Codice Oleario

La questione (irrisolta) dei panel

Prosegue il dibattito a seguito dell’intervento su quel che non va nei panel test. Moltissimi produttori e confezionatori hanno la presunzione di essere in grado di assaggiare da soli gli oli e non ricorrono alla competenza e alla professionalità dei panel. Basti dire che moltissimi produttori e confezionatori ritengono (è il caso di precisarlo, erroneamente) di poter determinare l’acidità di un olio assaggiandolo o ritengono di non dover effettuare le analisi chimiche del prodotto in quanto hanno seguito in prima persona tutte le fasi del processo di produzione

Alfredo Marasciulo

La questione (irrisolta) dei panel

Pubblichiamo volentieri una nota di Alfredo Marasciulo, noto esperto di analisi sensoriale degli oli da olive, in seguito a quanto riportato in una nota (QUI), pubblicata lo scorso 28 luglio e che mette a nudo una questione aperta e tuttora irrisolta, sui panel test.

E’ molto difficile rispondere all’articolo “Quel che non va nel panel test”, per tutta una serie di motivi, in parte anche personali che mi trovano a dissentire profondamente da quanto sostenuto dall’autore. A parte però il mio dissenso di massima, quello che rilevo è una mancanza di chiarezza in quanto esposto.

E’ evidente che chiunque abbia scritto l’articolo sia contrario al fatto che la classificazione merceologica degli oli di oliva vergini sia determinata anche dal panel test. Non discuto tale convinzione ma soltanto il modo, a mio vedere non corretto, attraverso il quale si cerca di portare il lettore a condividere tale tesi.
Si cerca infatti di sostenere che il panel test è una prova non ripetibile e non riproducibile, una prova che ha dei margini di incertezza elevatissimi, una prova del tutto soggettiva e senza alcun criterio di oggettività. Una prova assolutamente inadeguata a classificare tutti gli oli di oliva vergini prodotti al mondo.
Se così fosse, sarebbe condivisibile la tesi sostenuta, ma il punto è che la realtà è profondamente differente.

Procediamo con ordine e proviamo ad elencare e confutare le affermazioni che mi vedono in disaccordo e che andrebbero chiarite:
Ai sensi delle vigenti norme la classificazione degli oli di oliva vergini si ottiene dalla risultanza di due differenti analisi una chimica ed una sensoriale.
Nell’articolo si effettua un confronto tra queste due differenti prove per giungere alla conclusione che mentre l’analisi chimica è una analisi sicura ed inoppugnabile l’analisi organolettica è una prova molto soggettiva e dagli esiti non certi.

A detta dell’autore dell’articolo l’incertezza di misura delle due differenti analisi (ossia la misura degli errori in cui si può incorrere nell’effettuare le analisi) è molto differente, al massimo il 20% nel caso di analisi chimica e il 200% in caso di analisi sensoriale.
Sarebbe opportuno citare le fonti di questi dati visto che in assenza delle stesse non si può valutarne la veridicità ed eventualmente provare a replicare a queste affermazioni.
Si aggiunga che la citata norma EN ISO 17043 che si sostiene imponga ai laboratori chimici di effettuare i ring test in realtà è una norma che disciplina i “Requisiti generali per prove valutative Interlaboratorio” ed a cui sia i laboratori chimici sia quelli sensoriali devono sottostare qualora decidano di accreditarsi. Tale accreditamento, così come quello alla norma EN ISO 17025 è un processo del tutto volontario che serve a dimostrare ai terzi che il laboratorio di analisi (lo ribadisco ancora una volta: sia chimico che sensoriale) rispetta le procedure stabilite da dette norme.
In altre parole si tratta di norme non cogenti e del tutto volontarie a cui possono decidere di sottostare sia i laboratori di analisi chimiche che quelli di analisi sensoriali.

Faccio presente inoltre che nonostante (fonte sito web) ACCREDIA sia “l’Ente unico nazionale di accreditamento designato dal Governo italiano, ossia l’unico ente riconosciuto in Italia ad attestare che gli organismi di certificazione ed ispezione, i laboratori di prova, anche per la sicurezza alimentare, e quelli di taratura abbiano le competenze per valutare la conformità dei prodotti, dei processi e dei sistemi agli standard di riferimento” non è necessario che un laboratorio di analisi (chimica o sensoriale) si accrediti per lavorare correttamente.
Nell’articolo si sostiene inoltre che i panel riconosciuti nel mondo sono solo 56.
Appare spontaneo chiedersi “riconosciuti da chi?” e, subito dopo, domandarsi a fronte dei 56 panel riconosciuti quanti siano i laboratori di analisi chimica riconosciuti dallo stesso soggetto.
Anche questa informazione manca non permettendo un confronto tra i dati.
Si aggiunga inoltre che il termine “riconoscimento” in sè non ha un grande valore e significato se non circostanziato con precisione.
Ad esempio in Italia si può richiedere al MIPAAF il riconoscimento ai sensi del DM18/06/2014 (alla data odierna sono 77 i Panel riconosciuti di cui 11 ufficiali e 66 professionali).
E’ possibile inoltre richiedere il riconoscimento al Consiglio Oleicolo Internazionale (COI) (Fonte sito web COI: laboratori chimici riconosciuti 65 di cui 31 pubblici e 34 privati – Panel riconosciuti: 57)

In ultimo luogo è possibile richiedere l’accreditamento in conformità alle norme EN ISO 17025 da Accredia in Italia e dai rispettivi enti di accreditamento nelle altre nazioni.
Indipendentemente dalle richieste di riconoscimento di accreditamento è necessario ed opportuno segnalare che operano in Italia e più in generale in tutto il mondo centinaia di Panel che lavorano con estrema competenza e professionalità e che non hanno sentito la necessità di chiedere riconoscimenti ed accreditamenti.

Sempre ai fini del confronto tra laboratori di analisi chimica e sensoriale è opportuno e necessario sottolineare che l’accreditamento si ottiene per la singola prova e non per il laboratorio nel suo complesso. Ciò significa che relativamente all’analisi chimica degli oli di oliva vergine andrebbero accreditate tutte le analisi previste dal REG CEE 2568/1991 e smi (Acidita, perossidi, spettrofotometria, acidi grassi, steroli, cere, stigmastadieni, alchil esteri, 2 gliceril monopalmitato, ECN42, transisomeri degli acidi grassi, solventi alogenati oltre che i contaminanti che potrebbero rendere non commestibile il prodotto) mentre la maggior parte dei laboratori richiedono l’accreditamento per una o più prove e non per tutte quelle necessarie alla corretta classificazione del prodotto.

Anche l’affermazione che l’analisi sensoriale esiste solo per gli oli di oliva vergini in realtà andrebbe approfondita. Mi domando se un produttore o un imbottigliatore di vino possa immettere impunemente sul mercato un prodotto con il chiaro sapore ed odore di aceto, oppure se un produttore di salame possa immettere sul mercato dei prodotti con chiari sentori di muffa o di marcio. Probabilmente per questi prodotti un odore o un sapore anomalo sono una causa immediata di non commestibilità e non permettono una immissione sul mercato degli stessi.
Relativamente agli oli vergini invece un odore o un sapore anomalo non escludono la possibilità di immissione del prodotto sul mercato ma soltanto l’obbligo di dare un differente nome al prodotto.

Continuando nella lettura dell’articolo si evidenzia come 56 panel (resta il dubbio sul numero citato) riconosciuti possano assaggiare 3.000.000 di TM di oli vergini di oliva.
In realtà, al di là del fatto che gli assaggi che ciascun panel può effettuare in una giornata di lavoro sono 12 e non 4 (REG CEE 2568/1991 versione consolidata al 01/01/2015 allegato XII punto 9.1.2 “Per gli oli vergini si raccomanda di effettuare la valutazione organolettica su un numero di campioni non superiore a QUATTRO per seduta, con un massimo di 3 sedute al giorno, per evitare l’effetto di contrasto che potrebbe produrre l’assaggio immediato di altri campioni.”) il punto fondamentale da ribadire è che nel mondo esistono centinaia e centinaia di panel aziendali, professionali, privati che potrebbero tranquillamente assaggiare tutti gli oli prodotti e molti di più se solo venisse loro chiesto di farlo. Il vero problema è che moltissimi produttori e confezionatori hanno la presunzione di essere in grado di assaggiare da soli gli oli e non ricorrono alla competenza ed alla professionalità dei panel. Basti dire che moltissimi produttori e confezionatori ritengono (è il caso di precisarlo, erroneamente) di poter determinare l’acidità di un olio assaggiandolo o ritengono di non dover effettuare le analisi chimiche del prodotto in quanto hanno seguito in prima persona tutte le fasi del processo di produzione.

Il fatto di spostare in capo al produttore l’obbligo del panel test non risolverebbe inoltre il problema, per una serie innumerevole di ragioni legate anche al fatto che le caratteristiche organolettiche così come quelle chimiche si modificano nel tempo.
Al limite ci sarebbe da introdurre un obbligo di analisi chimica e sensoriale sia in capo al produttore che in capo al confezionatore per ogni partita al momento dell’immissione in commercio della stessa, anche se in linea di principio non condivido tali politiche per il fatto che non garantiscono una reale efficacia ed al contempo fanno lievitare i costi soprattutto in caso di piccole partite di prodotto immesse sul mercato da piccoli produttori.

Su una cosa invece sono finalmente d’accordo con quanto dichiarato nell’articolo.
Mi auguro vivamente che si arrivi al punto in cui sia possibile una determinazione dei difetti e del fruttato (in sostanza di tutte le caratteristiche sensoriali del prodotto) per via chimica.
In questo modo finalmente si smetterebbe di fare polemica su questo argomento e si vedrebbe che il problema non è la presunta incapacità dei panel di classificare correttamente il prodotto ma il fatto che c’è un gran numero prodotti presenti in commercio (che provengono sia piccoli che da grandi produttori e confezionatori) che non ha effettivamente le caratteristiche per essere classificato come extravergine.
Forse solo in questo modo si riuscirebbe a comprendere veramente la reale portata del problema e decidere tutti insieme di cercare di risolverlo nell’interesse primario del consumatore e di quello degli operatori della filiera.

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La foto di apertura è di Luigi Caricato

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