Codice Oleario

L’impiego a caldo degli oli

Tutti utilizzano i grassi in cottura, ma non tutti ne conoscono le proprietà e funzionalità, e, ancor di più, sono in molti a ignorare i risvolti salutistici che ne conseguono. Occorre infatti sapere che le sostanze grasse soffrono di una rapida degradabilità, dovuta all’ossidazione degli acidi grassi. Per questo, al termine di varie cotture, dopo opportuno raffreddamento, e dopo aver recuperato la fase oleosa residuata nel recipiente, si è valutata la migliore scelta di grassi possibile

Giovanni Lercker

L’impiego a caldo degli oli

La cottura degli alimenti è un sistema di preparazione del cibo molto antico e diffuso nel mondo. I cibi cotti sono certamente più sicuri per gli aspetti microbici, molto spesso più gradevoli e, in molti casi, facilmente digeribili.


Per molti alimenti la materia prima dalla quale si parte per cucinarli, cambia durante la cottura le sue caratteristiche organolettiche in maniera evidente, come ad esempio accade per l’uovo, le carni, i pesci, le verdure, le frutta, ecc.

In altri casi le caratteristiche gustative sono molto simili e la cottura viene condotta con la finalità di stabilizzare l’alimento. Per quei cibi ottenuti con cotture che impiegano oli o grassi nella veste di condimenti, non nel ruolo di “bagno di cottura”, il risultato del trattamento porta ad una rapida cottura, con formazione di caratteristiche organolettiche molto condizionate dalla scelta del condimento.

L’utilizzo di burro, ingrediente tradizionale dei cibi cucinati nella parte più a nord dell’Italia (e dell’Europa), produce cibi dal sapore delicato, gustosi e dolciastri. Quando si utilizza l’olio, uno dei oli vergini ottenuti dall’oliva, i cibi assumono altre sensazioni organolettiche, più spesso vicine a quelle delle materie prime alimentari impiegate.

Le sostanze grasse soffrono di una relativamente veloce degradabilità dovuta all’ossidazione degli acidi grassi in esse contenuti, con particolare intensità per quelli più insaturi, che porta alla formazione di sensazioni sgradevoli di rancido. I trattamenti termici, quali le cotture degli alimenti, sono innescanti e moltiplicativi degli effetti ossidanti, con la conseguenza di una ridotta conservazione dei cibi cotti, soprattutto quando contengono sostanze grasse insature. Vale a proposito il detto che, per avere la massima qualità organolettica in tavola, i cibi una volta cotti siano completamente consumati subito dopo.

La velocità di ossidazione degli oli e dei grassi alla temperatura del forno, valutata ad esempio a circa 180 °C), è circa 60.000 volte maggiore che a temperatura ambiente (ad es. mille ore di conservazione a temperatura ambientale contro un minuto a 180 °C), per cui la conservazione alle basse temperature si è sviluppata anche per questi impieghi oltre che per la conservazione in relazione agli sviluppi microbici.

Le cottura a bassa temperatura sono meno problematiche per eventuali conservazioni o successivi ulteriori riscaldamenti, da condurre all’atto del consumo reiterato, mentre per i cibi cucinate alle elevate temperature, soprattutto per tempi lunghi di trattamento, la conservazione risulta difficile. Anche le caratteristiche di costituzione dell’alimento da cuocere sono influenzanti questi risultati, sia per la loro facilità di degradazione sia per le caratteristiche della loro struttura fisica: gli alimenti sminuzzati espongono superfici maggiori all’aria, che contiene ossigeno, mentre pezzature grandi hanno la minima superficie a parità di volume totale.
Le cose si complicano nel primo caso se sono stati utilizzati oli o grassi per l’elaborazione del cibo in cottura.

Principali tecniche di cottura

Le principali tecniche di cottura sono:

– in ambiente umido (in acqua o a vapore)

– frittura

– nel forno a microonde


Nella cottura in ambiente umido vi è una rapida ed efficace cessione di calore da parte dell’acqua bollente o del vapore:


-la superficie del prodotto raggiunge la temperatura di cottura molto velocemente

– l’incremento all’interno dipende dalle dimensioni e dalla conducibilità del prodotto.


Questo significa che maggiore è la temperatura di cottura minore è il tempo in cui il cuore del cibo raggiunge una determinato riscaldamento. Una temperatura maggiore si risolve in un tempo di cottura più breve ma in un più alto surriscaldamento superficiale.

Impostazione della ricerca

La ricerca è stata condotta per verificare il comportamento della cottura di alcuni alimenti caratteristici della cucina italiana, in presenza di oli e grassi normalmente impiegati allo scopo. In particolare si sono utilizzati: l’olio di girasole, due oli di oliva extra vergine – con caratteristiche organolettiche differenti al gusto, uno delicato ed uno saporito – e il burro.

I cibi cucinati sono stati: una fettina di carne in cotta in padella antiaderente, un arrosto al forno, un sugo al pomodoro e un sugo di carne (cucinato alla bolognese).

I cibi scelti erano caratterizzabili da cotture veloci, come la fettina di carne e il sugo di pomodoro, o lente a media temperatura, come il sugo alla bolognese, oppure da cotture relativamente lente ad elevata temperatura, come l’arrosto al forno.

Al termine delle varie cotture, dopo raffreddamento, si recuperava la fase oleosa residuata nel recipiente, centrifugando per separare quella acquosa più o meno emulsionata quasi sempre presente.

La fase oleosa era esaminata per tutti i cibi immediatamente e, solo per i casi dell’arrosto e del ragù di carne, anche dopo alcuni giorni, in considerazione del fatto che a livello casalingo qualche volta si tende a conservare determinate preparazioni o ciò che residua dai pasti incompleti o quando il cibo è abbondante.

Le determinazioni condotte sono state scelte per evidenziare lo sviluppo ossidativo e la riduzione eventuale dei principi nutrizionali dei cibi e dei condimenti. In tal modo è stato possibile valutare la scelta migliore, scientificamente controllata in quelle preparazioni alimentari, nell’impiego degli oli e del burro.

Spunti di riflessione

 L’olio extravergine di oliva è il condimento da preferire nelle preparazioni a caldo, perché è più resistente all’ossidazione e più ricco di antiossidanti.

Il lavoro di ricerca ha confermato come l’olio extra-vergine di oliva possieda una stabilità alla cottura ben più alta di quella degli altri condimenti utilizzati (olio di semi, burro).
La sua maggiore resistenza è dovuta a due fattori: il primo è legato alla composizione degli acidi grassi, poco ricca di insaturazione, e il secondo è il contenuto di sostanze antiossidanti che lo rendono ancora più resistente ed adatto al riscaldamento. Queste sostanze sono i “polifenoli”, che oltre ad apportare dei benefici in termini nutrizionali, sono fondamentali per la stabilità ossidativa dell’olio e per le sue caratteristiche sensoriali, ossia per il sapore che impartiscono ad esso.

 Proprio in una cottura prolungata (ragù), durante la quale lo stress termico tende a decrementare la qualità di tutti gli oli, è preferibile utilizzare un olio extravergine di oliva, perché conserva meglio le sue caratteristiche.

Il lavoro di ricerca ha messo in luce con chiarezza come il ragù sia, almeno nei confronti dell’olio o del grasso impiegato, la preparazione alimentare (tra quelle sperimentate in questo lavoro) più ossidante e più drastica. Ed è proprio in questa preparazione che l’olio extravergine di oliva, per i due fattori sopra riportati (insaturazione e presenza di antiossidanti termostabili) mantiene una parte maggiore, rispetto agli altri condimenti utilizzati, delle proprietà nutrizionali originali e della resistenza al calore.

 L’olio di girasole è da utilizzare solo nelle preparazioni a crudo; durante la cottura riduce le sue peculiari proprietà nutrizionali; il suo uso è controindicato soprattutto nel caso del ragù.

L’olio di girasole è caratterizzato da una composizione in acidi grassi notoriamente e profondamente diversa da quella dell’olio extravergine di oliva o dell’olio di oliva (due oli che non differiscono in termini di insaturazione). Esso, come quasi tutti gli oli di semi, è “più fluido”, poiché contiene più acidi grassi polinsaturi. Tra questi, in particolare, devono essere ricordati il linoleico e il linolenico, che appartengono alle serie omega 3 e omega 6 e che sono noti come acidi grassi essenziali. La loro assunzione, dal punto di vista nutrizionale, è di primaria importanza ma ogniqualvolta li utilizziamo dobbiamo porci il problema della loro conservazione. Gli acidi grassi polinsaturi, infatti, si ossidano molto rapidamente generando radicali liberi, a loro volta implicati in diverse malattie tra cui il cancro, l’aterosclerosi e l’invecchiamento. Per questa ragione, gli oli contenenti polinsaturi (come il girasole) non vanno scaldati e dovrebbero essere consumati in tempi brevi dalla data di acquisto.

 In caso di consumo differito, per una buona conservazione (in frigorifero o in freezer) degli alimenti preparati e cotti in casa, è molto importante che il condimento abbia un’elevata stabilità all’ossidazione, come quella dell’olio extra vergine di oliva.

La reazione di ossidazione, che produce radicali, una volta innescata dall’ossigeno atmosferico o dal trattamento termico non si ferma, anzi si autoalimenta, anche se si interviene sull’alimento abbassando repentinamente la temperatura. Questo è accaduto anche all’interno dei condimenti a base d’olio e di burro delle ricette tradizionali che sono state oggetto di questo lavoro. Le differenza di ossidabilità, riscontrata sui condimenti di partenza, si è mantenuta tale anche in termini di conservabilità. Posto che le preparazioni che più hanno sofferto di una conservazione protratta (a 4°C, per cinque giorni) sono quelle ottenute in condizioni più drastiche (arrosto e ragù), la sostanza grassa del condimento che ha mantenuto meglio la propria qualità dopo cinque giorni è risultato l’olio extra vergine di oliva.

 Nella preparazione della fettina di carne (rapida cottura e consumo immediato), la scelta del condimento è importante soprattutto dal punto di vista organolettico.

La cosiddetta “fettina di carne” è una preparazione rapida, estemporanea, di un prodotto poco elaborato che è buono se consumato ancora caldo, se la carne è saporita e tenera e se il condimento risponde al gusto del consumatore. Le prove effettuate in questo lavoro non hanno messo in luce sostanziali alterazioni della qualità degli oli e grassi impiegati, nemmeno di quello più insaturo (olio di girasole). Per queste ragioni la scelta dell’olio o del grasso è meno vincolata alla sua resistenza all’ossidazione e può essere effettuata liberamente sulla base del gusto del consumatore.

 Non sono emerse differenze di qualità, dopo cottura, tra olio Robusto e Gentile: entrambi sono ricchi di sostanze antiossidanti e possono essere indistintamente utilizzati a caldo, a seconda del gusto personale.

Da questa sperimentazione sono emerse piccole differenze di composizione tra olio Robusto e Gentile, in merito alla composizione dei componenti minori polari di natura polifenolica, ma la qualità ossidativa dei due oli è risultata paragonabile, così come la quantità totale di sostanze antiossidanti. Entrambi sono dunque adatti ad un uso a caldo e costituiscono una buona scelta per la cottura; il consumatore può dunque scegliere l’uno o l’altro sulla base delle preferenze di gusto.

 La cottura dell’arrosto produce sempre un’intensa reazione di Maillard, essa contrasta efficacemente l’ossidazione lipidica, ma non è gradita dal punto di vista nutrizionale.

Negli alimenti sottoposti a cottura l’ossidazione lipidica non è l’unica reazione chimica innescata dall’aumento di temperatura. In particolare, quando sono presenti amminoacidi, zuccheri e proteine alimentari può aver luogo la reazione di Maillard, nota anche come imbrunimento non enzimatico. Dal punto di vista nutrizionale la reazione di Maillard determina la perdita di un amminoacido essenziale (lisina), l’inibizione dell’assorbimento intestinale di amminoacidi ed un indurimento del prodotto, con una conseguente diminuzione della digeribilità delle proteine.
Questa reazione viene affrontata qui, con attenzione, poiché, durante la cottura dell’arrosto, il suo compimento ha cambiato di molto il comportamento all’ossidazione degli oli e dei grassi utilizzati. Ciò poiché essa è in grado di diminuire, in modo sostanziale, la velocità di ossidazione dei lipidi: infatti è noto che i prodotti della reazione di Maillard agiscono come “spazzini” di radicali liberi, esercitando un effetto protettivo nei confronti dell’ossidazione.
Ciò spiega come mai tutti gli oli utilizzati per la cottura dell’arrosto hanno mostrato una resistenza all’ossidazione residua molto superiore alle aspettative, come se non avessero subito un riscaldamento drastico e prolungato.

 Il burro contiene pochi antiossidanti primari e contribuisce direttamente alla reazione di Maillard, quindi non conviene usarlo in cottura, soprattutto se drastica e prolungata.

Questa affermazione, molto rilevante, deriva da evidenze di tipo chimico e nutrizionale. Il burro, infatti, non contiene sostanze polifenoliche e non contiene tocoferoli in quantità elevata. Esso è in grado di promuovere anche da solo (senza la carne) la reazione di Maillard, perché contiene sia glucidi che amminoacidi ed è proprio per questa ragione che, ad alte temperature, la sua frazione lipidica sembra essere molto resistente, sembra non ossidarsi mai. I prodotti della Maillard, che il burro stesso, in condizioni drastiche, produce, fungono da efficacissimi antiossidanti. Tuttavia, poichè la reazione di Maillard andrebbe controllata per ragioni nutrizionali, il burro, che la amplifica, non dovrebbe essere usato nelle cotture spinte.

 Nell’arrosto la scelta dell’olio extravergine di oliva è importante anche per la successiva conservazione.

L’impiego dell’olio extravergine di oliva come condimento per la preparazione dell’arrosto è preferibile perché è dotato della componente fenolica (antiossidante), che si mantiene in parte anche dopo cottura, ed resta “attiva” durante la conservazione, rispetto all’olio di girasole che è originariamente sprovvisto di questi composti.

 La vitamina E (tocoferoli), da sola, non mostra un’ efficace antiossidazione in cottura, per cui l’olio extravergine di oliva è una scelta ottimale soprattutto per la presenza di polifenoli antiossidanti.

Si è già detto che il ruolo della vitamina E in cottura non è sostanziale; per questa ragione la presenza di polifenoli costituisce la chiave della protezione all’ossidazione dell’olio extravergine di oliva (insieme al suo caratteristico indice di in saturazione).

Lo studio riportato si riferisce a una ricerca che Unilever (per conto di Bertolli, e tramite la Edelman di Milano) commissionò nel 2004 all’Università d Bologna, ed esattamente al Dipartimento di Scienze degli Alimenti. La foto di apertura è di Lorenzo Cerretani.

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