Corso Italia 7
Rivista internazionale di Letteratura – International Journal of LiteratureDiretta da Daniela Marcheschi
Una fiaba per grandi e piccini il Don Chisciotte di Boni
Dialetti, poesia e ironia. In una scenografia originale e ricercata, Alessio Boni presta il volto a un eroe fuori dal tempo, antitetico, che trova la sua complementarità nel fedele scudiero Sancho, interpretato da Serra Yilmaz. Al teatro del Giglio lo spettacolo è stato un successo, che ha saputo insegnare e divertire: un'unione frutto del grande lavoro artistico degli attori e di tutte le figure che ne hanno permesso la realizzazione
Di nuovo al Teatro del Giglio Alessio Boni non più Molière, ma nei panni di Don Chisciotte.
Con lui l’attrice-feticcio di Ferzan Özpetek, Serra Yilmaz, che interpreta Sancho Panza: la vera sorpresa, un vero coup de théâtre, insieme a un Ronzinante di pezza, reso vivo da Biagio Iacovelli.
Questa volta Boni si confronta con quello che universalmente è riconosciuto come il primo romanzo moderno oltre che un cardine della letteratura mondiale, attratto sicuramente dall’utopia che diventa realtà, sedotto da un personaggio che non combatte per sé, ma per un’idea, in un mondo di imbroglioni.
Tre gli elementi fondamentali, su cui si è basato l’interprete – che è anche regista insieme a Roberto Aldorasi e Marcello Prayer – per l’adattamento del romanzo (a cui va aggiunto Francesco Niccolini), ci sono ironia, poesia, visionarietà.
Don Chisciotte è un eroe fuori dal tempo, un cavaliere errante dalla nobile follia a cui è accanto il fedele scudiero Sancho, un contadino che rappresenta la purezza di cuore, con una saggezza che gli deriva dalla sua matrice popolare.
La figura di perdente del cavaliere è parte del suo fascino così come la praticità è parte di quella di Sancho. Due “eroi” antitetici e complementari a un tempo.
Boni ne fa «una fiaba per grandi», «una terapia di gruppo», con il gusto per l’avventura e la varietà dei dialetti italiani che usa per i diversi personaggi.
Ma il tema trasversale allo spettacolo è quello della pazzia con l’eterna domanda: chi è pazzo e chi è normale?
Una figura, quella dell’hidalgo, che è fuori dal tempo e per questo senza tempo. Si pensi al Baretti che nel ‘700 lo riprende in uno dei suoi intermezzi teatrali, il Don Chisciotte a Venezia, a Daumier che, nel secolo successivo, ce ne lascia l’immagine più nota alla memoria collettiva, quella del cavaliere sul suo Ronzinante, per giungere all’inizio del Millennio con la canzone di Francesco Guccini, Don Chisciotte, dai versi fulminanti di chi ama la letteratura «ma di eroici cavalieri non abbiamo più notizia/proprio per questo, Sancho, c’è bisogno soprattutto/d’uno slancio generoso, fosse anche un sogno matto […] Tu sarai il mio scudiero, la mia ombra confortante/e con questo cuore puro, col mio scudo e Ronzinante/colpirò con la mia lancia l’ingiustizia giorno e notte/com’è vero nella Mancha che mi chiamo Don Chisciotte!».
Ancora una volta Boni si distingue per unire doti didascaliche a divertimento, ovvero per saper insegnare senza annoiare.
In questa operazione è aiutato sia dalle scene di Massimo Troncanetti con le sue sagome lignee degli alberi, con soluzioni originali come il suono dei campanacci, unico elemento per descriverci lo scontro tra il cavaliere e il gregge, sia dai costumi di Francesco Esposito, in certo qual modo “barocchi”, proprio da siglo de oro.
Degna di nota l’immensa pala dei mulini e la discesa, attaccato a una fune, di Don Chisciotte nel pozzo, meno la figura (quasi da discoteca) di Dulcinea proiettata tra fiori.
Bravissimi gli attori comprimari, elementi tutti di un’orchestra ben diretta.
Ottimi Boni-Don Chisciotte e la Yilmaz-Sancho Panza con le loro cavalcature divenute parti integranti delle due differenti personalità.
Ma per bellezza, poesia, bravura, il primo posto spetta a Biagio Iacovelli e al suo Ronzinante, attore senza parole che emoziona un pubblico attento e partecipe che risponde a fine spettacolo con scroscianti applausi.
In apertura, Don Chisciotte, foto di Lucia De Luise
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