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Rivista internazionale di Letteratura – International Journal of Literature
Diretta da Daniela Marcheschi

Una statua che vive per il potere delle parole

Elisabetta Salvatori racconta «La Bimba che aspetta». Pietrasanta, Giardino dei Sensi, 3 agosto

Mariapia Frigerio

Una statua che vive per il potere delle parole

Chi è «La Bimba che aspetta»? A spiegarlo è Elisabetta Salvatori, conducendo il pubblico rapito, nel fresco di un giardino privato, in un viaggio che parte da molto lontano, dal 1895. E in questo viaggio l’attrice sembra prendere ogni spettatore per mano e, con sapiente capacità affabulatoria, portarlo tra laboratori di marmo, scultori, fabbri, tra Apuane e mare, fino alla vicenda di una statua che si fa “viva” con le sue parole.

Lo sfondo della vicenda è la Versilia, «terra versatile» come spiega l’autrice, tra cave – vere e proprie cattedrali a cielo aperto – e il mare. Allo scultore Ferdinando Marchetti di Torano, frazione di Carrara, formatosi tra il Circolo degli Anarchici, la Germania – dove si reca a vent’anni – e la Viareggio della “Società dei Divertimenti”, viene commissionata per il cimitero di questa città la statua di una bimba.

Il committente, che aveva conosciuto a Viareggio, è Eugenio Barsanti, un fabbro con la passione per Lorenzo Viani, allora garzone di barbiere. Al fabbro era morta la moglie Clorinda, donna di grazia e sensualità, madre dei suoi sei figli. Era morta, precedentemente, anche una figlia… Proprio per questo il nostro fabbro si era ingegnato per riportare il sorriso sulle labbra della sposa e le aveva costruito una bicicletta. Clorinda ne era entusiasta e pedalava avanti e indietro nelle strade accidentate dell’epoca fino alla mortale caduta.

La figlia Paolina, di soli sei anni, stette fissa al capezzale della madre, ma quando la nonna si accorse che il momento del trapasso era vicino la obbligò a sedersi sulla soglia di casa aspettando che la sua mamma passasse accompagnata da angeli… L’immagine della piccolina seduta sui gradini di casa si impresse nella mente del Barsanti che decise di eternarla e per farlo si rivolse a Ferdinando Marchetti.

Qui ha inizio una storia nella storia, una storia fatta di silenzi: quello dello scultore che dal marmo trae i tre gradini di una soglia dove Paolina si fa ritrarre col viso retto da una mano il cui braccio poggia sul ginocchio piegato, mentre nella destra tiene una piccola ghirlanda di fiori e quello della piccola, imbarazzata modella. Una storia di silenzi che creano, tuttavia, legami inconsapevoli. Così, quando l’opera fu terminata, entrambi provarono gli stessi contrastanti sentimenti: nostalgia e sollievo.

Forte fu l’emozione del Barsanti di fronte all’opera ultimata.

Paolina e il Marchetti non si rividero più, ma l’immagine della giovanissima modella seduta sui gradini fu la presenza femminile che restò più a lungo con lui. La stessa immagine che ancora oggi tutti possono vedere nel cimitero di Viareggio, non su una tomba, ma lungo un vialetto: l’immagine della «Bimba che aspetta».

Il Barsanti, marito devoto, aveva lui stesso creato un’edicolina per la defunta moglie Clorinda.

La storia di Clorinda e di Paolina, della mamma morta e della sua bambina che l’aveva attesa sulla soglia di casa passare con gli angeli, non terminò con la statua ultimata, ma diede vita a racconti e versi negli anni ’30.

Dell’autore, invece, del Marchetti non si seppe più niente.

Di Paolina si sa che se ne andò a fare la ricamatrice a Milano e, quando vecchia, ritornò nella sua Viareggio era solita dire agli spettatori increduli di fronte al suo ritratto: «Sono io, sono io la bambina di tutti i viareggini».

Momento teatrale di grande commozione quest’ultimo, quando la Salvatori fa parlare la vecchia Paolina, dando la sua voce a una vecchia che torna bambina.

Così, con un linguaggio tra italiano e parlata versiliese, accompagnata da musiche eseguite dal maestro Matteo Ceramelli – che vanno da ninne nanne ad accenni a Addio Lugano bella –, Elisabetta Salvatori, nota tra l’altro come attrice-autrice di Viola su Dino Campana, di Bella di nulla sui racconti della propria nonna, di Scalpiccii sotto i platani sulla strage nazista di Sant’Anna di Stazzema, ha resa viva, come se realmente fosse tra gli spettatori – con la sua recitazione accompagnata dallo sguardo commosso e scintillante nell’oscurità del giardino – la statua della bimba seduta del cimitero di Viareggio.

Una commozione che ha trovato riscontro anche nei ripetuti applausi del pubblico.

Le foto sono di Mariapia Frigerio

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