Codice Oleario

C’è ancora molto da apprendere in materia di chimica olearia, il disappunto del professor Lanfranco Conte

Nonostante tanti corsi di formazione in giro per l’Italia, forse non sempre vi sono docenti sufficientemente preparati? O forse si svolgono troppi corsi e si concedono troppe libertà? O forse non si coinvolgono le professionalità più idonee all’insegnamento. O forse - anzi, senza alcun “forse” - sarebbe il caso di cambiare decisamente passo

Olio Officina

C’è ancora molto da apprendere in materia di chimica olearia, il disappunto del professor Lanfranco Conte

Caro Luigi,

ho letto oggi su Olio Officina l’articolo “Il palato umano può sostituirsi…” ed ho meglio compreso l’ambito a cui si riferiva leggendo l’altro articolo “L’olio tunisino…”, tu mi inviti spesso a scrivere per Olio Officina, ma io sono pigro a scrivere e come sai preferisco leggere, ma questa volta non posso esimermi dal farlo.

Tralascio le dichiarazioni del sig. De Luca, si sa, noialtri abbiamo un mestiere e sapendolo fare, ci possiamo garantire il pane quotidiano, chi poi come me ha avuto la fortuna e la possibilità di lavorare per più di 45 anni ha anche la sicurezza della pensione, chi invece, come i politici vive di consensi deve procacciarseli a tutti i costi, se no poi come vivrà in caso di sparizione dalla scena politica?

Nel caso specifico poi siamo abituati all’eloquio folcloristico del sig. De Luca, anche se tu, direttore, bene hai fatto a inquadrare correttamente le caratteristiche della produzione oleicola tunisina.

Desidero invece parlare di quanto sarebbe stato affermato da una persona che viene definito/a (si è definito/a tale da sè?) “Chimico degli Alimenti”, in quanto se si attribuisce tale qualifica, quanto ha affermato smentisce completamente che abbia realmente competenze scientifiche sull’argomento.

Tu hai già risposto correttamente, la frode citata può essere messa in evidenza da analisi di routine già presenti nella legislazione EU e nelle norme COI, e dunque ufficiali: faccio riferimento ad esempio alla spettrofotometria nell’ultravioletto, alla determinazione degli isomeri trans degli acidi grassi, alla presenza di elevate concentrazioni di stigmastadieni e di etil esteri degli acidi grassi e alla valutazione del Delta ECN42. Sono tutte valutazioni ufficiali, che devono essere condotte applicando alla lettera i metodi riportati in gazzetta ufficiale EU e nelle Norme COI e sono metodi “validati”, ovvero sottoposti ad un attento collaudo da parte di numerosi laboratori di tutto il mondo e che se necessario, vengono rivisti e migliorati costantemente, con un pesante ed intenso lavorio dei chimici di tutti i Paesi EU e COI e non solo.

Tutti i parametri citati fanno riferimento a specie chimiche derivanti da trattamenti di raffinazione più o meno spinti, a cui l’olio di sansa non può non essere sottoposto, per eliminare caratteristiche indesiderabili per il consumo umano e soprattutto se si vuole ottenere un olio con caratteristiche ad esempio di colore ed aroma tali da potere essere utilizzato per preparare un olio adatto alla produzione di una miscela fraudolenta.

Se poi si vuole guardare oltre questi metodi, anche in considerazione degli orientamenti espressi dal Reg (EU) 625/2017 possiamo prendere in considerazione i metodi per la valutazione della clorofilla rameica (in genere per colorare gli oli si usa clorofilla rameica e non la clorofilla nativa, magnesiaca in quanto è più stabile), sviluppati proprio in occasione di una frode evidenziata anni addietro a Taiwan relativa ad oli di semi colorati con clorofilla rameica.

Sempre in tema di metodi non del tutto ufficiali o non pienamente o definitivamente “validati” come hai ricordato anche tu, la valutazione dei digliceridi può dare ulteriori informazioni.

Come vedi, non sto parlando della valutazione sensoriale (panel test), né la sto criticando, è possibile che anche questa possa concorrere alla evidenziazione di una non conformità alla categoria dichiarata (extra vergine vs sansa), non partecipo ai lavori del gruppo di analisi sensoriale al COI, né sono un assaggiatore secondo tutti i crismi, ma sicuramente affermare perentoriamente che l’analisi chimica non sia in grado di mettere in evidenza questa frode e che solo il panel test sia in grado di farlo è inaccettabile, come Chimico degli Alimenti trovo ciò oltre che scientificamente errato, anche scorretto nel momento in cui viene affermato ex cathedra, dunque da una posizione egemone.

Credo che quanto detto da questo sedicente chimico degli alimenti sia una offesa a tutti i veri Chimici degli Alimenti.

Un cordialissimo saluto

Lanfranco

Caro Lanfranco, caro Professore,

la signora Stellino che con il suo commento all’articolo sull’olio tunisino ha scatenato le comprensibili reazioni, ci ha scritto comunicando che “la verità da ricostruire a distanza di dodici anni è che per noi corsisti che venivamo dalle province di Palermo e Trapani , i relatori erano tutte persone estranee , sia marchigiani o siciliani , dai quali abbiamo appreso con stupore quella tesi e la visione della slide della raccolta con la pala meccanica delle olive da terra, che furono oggetto di discussione durante la pausa pranzo. Io più di questo non riesco a fare, e mi scuso se ho innescato una polemica fuori luogo “.

Indipendentemente da questo incidente di percorso, quel che mi appare chiaro è che a fare formazione oggi in Italia siano le figure più sbagliate, quelle che dovrebbero occuparsi d’altro, ma che a fronte di cospicui finanziamenti pubblici ne approfittano pur di intascare danaro.

Non ho nessuna reticenza a sostenere che le organizzazioni agricole, pur animate in molti casi da buona volontà e buone intenzioni, dovrebbero starne fuori, semplicemente perché non sono in grado di fare formazione.

Per una attività così importante esistono da una parte le scuole di assaggio, per l’analisi sensoriale, che dovrebbero essere valorizzate anziché penalizzarle come avviene in Italia, e, dall’altra, vi sono invece gli atenei, che possono fare formazione veramente qualificata ma che faticano a farla perché sembra che in materia di olio tutti siano maestri indiscussi ma si faccia volenteri a meno di chi ha la professionalità per farlo.

Forse è il caso di ripensare e rimodulare tutto. Al di là dei corsi universitari, che tuttavia riguardano solo gli allievi impegnati a conseguire un corso di laurea, l’anello debole è legato in particolare alla formazione divulgativa destinata agli operatori.

La grave affermazione che ci ha fatto impallidire tutti non credo sia attribuibile a qualcuno in particolare, ma è il frutto di un approccio sbagliato che prevede giocoforza il coinvolgimento e la presenza di soggetti estranei alla formazione, ovvero di quel tessuto di organizzazioni agricole che anziché esercitare un ruolo sindacale si occupa invece di tutto e perfino di formazione. L’errore sta tutto qui, nel non lasciar svolgere il compito di formatori a chi è deputato a farlo.

La svolta può avvenire soltanto mettendo da parte le organizzazioni agricole da questo ambito formativo e attribuendo invece tutto lo spazio (che giustamente meritano) alle scuole di asaggio, le quali devono però operare in stretta collaborazione con docenti di formazione universitaria. Mi sembra la soluzione migliore che si possa concepire per il bene di tutti.

Un caro saluto a te

Luigi

La foto di apertura è di Gianfranco Maggio per Olio Officina ©

Per commentare gli articoli è necessario essere registrati
Se sei un utente registrato puoi accedere al tuo account cliccando qui
oppure puoi creare un nuovo account cliccando qui

Commenta la notizia