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Rivista internazionale di Letteratura – International Journal of Literature
Diretta da Daniela Marcheschi

L’estasi di Dante

Con una regia che si potrebbe definire visionaria, quella di Simone Ferrari e di Lulu Helbaek, in cui i linguaggi tecnologici e quelli teatrali si contaminano, ci viene raccontato l’irraccontabile ne Paradiso XXXIII, di e con Elio Germano e Theo Teardo. Come portare la meraviglia a teatro, si sono chiesti entrambi gli autori, con il limite del linguaggio, cercando di creare una relazione tra attori e spettatori? Col fare uno spettacolo divulgativo dalla grande ambizione che, una volta terminato, il pubblico desideri leggere direttamente le parole dell’autore

Mariapia Frigerio

L’estasi di Dante

Paradiso XXXIII di e con Elio Germano e Theo Teardo, regia di Simone Ferrari e Lulu Helbaek.
Pescia, Teatro Pacini, 16 gennaio 2024

Nell’incontro con il pubblico pesciatino, un’ora prima dello spettacolo, Elio Germano racconta (alternandosi amabilmente con il musicista Theo Teardo) che dopo il suo spettacolo su Céline, liberamente tratto da Viaggio al termine della notte, era stato chiamato, in occasione dei settecento anni della morte di Dante, a fare un quarto d’ora di lettura di fronte al Presidente Mattarella, al Ravenna Festival.

Suo scopo era di levare al Sommo Poeta quella “pesantezza” tipicamente scolastica, un po’ sulla scia di Benigni, aiutandosi con la musica, senza parafrasi alcuna che, per gli autori Teardo e Germano, è quasi una sorta di doppiaggio.

Teatro Pacini, Pescia. Foto di Mariapia Frigerio

Nel loro intento, quindi, lasciare intatta tutta la potenza delle parole di Dante.

Theo Teardo aggiunge che uno dei momenti più belli nella preparazione dello spettacolo è stato quando Elio gli ha spiegato come funzionasse il Canto, l’ultimo del Paradiso e dell’intero poema, quasi riprendendo le parole di un suo zio, insegnante di italiano, che sosteneva fosse una delle cose più belle da leggere e precisa che, per quanto riguarda la musica, questa gli è arrivata direttamente dal testo, non è un semplice accompagnamento.

Ma come portare la meraviglia a teatro, si sono chiesti entrambi gli autori, con il limite del linguaggio, cercando di creare una relazione tra attori e spettatori?

Elio Germano e Theo Teardo

Col fare uno spettacolo divulgativo dalla grande ambizione che, una volta terminato, il pubblico desideri leggere direttamente le parole dell’autore.

Perché l’errore della scuola è di anteporre la comprensione al “godimento” del testo dell’Alighieri, quello che per Borges era il «leggerlo per la felicità».

Per questo Dante piace poco a scuola.

Wittgenstein sosteneva che c’è «ciò di cui si può parlare e ciò di cui non si può parlare».

Ecco che allora bisogna riempire questi vuoti con il linguaggio del corpo, con gestualità e lentezza che, secondo Elio Germano, aiutano ad andare oltre le parole.

Insomma è la messa in scena di una visione, con Elio-Dante che si fa tramite tra visione e pubblico.

Applausi. Foto di Mariapia Frigerio

Se il precedente Viaggio al termine della notte era uno spettacolo “buio”, il Canto XXXIII serve all’attore e al musicista a ritrovare un po’ di luce rispetto al loro percorso.

Ecco allora in scena fare uso di luci troboscopiche (una vera ossessione nel teatro odierno questo uso di luci da discoteca!), ma Elio Germano scandisce e ripete i versi con effetto totalmente diverso da quello di Benigni che, alle prese con lo stesso Canto, resta, malgrado tutto, enfatico.

La scena poi lentamente si schiarisce e appaiono le stelle, mentre l’occhio di bue si fissa su Germano.

Quando nomina Beatrice la scena si fa azzurra e c’è un effetto di luce su Elio che si dilata, si dilata divenendo quasi una fiamma.

Se sono innegabili momenti di noia, la recitazione resta però, uniformemente, senza sbavature, in questo sforzo supremo che Dante-Elio deve compiere per arrivare alla visione di Dio, per cui occorre la preghiera di san Bernardo alla Madonna, fino all’abbandono finale nell’estasi.

Applausi dai palchi. Foto di Mariapia Frigerio

Con una regia che si potrebbe definire visionaria, quella di Simone Ferrari e di Lulu Helbaek (eredi della magia del Cirque du Soleil), in cui i linguaggi tecnologici e quelli teatrali si contaminano, ci viene raccontato l’irraccontabile.

E gli applausi sono piovuti scroscianti quasi ci fosse stata una claque a farli ripartire in continuazione.

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