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Diretta da Daniela Marcheschi

“Un uomo in mutande”, è un vero invito alla lettura. Intervista ad Andrea Vitali

La lezione principale – ci confida l’autore con oltre quattro milioni di copie vendute – è che bisogna avere qualcosa da raccontare, meglio se non troppo personale, ed evitare di girare attorno al proprio ombelico. Il lettore che cerca storie vuole storie e non piagnistei

Guido Conti

“Un uomo in mutande”, è un vero invito alla lettura. Intervista ad Andrea Vitali

L’intervista dedicata al romanzo di Andrea Vitali, Un uomo in mutande, edito da Garzanti, è stata fatta nell’ambito del festival “Trame d’estate”. La rassegna degli incontri si è svolta regolarmente, nonostante tutti i limiti imposti dall’emergenza Covid-19. Sempre nel Palazzo Mediceo di Seravezza, in provincia di Lucca. È stata una edizione di grande interesse per i temi e per i personaggi invitati, con un pubblico che ha premiato l’impegno degli organizzatori, di Chiara Tommasi e del Cisesg, il Centro Internazionale di Studi Europei Sirio Giannini.

INTERVISTA AD ANDREA VITALI

“Se leggi un romanzo di Andrea Vitali, li leggi tutti. E ne ha scritti tanti, per fortuna!” Così dicono i suoi affezionati lettori. Bellano, sul lago di Como, è il teatro delle sue storie corali, i suoi personaggi sono tanto reali da sembrare inventati: Andrea Vitali, scrittore da oltre quattro milioni di copie, in questi anni ha saputo raccontare una provincia che sembrava scomparsa, ma è ancora profondamente attuale.

Andrea Vitali, a sinistra, con Guido Conti, a Trame d’Estate

Chi è il Maresciallo Ernesto Maccadò, protagonista del tuo ultimo romanzo, Un uomo in mutande, personaggio che ritorna nelle tue storie, così amato dai tuoi lettori?

«Il Maccadò è, pur non essendo un protagonista seriale, uno dei personaggi che rientrano più spesso nelle storie, una sorta di chiave per capire il paese e la gente che lo abita. Viene infatti dalla Calabria insieme con la fresca sposa e le situazioni con le quali si confronta non sono criminali, ma specchio della provincia. Ed è grazie a queste che comprenderà sempre più il luogo e la gente».

Bellano è il paese in cui vivi. Ti ha aiutato, all’inizio, la tua professione di medico, nella ricerca delle storie da raccontare?

«Direi l’amore per il luogo che non ho mai abbandonato, il suo paesaggio, le luci e insomma le suggestioni piccole o grandi che si apprendono via via calpestando sempre lo stesso pezzetto di terra. Certo poi le chiacchiere, d’ambulatorio ma non solo, mi hanno permesso di penetrare in una sorta di leggendaria aria locale, che ha fornito spunto per molti racconti».

Quando scrivi, parti sempre da fatti concreti e poi trasferisci tutto in epoche prima delle tecnologie e dei telefonini. È una scelta e una strategia soltanto narrativa?

«Esattamente così. L’assenza di tecnologia permette di ampliare il fronte narrativo laddove, anziché comunicazioni in tempo reale, bisogna ricorrere a una lettera o al telefono pubblico, o addirittura al parlarsi da finestra a finestra con il pericolo che orecchie indiscrete ascoltino. Così facendo, certe cose che dovrebbero restare segrete diventano pubbliche e soggetto di speculazioni alias pettegolezzi».

La tua narrativa si radica tra Piero Chiara e Giovannino Guareschi, a raccontare il “mondo piccolo” per cogliere l’essenza del “cuore degli uomini”. Qual è stata la lezione che hai imparato da questi autori?

«La lezione principale è che bisogna avere qualcosa da raccontare, meglio se non troppo personale, ed evitare di girare attorno al proprio ombelico. Il lettore che cerca storie vuole storie e non piagnistei, lamentazione et coetera. In ciò i grandi narratori italiani sono stati e tuttora sono maestri. La lista è lunga, da Parise a Piovene a Bassani, Flaiano, Brancati, Orengo e, naturalmente, Camilleri».

Se c’è una Vigata di Camilleri, si può dire che c’è anche una Bellano di Vitali, o una Parma di Varesi. Nell’epoca della globalizzazione, c’è una tendenza, nella narrativa italiana di oggi, a concentrare le storie in un territorio sempre più ristretto? A reiventarlo.

«Sono convinto che una storia viene ancora più intrigante, se chi la racconta la immerge in un territorio che conosce alla perfezione o quasi. L’alone romanzesco ne esce esaltato, il riferimento geografico preciso porta acqua al mulino della verosimiglianza».

La tua capacità di scrivere, di intrecciare storie si mescola con l’ironia, il sorriso: ma soprattutto c’è una chiave importante, la gioia dello scrivere storie…

«Ritengo il divertimento parte fondamentale nell’affrontare una simile attività. Chi vi si avvicina, lo deve fare con la piena coscienza di svolgere un compito importante, laddove il divertimento è serietà assoluta: bisogna sentirlo, essere strumento della storia. Se non c’è, se diventa fatica, meglio uscire a fare quattro passi sulla riva del lago».

Il titolo, come sempre nei romanzi di Vitali, è già un mezzo racconto: Un uomo in mutande è un vero invito alla lettura.

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