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Rivista internazionale di Letteratura – International Journal of Literature
Diretta da Daniela Marcheschi

Siamo tutti animali di vetro

Teatro. Perché rappresentare ancora oggi Lo zoo di vetro, opera di Tennessee Williams del 1944? Forse perché il mondo odierno è fragile. Così quel testo “datato” diviene adesso metafora della nostra quotidianità fatta di debolezze, pronta ad andare in frantumi allo stesso modo degli animaletti di vetro collezionati dalla sorella del protagonista

Mariapia Frigerio

Siamo tutti animali di vetro

È incontestabile che sulle scene degli ultimi anni ci sia un ritorno di autori americani.

Basterebbe pensare a Tracy Letts con il suo Agosto a Osage County, messo in scena dallo Stabile di Torino per la regia di Valerio Binasco, di cui scrivemmo in questa sede [Un dramma familiare, 25 settembre 2023, NdC], nonché già celebre film.

Ed è pure incontestabile che il cinema, quando vuole rappresentare il teatro, immediatamente dopo Cechov, si avvale di autori statunitensi.

Bastano pochi esempi a sostegno di questa tesi e sono, credo, due grandi esempi.

Il primo vuole essere un omaggio a Marisa Paredes, meravigliosa attrice spagnola da poco scomparsa, ed è quell’altrettanto meraviglioso film, capolavoro di Almodovar, Tutto su mia madre.

Qui tutta la vicenda ruota intorno alla messa in scena di Un tram chiamato Desiderio, opera proprio di Tennessee Williams.

L’altro film, non meno bello, è del regista iraniano Asghar Farhadi che nel suo Il cliente, ai due protagonisti attori amatoriali, fa recitare Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller.

Incontestabile infine che i testi teatrali degli autori americani siano tranquillamente usati per trasposizioni filmiche.

Detto ciò, perché rappresentare Lo zoo di vetro, scritto da Tennessee Williams negli anni Quaranta (nel 1944 ad essere precisi) che, come è noto, ebbe un immediato successo e fu il suo primo grande successo?

Forse perché il mondo odierno è un mondo fragile. Così quel testo “datato” diviene metafora della nostra quotidianità fatta di debolezze e pronta ad andare in frantumi proprio come gli animaletti di vetro collezionati dalla sorella del protagonista.

Si sa che qui c’è molta autobiografia dell’autore, molti dei suoi drammi interiori.

E c’è il tema della famiglia, che sempre più spesso torna ad essere oggetto di studio e rappresentazioni, sia teatrali che cinematografiche.

Il «famiglie vi odio» di Jean Genet sembra descrivere alla perfezione i travagli che questa – come molte altre – vive.

Ovviamente non mancano “scarti” rispetto a una vera autobiografia.

E così la sorella maggiore di Tom, Laura, non è pazza, ma claudicante, mentre Tom, il narratore e protagonista, è certamente l’alter ego di Williams e fa di mestiere il magazziniere anche se in cuor suo si sente poeta.

È un racconto in flashback, per spiegarci il suo abbandono a un nucleo familiare decisamente insopportabile.

In scena insieme a lui, la madre castrante in cerca di dare un “amore” e una sistemazione alla figlia, la sorella dal problema fisico, Joe l’amico fragile che ci si illude possa risolvere il problema di Laura e un padre “sparito”, ugualmente ingombrante nella sua assenza perché è la causa della disgrazia della famiglia.

Una messinscena in cui tutti i personaggi hanno una sorta di fragilità che è rappresentata a meraviglia dallo zoo di animaletti di vetro collezionati dalla sorella.

Tutti in scena sono di vetro, perché forse anche la nostra società è oggi di vetro.

E lo stesso racconto che fa Tom agli spettatori è un racconto di fatti che seguono i ricordi del giovane, di un giovane che si abbandona alla sua memoria emotiva.

Questo è chiarito a meraviglia dalla scenografia con un pannello trasparente – ­sorta di quarta parete – che divide scena e pubblico e sul quale è riportata una lunga frase di Williams che si potrebbe riassumere con: la memoria, spesso, risiede nel cuore.

Così come un altro aspetto decisamente interessante della regia di Luigi Siracusa è di aver abbandonato l’ambientazione realista e fotografica di Williams (l’abitazione della famiglia Wingfield era descritta come una di quelle tipiche della classe media americana) in favore di un unico e spoglio ambiente.

E pure aver diretto quattro attori giovani (teoricamente coetanei) a prescindere dalle differenze d’età imposte dai ruoli, perché, come si sa, nel teatro non c’è età.

Allora complimenti a Francesco Sferrazza Papa che è Tom, a Zoe Solferino che è Laura, a Valentina Bartolo, Amanda Wingfield, madre di Tom e di Laura e ultimo, ma non ultimo, a Luca Carbone che è Joe, collega di Tom.

 

Lo zoo di vetro di Tennessee Williams, adattamento e regia di Luigi Siracusa con Francesco Sferrazza Papa, Valentina Bartolo, Zoe Solferino, Luca Carbone

Milano, Teatro Franco Parenti, Sala Blu, 17 ottobre – 10 novembre 2024

In apertura, foto di Mariapia Frigerio

 

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