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Rivista internazionale di Letteratura – International Journal of Literature
Diretta da Daniela Marcheschi

Una storia d’amore toccata dalla grazia

La vita davanti a sé, riduzione teatrale del romanzo di Romain Gary, ha conquistato il pubblico del Teatro del Giglio. Silvio Orlando non solo ha curato la regia, ma si muove nella suggestiva scena di Roberto Crea come protagonista e si può dare merito all’attore, per chi non lo avesse già conosciuto, di aver fatto conoscere Gary, nello stesso modo in cui, in un tempo ormai lontano, si partiva dagli sceneggiati televisivi per far conoscere al pubblico i grandi scrittori

Mariapia Frigerio

Una storia d’amore toccata dalla grazia

Un grande successo al Teatro del Giglio per la riduzione teatrale del capolavoro di Romain Gary e per il suo protagonista-narratore l’attore Silvio Orlando, vincitore del Premio Le Maschere del Teatro Italiano 2022 come “Miglior monologo”.

Vale la pena ripercorrere rapidamente l’avventura di un premio, il Goncourt, e la vicenda del testo, che usa una lingua reinventata, fantastica e popolare a un tempo.

Romain Gary, già vincitore del Prix Goncourt nel 1956 con Les racines du ciel, si ripresenta allo stesso premio (che, come si sa, non può essere vinto più di una volta dallo stesso autore) circa vent’anni dopo, nel 1975, sotto lo pseudonimo di Émile Ajar, con La vie devant soi. E vince di nuovo.

Comprensibilissimo visto che la vicenda narrata è attualissima, quasi “anticipatrice”.

Anticipa infatti Daniel Pennac e la sua saga dei Maulassène a Belleville di almeno vent’anni, con il suo mondo di multietnicità. E anticipa pure il movimento LGBT, prima di Tutto su mia madre di Pedro Almodóvar, con il transessuale Madame Lola.

Un mondo, quello di Gary, legato alla miseria degli ambienti, ma anche a sentimenti che non si esagera a definire grandiosi, perché, volendo citare De André, «dai diamanti non nasce niente/dal letame nascono i fior».

Madame Rosa, vecchia prostituta ebrea, tiene una specie di asilo per i figli di colleghe più giovani e ancora impegnate nel lavoro.

Ci sono bambini ebrei, musulmani, bianchi, neri e arabi come il piccolo Momo a cui lei nasconde la vera età, perché ha paura che crescendo la possa abbandonare visto che nutre per lui un vero e profondo affetto, ricambiato dall’ orfano che si sente responsabile della vecchia, l’unica che gli ha fatto da madre.

La storia riserva molteplici sorprese, ma l’aspetto più commuovente è l’amore che si respira leggendo il romanzo di questa umanità sofferente, una sorta di fratellanza, di compartecipazione alle disgrazie altrui.

I personaggi sono molti: dai bambini, alle prostitute, al dottore ebreo, alla coppia “ricca” che si farà carico del piccolo Momo quando resterà solo.

Silvio Orlando, che ha curato la riduzione del romanzo oltre che la regia, si muove nella suggestiva scena di Roberto Crea fatta di scale che si inerpicano le une sulle altre facendo sentire al pubblico la fatica della vecchia prostituta che ogni giorno le deve salire, dando voce ai vari personaggi, partendo da quello che è anche il narratore, ovvero Momo, a cui va ad aggiungere Madame Rosa, Madame Lola, Madame Nadine, il dottor Katz…

E qui chi scrive non può non ricordare la splendida mostra parigina del 2011 al Musée des Lettres et Manuscrits, Des Racines du ciel à La Vie devant soi, e la lettura del romanzo in CD fatta da quella grande attrice che è stata Bernadette Lafont e dal più giovane, ma non giovanissimo, Kamel Belghazi nella parte di Momo.

Ecco che allora scatta qualche riserva sullo spettacolo e anche sulla riduzione scenica che dimentica il personaggio di Monsieur Hamil, il vecchio algerino venditore di tappeti, amante dei Miserabili e confidente del piccolo.

Ma si sa, i tagli sono necessari.

Forse non necessari sono i falsetti con cui Orlando diverte la platea, ma un po’ meno chi scrive che ha amato le voci francesi della Lafont e di Belghazi capaci di trasportare l’ascoltatore in un’onda continua di emozioni, tra il riso e il pianto.

Si può però dare merito all’attore, per chi già non lo avesse conosciuto, di aver fatto conoscere Gary, nello stesso modo in cui, in un tempo ormai lontano, si partiva dagli sceneggiati televisivi per far conoscere al pubblico i grandi scrittori.

E se ci è concesso ancora un paragone televisivo, l’interpretazione di Orlando sta a quella della Lafont e di Belghazi come il Don Abbondio di Alberto Sordi sta a quello insuperabile di Tino Carraro.

In ogni caso grazie a Silvio Orlando se ha offerto a tutto il suo pubblico di ascoltare le parole – modernissime e uniche – di un autore raro.

Perché attraverso Momo ci narra le «solite storie di bambini che non avevano potuto farsi abortire in tempo e che non erano necessari», di Madame Rosa che «aveva i capelli grigi che cadevano anche loro perché non ce la facevano più» e che «avrebbe messo Banania [il bambino di origine africana, NdC] al brefotrofio, ma non il suo sorriso e siccome non si poteva dare l’uno senza l’altro, era costretta a tenerseli tutti e due».

Un romanzo che si conclude con parole programmatiche e valide in ogni tempo: «bisogna voler bene».

Ancora qualche parola per ricordare che lo spettacolo è stato accompagnato dall’Ensemble dell’Orchestra Terra Madre con Simone Campa (chitarra battente e percussioni), Daniele Mutino (fisarmonica), Diego Mascherpa (clarinetto e sax) e Kaw Sissoko (djembe e kora) ed è proprio quest’ultimo, senegalese, che insieme agli altri bis in cui ognuno suona il suo strumento e Silvio Orlando il flauto traverso, che con la kora ci ha fatto respirare l’atmosfera di rue Bisson a Belleville.

In apertura, foto di Laila Pozzo

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