Corso Italia 7
Rivista internazionale di Letteratura – International Journal of LiteratureDiretta da Daniela Marcheschi
Lungo i binari un viaggio che è metafora della vita
Taccuino di lettura. Quello di Marino Magliani è un romanzo circolare, che parte da Sanremo e a Sanremo si conclude. Con uno stile apparentemente semplice, Il bambino e le isole (un sogno di Calvino) riesce a far commuovere il lettore mentre accompagna il protagonista, il «vagabondo ferroviario», per tutta la Liguria, dalle stazioni del Ponente a quelle del Levante
Marino Magliani, Il bambino e le isole (un sogno di Calvino), Roma, 66thand2nd, 2023
Un romanzo circolare, quello di Marino Magliani, che parte da Sanremo e a Sanremo si conclude.
Un romanzo che è un lungo viaggio, visto che il protagonista si muove a piedi percorrendo – senza mai attraversarli – i binari della ferrovia, dalla Riviera di Ponente a quella di Levante: tutta la Liguria fino a raggiungere Carrara.
Qui la scelta di non proseguire, ma di ritornare.
Così, di nuovo a piedi, raggiunge la stazione della Spezia e, per la prima volta, anziché camminare, sale su un treno, «in direzione ostinata e contraria» verrebbe da dire con Fabrizio De André, un altro grande ligure.
Il lettore segue il viaggio del bambino (bambino nel 1936) ora diventato, nel suo ritorno in treno, uomo vecchio e stanco. E sembra, il lettore, invecchiare e affaticarsi con lui.
Il bambino protagonista è, all’inizio del romanzo, un piccolo che gioca a palla, che sente dentro di sé la voce materna che gli intima di non attraversare i binari e che, tuttavia, vuole scoprire dove i binari finiscano.
E in questa folle impresa realizza quello che il tempo gli rivelerà essere stato un sogno di Calvino.
Insomma l’invenzione letteraria di Marino Magliani è di realizzare quello che avrebbe voluto fare l’autore di Palomar.
Ma il romanzo va oltre il lungo viaggio per seguire i binari, dalle stazioni di Ponente a quelle di Levante, diventando un romanzo d’incontri, un “viaggio” attraverso la letteratura ligure di quegli autori che non solo qui sono nati, ma che qui hanno soggiornato.
Ecco allora susseguirsi i nomi di Walter Benjamin, Italo Calvino, Carlo Levi (il pittore delle isole), Riccardo Ferrazzi, Camillo Sbarbaro, Antonio Tabucchi (che ha definito «Lisbona sfavillante» mentre per il protagonista l’aggettivo sarebbe stato perfetto per Alassio), Francesco Biamonti…
Non mancano poi citazioni indirette tra Montale con i “cocci di bottiglie” e Gozzano con “rivisto il giardino” che diventano naturali parti della narrazione.
Se gli incontri avvenuti o narrati con personaggi letterari hanno grande impatto sul lettore non meno ne hanno quelli con personaggi comuni come il bagnino o il controllore, dotati entrambi di grande umanità.
Il mondo cambia con il passare del tempo e alle stazioni che fanno da titolo a molti capitoli si sostituiscono i nomi di stazioni “morte” come nel caso di Porto Maurizio, dove non solo terminano i binari ma, con l’avvento delle piste ciclabili, muta pure la geografia.
Così come mutano le panchine che si adeguano alle “esigenze” di non accogliere il sonno dei senza tetto.
E pensare che fino ancora al 2008 Beppe Sebaste, nel suo bel libro Panchine, le vedeva come un luogo di sosta…
Con uno stile apparentemente semplice, in realtà di grande finezza letteraria, dall’uso sapiente ed elegante di similitudini, Magliani riesce a far viaggiare il lettore insieme al suo «vagabondo ferroviario», a commuoverlo – soprattutto nello struggente finale – accompagnandolo nel vano viaggio alla ricerca della fine dei binari, insieme all’altra ricerca: quella della misteriosa lucertola ocellata.
Viaggi che non sono altro, entrambi, che metafore del mistero della nostra vita.
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