Corso Italia 7
Rivista internazionale di Letteratura – International Journal of LiteratureDiretta da Daniela Marcheschi
Una Chicane nelle nostre vite
Taccuino di lettura. Una poesia civile, legata al mondo del lavoro, è quella di Daniele Beghè, che è anche poeta della sintesi, degli ambienti urbani di periferia. Nei suoi versi c’è il sublime della quotidianità vista con infinita nostalgia, un linguaggio forte e potente subito ridimensionato dalla stessa vita nei suoi aspetti più banali e anche divertenti

È una vera gioia leggere le poesie di Daniele Beghè dopo tanta melassa che ci propina l’editoria italiana.
Se volessimo partire dal “contenitore”, non potrebbero mancare i complimenti ad Avagliano Editore che sceglie e pubblica con grande sapienza e competenza e, in quarta di copertina, alle parole della critica, in questo caso anche scopritrice, Daniela Marcheschi che scrive un testo che è già di per sé un piccolo, preciso, saggio.
E parliamo ora di Daniele Beghè, poeta.
Che abbia una laurea in economia non ci turba, perché basterebbe esaminare la letteratura del secolo scorso per vedere il numero dei letterati non di professione.
C’è invece da dire che non tutti i mali vengono per nuocere se, nel 2007, un incidente ha costretto il nostro autore a casa per mesi e un lockdown in anteprima lo ha spinto alla scrittura.
Chicane: un titolo ammaliante, un titolo che cattura e che ricorda a chi scrive (donna vissuta in un mondo maschile) i Gran Premi televisivi, riti che richiedevano silenzio, con la parola “chicane” che ricorreva in continuazione dalla voce del cronista.
Beghè di certo fa una poesia civile, una poesia legata al mondo del lavoro («arricchisce ogni giorno di tre novelle/croci il cimitero delle morti bianche»), ma è anche il poeta della sintesi, il poeta degli ambienti urbani di periferia.
E come non pensare allora a Borges?
Per Beghè la periferia è quella di Parma, per Borges era la zona di Palermo (oggi centralissima) della grande Buenos Aires.
Il suo libro si divide in cinque parti.
La prima è Rettilineo.
Ci sono spostamenti in auto. C’è un varco dal sapore montaliano.
Ci sono uffici, c’è una vita agra quasi bianciardiana con «traffico che mai si ferma/del lavoro che non rende liberi».
Ci sono centri commerciali e impiegate in pausa pranzo.
Poi passi di prosa splendidi: «si affezionò tanto ai vicoli ciechi che ne costruì uno su misura, portatile, e lo posizionò proprio dietro la fronte, protetto dalla scatola cranica».
Per finire con un tema che ritroveremo, quello dei ciclisti: «ciclisti stanziali, asmatici/pappagalli in voliera» e l’«orologio dell’antica torre», tra Rio Salto e passeri solitari.
Perché i riferimenti (a volte quasi citazioni) non sono copie dei grandi, ma diventano, questi amori, parte integrante della lingua di chi scrive.
Segue Chicane che si apre con Bestia calma, con la «panchina» che «se l’accarezzi sul dorso fa le fusa». E qui il pensiero va al suo concittadino Beppe Sebaste, autore proprio di Panchine.
C’è poi La funzione dei pioppi in cui si alternano parole pascoliane (pioppi e argine) e parole di Bramieri (ci vuole qualche anno sulle spalle però per ricordarsene!) della pubblicità del moplen («la tinozza di moplen»), con «l’eco di una partita di campionato» e «La vita sembra bastarsi così/senza profitto, né disperazione».
Poi tornano i ciclisti, «pappagalli multicolore».
E gli aggettivi dove al «natio» leopardiano si aggiunge il gozzaniano «vetusto».
E di nuovo la splendida prosa di Il soccorso della parola con al finale la frase del nonno (eh, sì, anche il nostro lo diceva…): «Sei proprio un gran Brighella».
E forse ancora più splendida (ma è così difficile trovare un metro di giudizio!) l’altra prosa P.s.: crepuscolare.
Andirivieni è la terza parte.
Con L’ultima mosca dell’autunno e la sua «minima storia» la nostra mente è andata immediatamente a Ode a Icarino di Marcello Venturoli che a lungo ci deliziò.
Ci sono poi gli alberghi a conduzione famigliare, le chiese in cemento armato, le posate, il verde dei ghiaccioli.
C’è la potenza dei versi «[…] non ho fregato un figlio mettendolo al mondo», e le RSA definite «contenitori di vecchi», e la splendida immagine (quasi Corazzini) del «circo dimesso» seguito da bambini «non ancora animalisti»: «lo ricordo/ per via del colbacco di castorino, la nutria/non era ancora entrata negli incubi padani».
L’altra campana è la quarta parte.
È la parte dove predominano i viaggi e dove vige la tragedia dell’omologazione «Le stesse insegne, gli stessi desideri» e, nel brano di prosa, ritorna l’infanzia con le «otto rotonde al posto dei semafori dell’infanzia».
Bellissima la sua descrizione della vita dove «Tutto va/avanti come sempre, l’amore e la guerra,/spogliarsi e vestirsi, nascere sognare/e morire».
Così come «la prova della deriva dei continenti» si dimostra dal fatto che «un abitante/su quattro nel quartiere è straniero».
Nel bar Mexico e Nuvole le «empanadas» vengono definite «la faccia triste dell’America».
Buonvento è la quinta e ultima.
Vorremmo concludere con Sempre che è proprio la poesia con cui termina il libro: «[…] così/come preghi e speri sia poesia/ciò che scrivi».
A cui vorremmo rispondere: «Sì, Daniele Beghè, lo è».
È poesia perché c’è il sublime della quotidianità vista con infinita nostalgia, perché c’è un linguaggio forte e potente che subito è ridimensionato dalla stessa vita nei suoi aspetti più banali e anche divertenti.
È poesia che ci mostra (senza descrivere) la vita e i suoi mutamenti.
È poesia in cui parole, luoghi e situazioni ricorrono: i ciclisti, i vari tipi di bar (anche hard), il gioco del calcio, i vicoli ciechi, le periferie…
È poesia in cui tutto sarebbe da citare, di cui si potrebbe parlare solo rileggendola o, addirittura, riscrivendola.
È poesia inframezzata da brevi brani di prosa non poetica, come ci dice la Marcheschi, ma «frammenti di vita e di passato».
Questa alternanza di poesie con alcuni passi di prosa ci donano atmosfere incantevoli e solo chi, come Beghè, sa usare bene il “personale”, nel senso dei ricordi, riesce a trasportare il lettore a un grado superiore, a fargli raggiungere il piano dell’universale.
Daniele Beghè, Chicane, Roma, Avagliano Editore, 2024
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