Corso Italia 7

Rivista internazionale di Letteratura – International Journal of Literature
Diretta da Daniela Marcheschi

L’arco di Artemide

Emily Brontë, Emily Dickinson, Virginia Woolf e Katherine Mansfield si riconobbero. Emily Dickinson ammirava l'altra Emily, la Brontë. Virginia Woolf definì Emily Brontë «l'erede spirituale di qualche antica profetessa». Virginia Woolf e Katherine Mansfield vissero nello stesso periodo, e si incontrarono.  Si passarono o ressero insieme il testimone. Di che cosa? Della verginità, della castità. Non fisica: la castità della mente

David Fiesoli

L’arco di Artemide

Emily Brontë, Emily Dickinson, Virginia Woolf e Katherine Mansfield si conobbero l’un l’altra, attraverso due secoli. Si frequentarono, si riconobbero. Emily Dickinson ammirava l’altra Emily, la Brontë, tanto che la definiva la titanica, la meravigliosa. Virginia Woolf definì Emily Brontë «l’erede spirituale di qualche antica profetessa».

Virginia Woolf e Katherine Mansfield vissero nello stesso periodo, e si incontrarono: Virginia considerò la Mansfield una grande scrittrice perché sapeva scrivere «in presenza della realtà», e la Mansfield definì l’opera della Woolf  «un atto d’amore, e non a prima vista».

Si passarono o ressero insieme il testimone. Di che cosa? Della verginità, della castità. Non fisica: la castità della mente.

Contro ogni convenzione e omologazione del pensiero, oggi così evidente, queste scrittrici e poetesse praticarono in modi diversi ma altrettanto efficaci la verginità della mente e dello spirito, che le ha proiettate più in avanti del periodo in cui sono vissute, che le ha rese immortali e invincibili nei secoli, grazie alla loro fede sicura nella parola scritta, che è la freccia con la quale hanno penetrato anime ed epoche, individui e collettività, e la penna è l’arco che hanno teso tra le loro mani, senza mai tremare, anche quando i loro destini hanno incrociato una conclusione, più o meno tragica.

Queste quattro scrittrici sono sorelle, unite più che con altre da una sorellanza inscalfibile nei secoli e ancora oggi, preclara attraverso le loro vite e le loro opere, indissolubilmente legate.

Arco e frecce: quale divinità era all’opera nell’anima di queste donne? Non è una domanda bislacca, per diversi motivi: prima di tutto perché leggere la realtà alla luce del mito, greco in particolare, significa scoprire un metodo che serve ad osservare il mondo, prima che a interpretarlo.

In secondo luogo, il mito e la letteratura sono intensamente legati, anzi, è dal mito che nascono letteratura e filosofia, fin dai poemi di Omero e di Esiodo, i cui autori al cominciar dell’opera e per raccontare le gesta degli eroi invocavano le Muse.

Man Ray, Lèvres d’or, 1967

Infine, come sottolinea Sergio Quinzio, i sistemi filosofici moderni, mettendo al loro centro l’uomo che tra scienza, religione e tecnologia, domina il tutto e se ne impossessa, sono finiti in un dannoso astrattismo per eccesso di concretezza, decretando il loro fallimento: alla filosofia e anche alla letteratura non resta dunque che recuperare quel concreto senso del sacro, anche precristiano e quindi greco.

Ecco dunque che per certe eroine della letteratura mondiale come Emily Brontë, Emily Dickinson, Virginia Woolf e Katherine Mansfield, invocheremo una divinità, ma stavolta non saranno le Muse, anche se di altissima arte si tratta: è piuttosto Artemide. Ma chi è Artemide? Roberto Calasso la definisce fra gli dèi del distacco, insieme al suo gemello Apollo e ad Atena: il distacco con cui osservano dall’alto, e anche quando agiscono sul mondo lo fanno da lontano, con sguardo disincantato e fisso sull’obbiettivo.

Ma è Artemide la dea più distaccata e rigorosa di tutto l’Olimpo, la vergine incorruttibile, lunare e cruda, la schiva cacciatrice a suo agio tra le belve e tra le ninfe, protettrice dei monti, delle fiere e della Natura, ma anche delle donne al momento del parto, quasi a unire due mondi apparentemente inconciliabili, quello della verginità intoccabile e quello della maternità amorevole.

Nel mito greco sono tre le dee vergini intoccabili: insieme ad Artemide, Hestia e Atena. Ma la castità di Artemide non è protettiva e guerresca come quella di Atena, la dea della sapienza così a suo agio con i maschi, con gli eroi che protegge e ai quali suggerisce le strategie per la battaglia, e non è nemmeno quella contemplativa di Hestia, la dea del focolare che sta immobile al centro delle cose e non ha altro sguardo che per l’essenza.

La castità di Artemide è profonda e rigorosa, sicura e appuntita come le sue frecce, fiera e indomabile eppure sensuale come le bestie che le fanno corona, ed è mentale oltre che fisica.

Le vite straordinarie di queste scrittrici impareggiabili sono tutte presiedute da Artemide: queste  donne, nella loro fiera solitudine e nella loro caparbia indipendenza, hanno esercitato la castità della mente, e attraverso questa castità hanno partorito capolavori che restano nella storia della letteratura mondiale come capisaldi, e lo hanno fatto coltivando un’indipendenza di vita e di pensiero che le può benissimo far sembrare vergini intoccabili anche quando non lo erano, anche quando si interessavano all’amore, dominio di Afrodite.

Alcune di loro guardarono il mondo da una stanza, altre da una brughiera, altre ancora dalle città, o dalle montagne, ma il loro sguardo fu sempre sufficientemente distaccato per raccontare il mondo senza infingimenti né consolazioni, in modo da ritrarlo nelle sue nude e crude verità, armate della sola fede nella parola scritta.

Queste vite straordinarie si svelano con l’affrontare il mondo ritirandosi, e si aprono nel rigore di una scelta precisa, senza grida né proclami, combattendo in un’ostinata e ribelle solitudine contro ogni convenzione, per mantenere alta la propria volontà, e il più possibile la propria libertà.

Alla luce della vita e delle opere di queste quattro donne, che cosa ci dice Artemide? Ci dice che la verginità per le donne è un valore.

Non quella fisica, nessuna di queste quattro scrittrici l’ha avuta o ci ha tenuto o l’ha esaltata in alcun modo, ma quella mentale, intellettuale, morale: e questa verginità può essere peculiare delle donne.

È quella dirittura che deve avere il coraggio anche di essere spietata, come Artemide nel rivendicare la propria intoccabilità: se quella della dea è una distanza dal genere umano, quella nelle donne diventa invece una possibile distanza dal potere, dalla gestione maschile del potere.

Sentite Virginia Woolf: «Non dovrebbe essere difficile trasformare il vecchio ideale della castità del corpo nel nuovo ideale della castità della mente, sostenere che se era peccato vendere il corpo per denaro, è un peccato ancora più grave vendere la mente per denaro, giacché la mente, lo dicono tutti, è più nobile del corpo».

In questo momento storico in cui si parla tanto di diritti ma poi ci si accorge che parecchie sono ciance, una delle parole più usate è “inclusione”. Ma la vita e le opere di queste quattro scrittrici ci dicono che bisogna vedere dove e come si viene inclusi.

La Woolf denunciava i limiti dei discorsi dei politici che scoprono la parità dei sessi solo quando ci sono da ottenere voti e consensi oppure quando c’è da rischiare la vita (come in guerra, dove le donne sono sempre utili e magnificate).

Oggi potremmo dire che ci si sciacqua la bocca continuamente con i diritti civili, parità inclusione eccetera, mentre dall’altra parte si sfilano a tutti i diritti sociali, e quando questo succede ne fanno le spese le categorie più sfruttate.

E come denunciano nelle loro opere le nostre scrittrici, la competitività sfrenata genera frustrazione, e la frustrazione genera sopraffazione e violenza.

Quanta frustrazione e senso di fallimento vogliamo ancora generare, direbbero la Woolf e la Mansfield? Cosa siamo, se abbiamo le unioni civili e le quote rosa e i posti macchina per le donne incinte e il reddito di cittadinanza e i bonus ecologici, tutte cose magari sacrosante, ma poi si viene licenziati, delocalizzati, ammazzati dal proprio marito fidanzato padre o ex, oppure ammazzati sui luoghi di lavoro che non ci tutelano più abbastanza?  In che cosa siamo inclusi?

Per questo la Woolf, la Mansfield, e le due Emily, non si mettono in fila per essere incluse, non basta, altrimenti a loro sembrerebbe di favorire una copertura, di fare la fila per farsi ammettere, senza scardinare alcun potere patriarcale e maschile.

La fondamentale decisione di non stare a questo gioco significa acquistare consapevolezza che una donna può esistere a parte, essendo sé stessa e appartenendo a sé stessa medesima nel modo che desidera profondamente lei, non nel modo che desiderano gli altri. E questo lo si può ottenere soltanto attraverso una profonda trasformazione culturale che queste quattro scrittrici hanno cercato di realizzare con la loro letteratura e con tutte le loro forze.

Scrive la Woolf: guardate che per secoli abbiamo lavorato tutto il giorno per 40 lire l’anno più vitto e alloggio, per secoli abbiamo lavorato senz’altro onore che quello che ci arrivava di riflesso dalle medaglie dei nostri padri e mariti, quindi dovremmo sapere quale veleno c’è dietro l’adorazione del denaro e del potere.

Le due Emily, Virginia e Katherine, in quella stanza tutta per loro, hanno affermato un concetto rivoluzionario: fare delle antiche debolezze un nuovo, enorme punto di forza, intraprendere le libere professioni senza lasciarsi contaminare, anche pagandone il prezzo, ma liberando queste professioni dalla possessività, dall’aggressività, dall’avidità, usandole invece per avere una mente autonoma, per cancellare – dice la Woolf – l’orrore, la violenza e la guerra, senza più dover scegliere tra Scilla e Cariddi, tra il sistema patriarcale che tiene prigioniere le donne come schiave nell’harem e una vita pubblica dominata dalla smania di potere che ci mette l’uno in fila all’altro.

Questo è ciò che hanno messo in pratica in modi diversi la Mansfield, la Woolf, e le due Emily prima di loro.

Poi, lo sappiamo, non è andata così: ci sono e ci sono state più figlie di Margaret Thatcher che di Virginia Woolf, più figlie di Zeus nate dalla testa del padre che sacerdotesse di Artemide con le frecce ben appuntite.

Come abbiamo sentito e letto in tutti i tg e i giornali, oggi di donne ne viene fatta fuori una ogni tre giorni, dai loro compagni e mariti e fidanzati, solo quest’anno sono, ad oggi, 104.

Ma non è solo una questione di omicidi e di botte: la violenza ha molte forme, e di quelle si parla poco.

E così ancora oggi c’è bisogno di un cambiamento culturale profondissimo, di sottrarre le professioni al dominio maschile non solo dal punto di vista numerico, ma dal punto di vista culturale, per una parità delle differenze, come hanno fatto queste quattro donne straordinarie, sotto l’influsso di una dea che tiene lo sguardo dritto davanti a sé: il mito narra che quando Artemide prende la mira e scocca le frecce dal suo arco, non le tremano nemmeno le vesti.

 

All’interno, e in apertura, foto di Olio Officina©

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