Corso Italia 7
Rivista internazionale di Letteratura – International Journal of LiteratureDiretta da Daniela Marcheschi
Ricordo di Franco Ferrarotti
Corso Italia 7 rende omaggio a Franco Ferrarotti. Il decano della Sociologia italiana è morto a Roma, il 13 novembre 2024 all'età di 98 anni, essendo nato il 7 aprile 1926 a Palazzolo Vercellese. Ferrarotti è stato un intellettuale probo, che ha seguito con lucidità le trasformazioni anche involutive della società italiana, dichiarandole senza timore, ma pure ma senza mai rinunciare alla libertà e alla volontà di costruire e guardare in alto in spirito di verità
Addio, Franco Ferrarotti.
Ho letto moltissimi suoi libri, e molti ne ho recensiti quando lavoravo al quotidiano «Il Tirreno» , dove curavo la pagina dei libri. Proprio alla sede del «Tirreno», a Livorno, mi inviò una lettera preziosa, di vent’anni fa, datata 22 marzo 2004. Riportarla integralmente appare necessario non solo per ricordare l’alta statura del decano della Sociologia italiana, ma anche per l’importanza, vieppiù oggi, del suo contenuto. Eccola:
«Caro Fiesoli,
Mi scusi innanzitutto per questa lettera a macchina, ma la mia grafia, mai perspicua, da ultimo rischia di riuscire illeggibile. Ho letto la sua intervista a Giovanni Sartori, che a suo tempo aiutai ad andare in cattedra per sociologia e che poi passò a Scienza della politica. Come Ella avrà notato, purtroppo, anche i critici acerrimi dell’intellettuale italiano finiscono per avere “il mondo in gran dispitto” e ritenersi al di sopra della folla dei comuni mortali. Soffrono della strana malattia dell’infallibilismo, che spesso coincide con il più smaccato narcisismo e comunque non va mai molto lontano da una saccente autosoddisfazione, per non dire autocompiacenza.
Per esempio, scappare via dalla contestazione giovanile e studentesca è certo più semplice e comodo che dichiarare la propria approvazione dei fini di un movimento salutarmente innovatore pur non chiudendo gli occhi sulle carogne e l’eventuale marciume che lo stsso movimento, nel suo impetuoso procedere, come un fiume, può trascinare con sé.
Il fatto è che l”intellettuale italiano, sia che si ritiri nella famosa torre d’avorio, sia che salga (a parole) sulle barricate, non riesce mai a stabilire un rapporto positivo con le persone comuni, con la comunità in cui vive. È, nel caso migliore, un disertore. È chiaro che, in queste condizioni, è facile al potere asservirlo, e servirsene, nel caso migliore, come d’un maggiordomo o di una “musa appigionata”. Le critiche, pur severe, per esempio di un Giuseppe Prezzolini, per limitarmi ai contemporanei, fungono allora da alibi. È ancora e sempre una concezione della cultura come lusso, occasione di estraneazione dall’umanità comune, fuga dal presente, manifestazione e pretesto per una totale irresponsabilità civile poiché in fondo “del diman non v’è certezza”. Ciò che mi ha sempre colpito è il fondo edonistico e godereccio della cosiddetta disperazione degli intellettuali italiani».
Addio all’uomo colto e gentile, all’intellettuale vero e vicino: ricordo l’uomo risoluto quanto garbato, lo studioso colto e determinato, sorridente mentre risale ogni corrente.
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