Esportare l’olio extra vergine di oliva, sembra facile
C’è sempre un confine molto labile tra la reale intenzione di tutelare il consumatore e un piccolo ricatto commerciale quando poi non troviamo i valori attesi dall’importatore. È il caso della Germania che incalza l’Italia con richieste assurde e opinabili. Sono tante le opportunità di esportare, ma occorre prestare la massima attenzione per non commettere errori. In America, ed esattamente in California, c’è la proposition 65. È fondamentale esportare conoscendo le norme. Le preziose osservazioni di Valentina Cardone, di Chemiservice
Le esportazioni dell’olio extra vergine di oliva si sono rafforzate nel tempo e ci offrono uno scenario molto incoraggiante. Se si guarda a questo prodotto, che oggi compie 60 anni da quando è stata introdotta la categoria merceologica olio extra vergine di oliva nel 1960, non è poi così vecchio.
Forse può sembrare strano che a parlare di esportazioni internazionali sia la titolare di un laboratorio che si trova in una provincia remota del sud Italia, a Monopoli, in Puglia. In effetti non siamo una multinazionale, ma un laboratorio piuttosto stanziale, però, grazie all’attività di esportazione dei nostri clienti, i nostri rapporti di prova finiscono in tante parti del mondo.
I rapporti di prova di Chemiservice finiscono nell’America del Nord, in Asia, nel Sud America. Buone performance si registrano verso il Brasile e la Cina.
L’Argentina ora è un Paese che tende a produrre l’olio per conto proprio, quindi ha un po’ ridotto le importazioni; ma c’è anche il Medio Oriente e il bacino del Mediterraneo da tenere in considerazione. L’olio extra vergine di oliva è un prodotto che ha sicuramente molto appeal nel mercato internazionale e rappresenta il made in Italy come nostra identità commerciale. È rappresentativo anche della nostra cultura agroalimentare. È rappresentativo della nostra concezione italiana di qualità, e anche, diciamo, sintomatico nello stesso tempo della fortuna che abbiamo nell’avere un territorio che per ragioni agronomiche e climatiche, è in grado di produrre olive di ottima qualità, e così, grazie all’olio extra vergine di oliva è anche possibile per noi dimostrare al mondo qual è il nostro patrimonio culturale in termini agronomici, di tecniche estrattive.
Ma cosa si aspettano di acquistare gli importatori da noi? L’olio extra vergine di oliva è molto più noto come prodotto, grazie alla globalizzazione, grazie anche ai media, come pure grazie a un aumento dei livelli medi di cultura. Oggi l’olio è conosciuto molto più di ieri e rappresenta uno status proprio alla stessa stregua dei capi di abbigliamento italiani, quindi è più cercato, più ambìto e la sua presenza sul mercato si è affermata anche in contesti in cui prima non esisteva.
Ovviamente il nostro ruolo, come Chemiservice, non è certamente quello di sostituirci alle attività doganali, o a quelle agenzie che svolgono il ruolo di mettere in contatto importatori ed esportatori, operatori interessata agli scambi commerciali. Il nostro compito, come laboratorio, è di analizzare i prodotti e creare le condizioni perché si possano raccontare come sono fatti, con le caratteristiche chimico-fisiche che hanno, e quelle organolettiche, agevolando così le esportazioni. Riuscendo a raccontare oggettivamente il prodotto con le sue caratteristiche si ha infatti la percezione di rispondere effettivamente alle promesse del venditore e alle attese del compratore. Quindi è questo il ruolo del nostro laboratorio, favorire le imprese.
Ho preso dai dati dell’Istituto del commercio estero quello che è il quadro rappresentativo delle esportazioni in termini economici dal 2013 al 2017. Ovviamente si tratta di una tendenza in crescita, ma su questo tipo di dati non è possibile nemmeno esercitare un tipo di controllo molto serrato, perché l’olio extra vergine di oliva non è un prodotto industriale, la produzione è condizionata da fattori anche caratterizzati da una grande alea: pioverà, non pioverà? Ci sarà la mosca quest’anno? Che tipo di temperature ci saranno? Di conseguenza i volumi di produzione, come anche quelli di esportazione, non sono mai monitorabili né con grande anticipo, né con grande precisione, però ormai questo tipo di analisi di dati ci fa capire ormai quali siano i clienti più affezionati e molti nostri confratelli europei si confermano grandi compratori di olio extra vergine di oliva. Come è il caso della Germania, ma anche dell’America del Nord, dell’Asia, con Paesi come la Cina, Taiwan, il Giappone. Quest’ultimo è un nostro cliente storico. Poi c’è il Sud America, come paese di nuova esportazione, e seguono anche una serie di altri Paesi, che nelle statistiche vengono chiamati genericamente “mondo”, ma non sono Paesi meno interessanti, né dal punto di vista economico-commerciale, né dal punto di vista produttivo, perché vediamo come Paesi che comprano l’olio extra vergine di oliva da noi, se possono, se è possibile, cercano in ogni caso di organizzarsi per produrlo a propria volta.
Una delle domande che più frequentemente vengono poste al nostro laboratorio è “cosa devo fare per esportare in…”, e seguono Paesi di varia collocazione geografica. Bene, noi possiamo dare un supporto consulenziale, e offrire pacchetti analitici, mutuati dall’esperienza che abbiamo fatto con altri clienti, soprattutto sulla base di esperienze critiche, problemi che ci sono stati durante le esportazioni. Però è molto opportuno ricevere questo tipo di informazione dagli enti preposti, quindi dalle agenzie doganali, dai responsabili commerciali alla distribuzione commerciale nei Paesi di esportazione, anche perché i pacchetti analitici che possiamo proporre noi, rischiano di essere imparziali, incompleti, e quindi non agevolare l’esportazione in un momento molto critico, quello in cui la nave arriva al porto. Magari può capitare che i rapporti di prova non contengono tutte le analisi richieste dalle agenzie doganali dei paesi di importazione. È molto importante mettersi d’accordo prima sulle caratteristiche chimiche fisiche che il prodotto deve possedere e sui profili di genuinità e qualità, magari in quella fase della trattativa commerciale, in cui si tende a dare maggiore rilievo agli aspetti economici e non tanto a quelli tecnici, e tuttavia anche quelli tecnici sono molto importanti nel momento in cui la compravendita deve essere perfezionata. Farlo prima, al momento giusto, ancor prima che partano le navi.
Per capire che analisi bisogna fare è importante vedere in primo luogo se esiste una normativa che disciplina la commercializzazione dell’olio extra vergine d’oliva in quel dato Paese. Noi in Europa siamo un po’ al sicuro, grazie all’esistenza del vecchio Regolamento 2568 del ’91, una norma che è stata cambiata innumerevoli volte, sempre aggiornata. Una norma che ormai è vetusta, perché comprende parametri chimico – fisici un po’ vecchi, e che sicuramente va rivista e aggiornata. Però, si pensi a quanto sia comodo avere parametri di riferimento e limiti legali ai quali appoggiarsi quando si stabiliscono le caratteristiche che l’olio extra vergine d’oliva deve possedere.
Sicuramente è una norma che oltre a indagare i profili della qualità e della genuinità, ci dice poco circa il profilo della sicurezza in termini di tutela del consumatore e allora chi distribuisce in Europa può appoggiarsi ad altri regolamenti, come per esempio il 1881, per quanto riguarda i contaminanti in generale o la normativa dedicata ai pesticidi, per esempio.
Sono tanti i parametri analitici e i limiti previsti per l’olio extra vergine di oliva in Europa. Chi esporta in Europa spesso farà anche analisi di pesticidi, metalli pesanti, diossine, oli minerali, e altro ancora. È necessario osservare le normative e guardare tutti i profili. Nulla vieta ai reparti di prevedere dei limiti più restrittivi di quelli legali, oppure di introdurre nei contratti ulteriori parametri, integrando i contratti con parametri che secondo le parti possono offrire maggiori garanzie in termini di qualità o in termini di sicurezza alimentare.
I tedeschi in questo sono stati particolarmente bravi, accurati, meticolosi. Sono loro che hanno introdotto indagini sulla qualità estremamente accurate, introducendo i gliceridi e altri parametri, perindagare gli aspetti relativi alla freschezza. Sono loro che hanno introdotto il parametro dell’armonia, quando si fa la valutazione dell’olio sotto il profilo organolettico. Sono loro che sotto il profilo della sicurezza hanno introdotto il monitoraggio di ftalati, oli minerali, Mosh e Moah. Per carità, sono tutti spunti, suggerimenti molto utili per chi debba importare un prodotto nell’ottica di tutela del consumatore, ma i problemi vengono fuori quando non ci sono innanzitutto dei metodi analitici standardizzati e quando non ci sono limiti legali, perché a questo punto bisogna mettersi d’accordo su quali valori rendono un prodotto accettabile e quali valori invece rendono un prodotto non accettabile, sia sotto il profilo della qualità, sia di quello della sicurezza alimentare. Sempre i tedeschi, in un’ottica di approfondimento dei monitoraggi, hanno introdotto tecniche analitiche, per carità, che probabilmente nel futuro si affermeranno come assolutamente utili, il Mir, la risonanza magnetica nucleare, però sono sempre tecniche sperimentali da seguire, da tenere sempre sotto controllo, da studiare, ma che non dovrebbero tuttavia impedire la circolazione delle merci. Insomma, c’è sempre un confine molto labile tra la reale intenzione di tutelare il consumatore e un piccolo ricatto commerciale quando poi non troviamo i valori attesi dall’importatore.
Cosa succede invece negli altri Paesi in cui non è applicabile il regolamento comunitario? Che norme dobbiamo applicare? Ci viene incontro sicuramente la norma commerciale del Consiglio Oleicolo Internazionale e il Codex Alimentarius.
Il Codex Alimentarius ha sempre fornito un riferimento per i parametri di qualità e di genuinità degli oli vegetali, in particolare degli oli da olive e tra questi anche quelli dell’olio extra vergine. La norma, invece, del Consiglio Oleicolo Internazionale, è specificatamente dedicata ai profili di qualità e di genuinità degli oli extra vergine di oliva ed è una norma tecnica che consideriamo poi fondamentale perché poi ha anche ispirato il nostro legislatore comunitario. Sia il Codex che lo standard Coi sono norme commerciali ad applicazione volontaria, quindi bisogna mettersi d’accordo prima su quale delle due applicare, o tutte e due, o una combinazione delle due, e questo fa parte dei contratti esattamente alla stessa stregua delle clausole che disciplinano i rapporti economici, il prezzo.
In realtà i paesi che normalmente comprano l’olio extra vergine d’oliva da noi, con il tempo si sono dati standard interni e molti di questi mutuano i parametri di qualità e genuinità dallo standard del Consiglio Oleicolo Internazionale.
Gli americani, che sono i nostri più affezionati clienti, si sono dati uno standard interno nel quale vediamo analisi tipicamente suggerite dalla norma del Consiglio Oleicolo Internazionale, ma si sono rivelati un Paese particolarmente sensibile al tema della sicurezza e quindi un’attenzione particolarissima al monitoraggio dei pesticidi. Il problema è che hanno una concezione della sicurezza alimentare che è un po’ disarmonica, se pensiamo a quanto possono considerare pericoloso l’olio extra vergine di oliva rispetto ad altri, che comunque è un ingrediente, e che comunque è un condimento rispetto ad altri prodotti che vengono consumati in quantità più massicce rispetto ai quali per esempio c’è una attenzione minore in tema di pesticidi; l’altro problema è che loro considerano rilevanti delle molecole anche rilevanti per il nostro regolamento comunitario ma secondo dei limiti diversi e allora c’è il problema di armonizzare la disciplina dei limiti. E questo, in termini pratici, per gli esportatori significa dedicare alcuni prodotti alla circolazione in Europa e alcuni prodotti alla circolazione degli Stati Uniti. E ancora, anche sotto il profilo dell’informazione ai consumatori, le informazioni nutrizionali previste dalla regolamentazione americana sono diverse da quelle che invece sono imposte dal nostro legislatore comunitario, perché ad esempio sotto il profilo nutrizionale, gli americani prestano attenzione a vitamine, sali minerali che invece in Europa non sono considerati e quindi, per gli esportatori, ciò significa anche fare un etichetta ad hoc, anche sotto il profilo delle informazioni dei valori nutrizionali. Ricordiamoci inoltre che l’America è fatta di Stati diversi e nulla vieta a ciascuno di questi di stabilire norme interne. Ad esempio, la California, che si è reso un Paese autonomo nelle produzioni olearie, anche attraverso una interpretazione tutta personale dei parametri chimici, dei limiti di riferimento e anche dei tempi della sicurezza alimentare. Pertanto, chi esporta in California deve anche attenersi alla famosa “proposition 65”, che impone al produttore di qualsiasi prodotto alimentare di verificare se all’interno di questo possa esserci, o ci sia, una delle migliaia di contenuti considerati pericolosi e cancerogeni, anche perché l’obbligo primario è di ridimensionare la presenza di tali contenuti e, se non è possibile, mettere sulle etichette un warningche avvisi i consumatori.
Gli americani, dunque, creano in generale una serie di problemi nell’importazione. Da qualche anno ci obbligano a elaborare un “food safety plan” e a introdurre la figura di PCQI, cioè una persona che implementi il “food safety plan” e ne garantistica l’applicazione, che abbia i contatti con l’FDA e riceva e gestisca gli auditche vengono effettuati in maniera abbastanza severa e numerosa e poi, per chi esporta in Paesi particolari, è necessario informarsi se non vi siano norme ulteriormente restrittive come la “proposition 65”.
[1. Continua]
La foto di apertura è di Luigi Caricato
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