fear of ending under in a truck.
She pedalled strongly now, confidently, she felt hot, she wanted to get to the sports centre without stopping. Once arrived there she would eat a cold focaccia, and would take a Coke. She deserved it. And even a chocolate bar. She would not pay, she would sign for it on her father’s account, as he had told her explicitly not to leave debts around. Given that she thought his life was elsewhere, and he definitely preferred to stay with his woman, instead with her and her mother, he could at least pay for her snack. She pedalled and pealed, trying not to think about Randi.
She knew that Maria Sole did not want the dog to come out of the yard. He had already been lost twice. The first time he had followed Anita, the other neighbour, the second time her mother, and both times someone had phoned to say come and collect him. But it was the cars, that Maria Sole was afraid of.
“Why does she not keep it under control, it’s her dog?” thought Antonia. She stopped the bike again. She got out of the saddle. She turned around The dog was running towards her, in the middle of the road. With his flying ears drawing a kind of halo all around his head, and his mouth open, as if he was smiling, he was coming to meet her like a person arriving late at the station. He ran almost as if he wanted to make up for lost time, to stay together.
He caught up with her.
“Hey,” smiled Antonia. “Come here.” The dog began to greet her excitedly. He jumped up on her knees. She gestured with her hand on her thigh, “Here,” she said. He put his paws on her arm. He licked her, an act that was tantamount to a kiss.
“No! Stay down! Enough is enough. Stay down!” she said. The dog put his legs down on the ground again. Then he sniffed the asphalt. He walked a few feet. Again he slipped into the field, but on the opposite side of the road, this time, where the grass was much higher.
Antonia was afraid that he might get hurt. She felt very hot. With the bike leaning behind her back, she stared at the field, and began to think about what would happen if a snake had bitten Randi. His mother always told her when she was little, “Do not go out alone! It’s dangerous.”
She called him. “Randi!” Come here.” The dog must have crouched, because she could not see him any more. Then she stood up a little on her toes. She raised her head.
The grass was too high.
“But why does the summer have to come, at some point,” she thought.
And, “What a bore!” she shouted.
“Come!”, this time she screamed. Again on tiptoe. She did not see him, but she could imagine that he was there, down. She gently let down the bike to rest on the ground, on one side.
She reached the edge of the road, as Randi had done before. She was afraid to enter in the midst of the weeds. She had cloth dancing shoes that did not protect her feet.
“Randi!”, she called. Then she saw the grass become agitated, as if a strong wind was moving it from within. And she saw the dog’s back, mottled brown and white.
She clapped a hand on her thigh. The white dress with blue and sky blue flowers, stuck to her back, when she made that gesture.
Randi came out of the tall grass with a little effort.
He had a little clump of vegetables in his mouth, or something that looked like that. Antonia bent down on one knee, her leg naked in front of the muzzle of the dog who placed his gift to Antonia on the ground: a rat.
It must have been dead for a while, because its head had been completely crushed on one side. You could see the teeth very well. The girl stepped back and her left foot struck the bicycle wheel, which began to turn. Randi bent down on his front legs, leaving his rear legs immobile. It was his way of saying he wanted to play. Antonia knew that. The bicycle wheel continued to spin.
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