Corso Italia 7
Rivista internazionale di Letteratura – International Journal of LiteratureDiretta da Daniela Marcheschi
Una gatta diversa dalle altre
Tra candore lapideo e atmosfere morandiane, è stata messa in scena a Torino in prima nazionale l'opera del drammaturgo statunitense Tennessee Williams, La gatta sul tetto che scotta. Tra suggestivi effetti scenici, e l’ipocrisia che incombe su tutto, il pubblico resta avvinto e sofferente per un’ora e 45 minuti, senza interruzione alcuna, nel seguire le infelicità dei personaggi a cui danno vita gli attori

Il fascio di luce dell’occhio di bue puntato sulla bimba che canta Fly me to the moon fuori dal sipario è una sorta di anteprima dello spettacolo e lei è uno dei «mostri senza collo» che sono i cinque figli di Gooper, primogenito di una facoltosa famiglia del Missisipi, sposato con un «mostro di maternità».
A dare queste acide definizioni è Maggie, la moglie del secondogenito Brick, che è pure protagonista indiscussa della prima parte dello spettacolo che si svolge – come del resto tutto lo spettacolo – in un’unica stanza.
La scena si apre su un candore onirico-simbolico-metaforico di pareti con la quotidianità delle mutande bianche che accomunano i due amici Brick e Skipper.
Quasi una stanza della tortura (per dirla con Giovanni Macchia e il suo Pirandello o la stanza della tortura) questa in cui avviene il dramma di Tennessee Williams, tappezzata di lastroni di marmo bianco che ne aumentano il senso di morte, fornendo allo spettatore una sorta di mausoleo lapideo per Skipper, ma anche per il padre-padrone, ricco proprietario del Missisipi.
La figura di Skipper “amico” di Brick è figura enigmatica: è morto suicida e come tale viene nominato nel testo, senza mai comparire.
Qui invece è perennemente in scena e, nelle sue mutande bianche, si muove ininterrottamente con passo regolare e lento portando, una dopo l’altra, con ritmo costante, bottiglie all’amico Brick divenuto, dopo la sua morte, alcolizzato.
Uno Skipper che da evocato nel testo di Williams diviene presenza viva nella messa in scena di Lidi.
Un perpetuo movimento che fa sì che il palcoscenico si riempia, dall’inizio alla fine dello spettacolo, di bottiglie dando al tutto un’idea di sospensione morandiana.
E tra queste bottiglie, portate in silenzio e quasi a getto continuo da Skipper, i vari personaggi continuano con le loro liti, con le loro urla, in un contrappunto tra tempi vivi e tempi morti.
Perché, non va scordato, che questo è un testo che ispira morte.
Nella seconda parte, protagonista indiscusso è il padre, anche lui avviato alla morte, e anche lui, come la nuora Maggie, dà dei cinque nipoti un’acida definizione.
Per lui sono infatti i «cinque scimmioni».
Qui a rappresentarli tutti e cinque è solo la bambina che appare all’inizio fuori dal sipario e durante lo spettacolo si affanna correndo e saltando ovunque, quasi presenza demoniaca, per dirla col regista.
Interlocutore della moglie e del padre è il secondogenito Brick, figura estremamente drammatica che, insieme a Maggie, subisce dalla famiglia pressioni per non avere avuto figli, a differenza del primogenito Gooper.
Ma subisce pressioni anche dalla stessa moglie insoddisfatta – gatta sul tetto che scotta – che reclama i suoi diritti di coniuge.
La messa in scena nasce, come dice il regista, dall’esigenza di «vendicare» questo testo per lui mai rappresentato in modo soddisfacente, visto che Williams è, sempre per Lidi, «un autore particolarmente frainteso», nel senso di fondamentalmente «edulcorato» e con «la storia d’amore in primo piano», mentre per il regista «i suoi testi hanno sempre all’interno una provocazione, la critica della società attraverso la lente d’ingrandimento della famiglia».
E, sempre secondo il regista, c’è un legame tra Williams e Čhecov, (v. il suo Progetto Čhecov in televisione su Rai5, NdC) visto che il drammaturgo americano era un grande ammiratore del russo, entrambi uniti dall’affrontare quei temi universali che riescono a interessare tutti gli spettatori.

Foto Luigi De Palma
Tutto questo vale non solo per la famiglia, ma anche per la questione del possesso della terra, dell’eredità. Tematiche, entrambe, che ricorrono sia nella Gatta sul tetto che scotta sia nel checoviano Il giardino dei ciliegi.
Un clamoroso fraintendimento di Williams fu anche la celeberrima riduzione filmica della Gatta del ’58, con Elisabeth Taylor e Paul Newman.
Un film che, estromettendo l’omosessualità latente di Brick con rabbia dell’autore, fa vincere il conformismo dell’eterosessualità e della coppia con una Taylor sensualissima e che termina con un bacio appassionato tra i due coniugi.
Osserva ancora Lidi, nelle sue note di regia, che nel testo le donne sono succubi, come sostiene che lo siano per molti versi ancora oggi, per cui non ha sentito la necessità di «ricoprirlo di una patina fasulla di contemporaneità». Per fortuna, vorremmo aggiungere.
Sono tutte donne interessate al benessere economico: dalla gatta-Maggie alla prolifica cognata Mae, alla Mamma interpretata splendidamente da Orietta Notari.
Donne che si muovono in un mondo dove ancora esiste (o resiste?) il binomio donna-madre.
Sappiamo che Lidi non è nuovo ad affrontare Williams, visto che già nel 2022 aveva messo in scena Lo zoo di vetro.
E già avevamo sottolineato il recupero degli autori teatrali americani, di Williams in particolare, messo in scena anche al Franco Parenti nel suo Zoo di vetro e di cui scrivemmo qui [Siamo tutti animali di vetro, 22 dicembre 2024, NdC].

Foto Luigi De Palma
Tra suggestivi effetti scenici, come quello del temporale con i palloncini d’argento soffiati dal palcoscenico sul pubblico, e l’ipocrisia che incombe su tutto, il pubblico resta avvinto e sofferente per un’ora e 45 minuti, senza interruzione alcuna, nel seguire le infelicità dei personaggi a cui danno vita gli attori.
In maniera superlativa Valentina Picello a Maggie, Fausto Cabra a Brick, la già nominata Orietta Notari alla Mamma e un eccelso Nicola Pannelli al Papà.
E, con un tocco di bellezza greca, Riccardo Micheletti ai movimenti di danza dello spirito di Skipper.
Tutti chiamati e richiamati – giustamente – da scroscianti applausi a cui noi vorremmo aggiungere il nostro per il giovane regista.
Perché, è il caso di dirlo, il pubblico torinese ha finalmente imparato ad applaudire…

Foto Luigi De Palma
La gatta sul tetto che scotta, di Tennessee Williams
Regia di Leonardo Lidi con Valentina Picello, Fausto Cabra, Orietta Notari, Nicola Pannelli, Giuliana Vigogna, Giordano Agrusta, Riccardo Micheletti, Greta Petronillo, Nicolò Tomassini.
Torino, Teatro Carignano, 29 aprile -11 maggio 2025
Prima nazionale
In aperturae all’interno foto di Luigi De Palma
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