Corso Italia 7
Rivista internazionale di Letteratura – International Journal of LiteratureDiretta da Daniela Marcheschi
Una fragile dea di nome Venere
Venere nemica - di Gianluca Gori e Giancarlo Marinelli, una rielaborazione del testo di Apuleio, con regia di Dimitri Milopulos, e con Drusilla Foer ed Elena Talenti sul palco - è uno spettacolo di primordine: colto, raffinato, elegante e divertente, dove tutto è ben dosato

Nel dicembre del 2021 scrivevamo di Eleganzissima (visto al Teatro Manzoni di Milano) che era un recital profondo e leggero a un tempo, con il potere di far vibrare all’unisono il pubblico.
E notavamo come la fragilità fosse un tema ricorrente in quello spettacolo.
Ecco, forse si potrebbe proprio partire da qui per questo Venere nemica.
Perché questa Venere è fondamentalmente una dea fragile. Una dea offesa.
Così, in una scena che si svolge in un teatro, la dea dichiara di «voler essere ascoltata» e di voler «essere creduta» e, dopo essere stata «raminga e randagia per secoli», di aver scelto di vivere tra i mortali.
Una Venere che ci parla del «vermicello dell’anima che gli esperti chiamano ego» e che questo ego «devasta la vita di ognuno di noi».
Una dea a cui sta simpatica la vanità, che ama la «haute couture» (dimenticavamo: ora vive a Parigi) e che è nata in fondo al mare.
Ed ecco, in sottofondo, le note di La mer di Trenet.
Una dea che si infervora: «Voi mortali avete smesso di crederci, ci avete sostituito con gli eroi». Ma, aggiunge, «noi dei esistiamo sempre».
Venere però si sente inutile, la dea della bellezza e dell’amore rappresentata in pittura per anni con taglia XXL.
Inutile poi perché mentre tutti gli dei hanno una funzione sociale, lei ha solo quella di sedurre.
Così usa la maternità per non annoiarsi: sarà madre di Enea, di Priapo, di Eros, di Cupido, di Amore.
Tutto ciò che ci dice è frutto di continui battibecchi con l’aiutante-cameriera.
Poi, quasi in un’esplosione, dichiara: «Io sono qua non per intrattenervi, ma perché sappiate cosa mi è stato fatto.»
E da qui parte la vicenda di Psiche, quella di Apuleio, quella che tutti conosciamo: una mortale di tale bellezza da essere considerata incarnazione di Venere tanto che nessuno la osa sposare.
Una Psiche portata in scena da Elena Talenti che, dopo aver abbandonato il suo ruolo di aiutante-cameriera, si riflette su uno specchio deformante del fondale.
Una Psiche che diverrà ossessione per la dea: «Psiche: la mia incarnazione sulla terra… che viva a lungo e tragicamente».
Ma il suo sguardo la vede anche come un’altra infelice, quando ripercorre la sua stessa vita “sentimentale”, tra lo sposo Vulcano e gli amori con gli altri dei.
E quando Amore scoprirà che Psiche lo ha tradito, spiandolo su suggerimenti delle «sorelle ordinarie» e tornerà dalla madre, la dea maternamente gli dirà: «Il mio piccolo arciere tornato dalla mamma a farsi fare le coccole».
Non vorremmo aggiungere altro a quanto si vede e si ascolta in scena, perché c’è un finale a sorpresa che non va rivelato, ma c’è anche una rielaborazione del testo di Apuleio tale da farne un testo decisamente “altro”.
Merito di quattro mani di sicura bravura: quelle di Gianluca Gori e quelle di Giancarlo Marinelli.
Uno spettacolo che essendo intelligente lascia in certi momenti il pubblico perplesso.
Per noi è sicuramente uno spettacolo di primordine: colto, raffinato, elegante e divertente.
Perché – anche se lo abbiamo già detto lo vogliamo ugualmente ripetere – gli ingredienti sono tutti ben dosati.
Così a una Venere diventata non solo mortale, ma, parafrasando Nietzsche, «umana, troppo umana», affetta da fragilità e da solitudine, nonché da frustrazioni, fanno da contraltare, per mitigarne la “tragicità”, battute più o meno serie.
Come quando parlando degli dei, sostituiti ormai dagli eroi antichi e moderni, la dea si chiede se Batman e Robin, sempre insieme, con quelle tutine attillate, non siano forse omosessuali o quando prende in esame la religione cristiana che ha un solo Dio «per cui bisogna andare sulla fiducia» non tralasciando di sottolineare che i cristiani erano vestiti malissimo e che è il senso di colpa a tenerli uniti.
Paragona poi gli oracoli a drogati e descrive il suo tragico matrimonio con Vulcano, un dio-marito tutt’altro che bello, con sottofondo dei continui “putupum” sull’incudine.
Non mancano le sue telefonate alle diverse divinità: momenti di divertente leggerezza.
E non ci vengono fatte mancare le canzoni, da Que reste-t-il de nos amours di Trenet allo swing di Bye Bye Baby.
Novanta minuti di spettacolo in cui questa “nuova” Venere si avvicina ai mortali per il suo bisogno di amore, per la sua brama di vivere che si contrappone al male di vivere, in una miscela equilibratissima tra commedia e tragedia.
Inutile dire che gli applausi sono stati molteplici e le chiamate continue sia per Drusilla-Gianluca Gori che per Elena Talenti.
Venere nemica, di Gianluca Gori e Giancarlo Marinelli da Apuleio, regia di Dimitri Milopulos con Drusilla Foer/Gianluca Gori e Elena Talenti.
Lucca, Teatro del Giglio Giacomo Puccini, 14-16 febbraio 2025
In apertura, Drusilla ed Elena Talenti in Venere nemica
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