Corso Italia 7

Rivista internazionale di Letteratura – International Journal of Literature
Diretta da Daniela Marcheschi

Orchestra per voce sola

Il Minetti, ritratto di un artista da vecchio di Thomas Bernhard con Roberto Herlitzka al Piccolo Teatro di Milano

Mariapia Frigerio

Orchestra per voce sola

Quasi un chiasmo il rapporto tra Thomas Bernhard (1931-1989) e Bernhard Minetti (1905-1998), da molti considerato il più grande attore teatrale tedesco del secondo dopoguerra che, dopo la sua consacrazione nel 1930, con l’interpretazione di Amleto, lavorerà nei teatri di importanti città come Amburgo, Francoforte e Düsseldorf, dedicandosi sia a testi classici che contemporanei, muovendosi tra Beckett e Genet, tra Anouilh e Pirandello. È dagli anni Settanta, però, che inizia a interpretare ruoli da protagonista nelle opere di Thomas Bernhard divenendone l’attore-feticcio. E sarà proprio l’autore austriaco che scriverà per lui l’opera Minetti, ritratto di un artista da vecchio, rappresentata la prima volta nel 1976 al Württembergische Staatstheater di Stoccarda, vero e proprio omaggio alla figura dell’artista e alla sua bravura, oltre che un «omaggio struggente al teatro» per usare le parole di Roberto Herlitzka.

È la notte di San Silvestro. In un albergo di Ostenda entra, quasi trasportato da una tempesta di neve, il vecchio Minetti. Ha una valigia, ma non vuole una camera. Si ferma nella hall semideserta. Il portiere alla reception, una cliente in poltrona. Poi il facchino.

L’anziano attore, che si è ritirato dalle scene trent’anni or sono, per essere coerente con la sua idea – la volontà di negarsi alla classicità -, è in attesa del direttore del teatro di Flensburg che dovrebbe farlo tornare in scena, «una volta e poi non più», nel Re Lear. Nell’attesa parla di sé, della sua arte, raccontando momenti, veri o immaginari, della sua vita, evocazioni tra il reale e l’irreale, rivolgendosi al personale dell’hotel, a una signora prima, a una ragazza in attesa del fidanzato poi. Sono memorie “espressioniste”. Gelidi ricordi. Dall’ascensore, che sale e scende, e che diventa lui stesso personaggio, entrano ed escono clienti che festeggiano. Indossano delle maschere, delle maschere ensoriane come quella che Minetti-Herlitzka tiene nella sua valigia, insieme a ritagli di giornale. La maschera, creata apposta per lui da James Ensor, per il suo Lear. Nonostante il muoversi di queste persone, l’opera è un monologo in cui Minetti-Herlitzka, con recitazione impeccabile, è il solo a parlare, riuscendo a contenere foga, passione, rabbia, disperazione, mescolando tragico e comico, in un flusso di coscienza continuo e, mentre fuori continua a infuriare una metaforica tempesta di neve, chiedendosi quale ruolo abbia l’arte – il teatro soprattutto – nell’odierna società e ancora come il palcoscenico possa essere riflesso del mondo.

In una scena immobile si muovono gli attori, orchestra muta di automi. Il testo ossessivo e monotematico – come solitamente quelli di Bernhard – si focalizza qui proprio sul teatro, sulla parola di Minetti-Herlitzka che ricorda, recrimina, ripete in modo assillante le stesse frasi, in attesa dell’impresario che, quasi novello Godot, non arriverà. È un’attesa fallita, quella di Bernhard, che non lascia le neppur minime speranze di Beckett, ma solo il baratro.

Così, nella scena finale, su una panchina, da cui si intravede il gelido mare di Ostenda, l’attore verrà ricoperto dalla neve, quasi omaggio al suo Lear, eroe nella tempesta, con cui condivide abbandono e solitudine.

La tragica fine nella notte di San Silvestro rimanda – seppur con tempi e con tematiche diverse – a La signorina Giulia, come se in entrambi i testi le feste (Capodanno qui, la Festa di S. Giovanni in Strindberg) fossero foriere di soluzioni estreme a drammi esistenziali.

Scrive Roberto Andò, il regista, «Non avrei mai potuto fare quest’opera se non ci fosse stato Herlitzka». La figura dell’attore dal volto scavato, quasi una scultura lignea, di finezza penetrante nel ripetere le insistenti frasi bernhnardiane, con il suo incedere distratto ed elegante, riesce a dar voce al mondo dell’austriaco, ad accompagnare lo spettatore in questo viaggio senza ritorno. Mirabile la scena in cui, sdraiato dietro l’inseparabile valigia, mostra solo una mano. Recita con una scarna mano. Una mano di Schiele.

Herlitzka era entrato in scena accompagnato dalla tempesta di neve. La stessa tempesta di neve che sembra aver congelato fin dall’inizio anche il pubblico del Piccolo, paralizzandolo e bloccandolo in un rigoroso silenzio per tutta la durata dello spettacolo, indifferente alla noia o alla difficoltà del testo. Un pubblico che recupererà la forza solo alla fine, quando si scioglierà in molteplici calorosi applausi.

Bernhard, si sa, non voleva scrivere per il pubblico («io non scrivo per degli idioti»), ma per attori come Minetti («uomini dello spirito»). E se il sublime Minetti di Herlizka è sicuramente un «uomo dello spirito» anche gli spettatori del Piccolo sono stati impareggiabili «spettatori dello spirito».

L’ineffabile recitazione di Herlitzka ha trovato appoggio nella bravura di Pierluigi Corallo, il portiere, Roberta Sferzi, la signora, Verdiana Costanzo, la ragazza, Matteo Francomano, il nano, Vincenzo Pasquariello, il facchino che, con la regia di Andò, hanno fatto di questa orchestra per voce sola uno spettacolo indimenticabile, vera immersione nella magia del teatro.

I coniugi Herlitzka all’uscita dal Piccolo

Le foto sono di Mariapia Frigerio

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