Corso Italia 7

Rivista internazionale di Letteratura – International Journal of Literature
Diretta da Daniela Marcheschi

Viaggio nelle terre di Dio. Un racconto per immagini e parole

Non uno, ma tanti viaggi, in Israele e in Giordania, alla ricerca di siti archeologici, musei, località da fotografare, immortalando reperti, monete, oggetti grandi e piccoli, per i quali si richiede una tecnica di minuscole luci radenti, necessarie a leggere anche il minimo rilievo. Incontri, confidenze, timide amicizie, mettendosi sempre in ascolto e in relazione, fino a scoprire dal di dentro la composizione dei vari gruppi etnici o sociali, la storia, là dove abitano ancora i samaritani, o i drusi, riuscendo a comprendere cosa resta dei kibbutz e come influisce il turismo nelle economie, i sogni, l’avanzamento della ricerca sanitaria, le generazioni, la mancanza di lavoro e di futuro, la difficoltà di spostarsi, i morti…

Carla Morselli

Viaggio nelle terre di Dio. Un racconto per immagini e parole

Dal 1986 al 2012 sono andata in Israele e in Giordania, per lavoro, una dozzina di volte. Dovevo illustrare una Bibbia in cinque volumi, una vita di Gesù in tre ed altre pubblicazioni. Così ho potuto girare questo paese e averne una discreta conoscenza geografica. I vari viaggi mi hanno fatto constatare quanto veloci fossero i cambiamenti in atto, ogni volta palazzi strade situazioni differenti. Nel primo viaggio avevo come contatto Padre Michele Piccirillo, ottimo archeologo con una conoscenza profonda dei luoghi. Era entrato in seminario a dodici anni e la sua vita si era svolta quasi sempre là. Prese la mia carta geografica e segnò con piccoli cerchi in rosso tutte le località che avrei dovuto fotografare, poi mi guardò sorridendo: era certo che non ne sarei venuta a capo.

L’autenticità più che la durezza

Dopo quindici giorni di lavoro inarrestabile alla ricerca di vari siti archeologici, piccoli musei e varie località, aiutata da un tempo meteorologico felice, sapevo che il materiale era completo. Padre Michele con il quale nel frattempo avevo fatto amicizia, forse proprio per i suoi modi bruschi che me ne rivelavano l’autenticità più che la durezza, non credeva ai suoi occhi.

A tempo perso io e Franco Marzi, il collega con cui stavo girando, passammo le sere nel museo della Flagellazione cercando di fornire a Padre Michele ottime immagini dei vari reperti, monete e oggetti di cui non disponeva di alcuna documentazione.

Fotografare oggetti piccoli come monete o grandi come vasi o capitelli, non è come fare fotografare paesaggi o siti, richiede una tecnica di piccole luci radenti necessarie a leggere anche il minimo rilievo. Con un po’ di ingegno riuscimmo ad affrontare ogni problema tecnico, usando piccoli pezzetti di carta come riflettori e all’occorrenza appoggiando gli oggetti sopra un vetro per far cadere l’ombra oltre il piano. Padre Michele comprese che il risultato sarebbe stato buono e lasciò andare le sue diffidenze. Da allora quando aveva qualche problema fotografico non esitava a chiamarmi.

Gerusalemme

La gentilezza, per annunciarsi

In tutti i viaggi che ho fatto ho sempre preso un’automobile in affitto. Con la gentilezza sono sempre riuscita a trovare le mie mete, spesso chiedere informazioni era un modo per annunciarsi, dichiararsi. Mentre vai fai incontri, parli, fai timide amicizie, metti in contatto le persone, ne ascolti i bisogni, conosci qualcosa di più della realtà che è oltre il visibile e comprendi un poco della situazione che le popolazioni risiedenti attraversano: la composizione dei vari gruppi etnici o sociali, le possibilità, la storia, sai dove abitano ancora i samaritani, o i drusi, cosa resta dei kibbutz, come influisce il turismo nelle economie, i sogni, l’avanzamento della ricerca sanitaria, le generazioni, la mancanza di lavoro e di futuro, la difficoltà di spostarsi, i morti ecc.

A volte è un gioco di prestigio fatto per intrattenere i bambini, un saluto o inviare foto fatte nel viaggio precedente a far certa la parola che si dà, a sostenere una richiesta, oppure è il semplice ascolto dell’altro che ti apre alla possibilità di realizzare il lavoro. Poco senza relazione.

Taglio corto perché le cose accadute sono tante e richiederebbero tutto un altro racconto.

L’ultimo viaggio

L’ultimo viaggio che ho fatto è stato su invito di un’amica di Nazareth che mi ha ospitato per due settimane; mi incuriosiva sapere di lei e della sua famiglia. Era vivere dall’interno una nuova esperienza. In casa scoprii una tenerezza famigliare che profumava di menta e di pane, quello che la madre cucinava al mattino alle cinque, prima di andare al suo lavoro di farmacista. Fra i fratelli, che avevano tutti studiato chi medicina chi farmacia in Italia, circolavano canzoni e sorrisi, un’intensità di sentimenti e attenzioni che mi pareva di aver dimenticato. La famiglia era di religione cattolico-ortodossa. La varietà alberga dappertutto come è normale che sia.

Le fotografie di questo viaggio però sono quasi rubate, ho faticato molto a coinvolgere la mia amica e sua sorella negli spostamenti che avevo in mente di fare, anche se ognuno di questi era fattibile in giornata. E si capisce il motivo dalle fotografie di Gerico dove era impensabile fermarsi, da quelle del muro che circonda Betlemme, dall’immagine della spianata delle moschee a cui siamo giunti solo al tramonto.

Sono riuscita a perdermi un po’ al mercato di Betlemme dove comunque dovevo raggiungerle al più presto per ripartire. Poco agio per fermarsi o prospettare deviazioni, la situazione politica, e non il tempo, non lo consentiva. Non ho inviato nessuna foto di una festa di tutta la famiglia e degli amici che si è svolta in un grande garage al suono di una balalaika, né della loro riunione al Rotary Club per cui ho dovuto comprarmi una giacca adatta al caso, né del supermercato o dei bellissimi fruttivendoli, così ricchi di verdure che si producono nelle serre in Cis-Giordania, né delle pasticcerie di Nazareth o di un emporio di spezie con centinaia di sacchi colorati e profumati.

Una nebbia di reticenza e paura

Faceva freddo la mattina di Natale un senso di impotenza e di tristezza mi aveva invaso, come se tutto quel che vedevo cercasse di durare oltre il reale scorrere delle cose, poi un pappagallino bussò alla mia finestra, gli aprii ma non entrava, restava lì a far ammirare le sue gote rosee e il suo ciuffetto giallo sulla piccola testa, come a farmi capire che in questo viaggio non disponevo delle solite ali.  Non potevo attraversare impunemente i posti di blocco come nei viaggi precedenti, una nebbia di reticenza e di paura si sospendeva al solo pensiero di uscire dalla cittadina, ormai quasi interamente israeliana.

In una galleria di Haifa una scultura raffigurava una colomba che cercava di rianimare invano una colomba morta.

Le foto di Israele che pubblico qui non hanno la luce delle altre che ho fatto nei viaggi precedenti, ma forse proprio per questo hanno senso.

 

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