Codice Oleario

La Xylella sale verso nord

A mali estremi, estremi rimedi. Per far fronte al fenomeno, si deve ricorrere a insetticidi con principi attivi di nuova generazione, senza più esitare. Gli ‎olivicoltori del barese e della BAT si sono finalmente svegliati e cominciano a mostrarsi seriamente preoccupati ‎di fronte all’avanzata del batterio. Ormai non è più un segreto che si stia ‎lentamente avvicinando all’area dell’Ogliarola barese e della Coratina. Al momento, ci sono due notizie: una buona e l’altra cattiva

Angelo Godini

La Xylella sale verso nord

Dopo una pennichella durata alcuni mesi il problema “Xylella e olivi di Puglia” è ‎riesploso con virulenza sulla stampa e sulle televisioni pugliesi agli inizi di maggio, con la ripresa del ciclo biologico degli adulti del vettore sputacchina.

Ricordo che Xylella ‎fastidiosa è il batterio autore della più grave e più estesa strage di alberi d’olivo che la storia plurimillenaria della nostra specie ricordi. Si dice che Xylella sia stata improvvidamente importata dal Centro America nel basso Salento dove, aiutata da un inconsapevole, ma ospitale insetto vettore locale noto come sputacchina, continua a fare danni indisturbata, a dispetto delle misure ‎‎(misure?) di contrasto finora messe in atto (in atto?).

Proprio circa le misure messe in atto, la Regione Puglia continua a illustrare i risultati ottenuti in materia di controllo di Xylella basandolo sull’uso ripetuto di un sostantivo, che deve avere evidentemente potere esaustivo e salvifico insieme. Il sostantivo magico è monitoraggio.

Si, avete letto bene: sembra che la Regione Puglia, ‎impotente di fronte all’aggressione di Xylella, abbia creduto di ‎trovare la soluzione sottoponendo ad attento e minuzioso controllo il progredire ‎dell’infezione sul territorio. Per tenerci informati sullo stato di avanzamento del ‎morbo in regione. E poi?

Gli ‎olivicoltori del barese e della BAT si sono finalmente svegliati e cominciano a mostrare d’essere seriamente preoccupati ‎di fronte all’avanzata di Xylella. Ormai non è più un segreto che il batterio si ‎avvicina lentamente a quella parte dell’olivicoltura pugliese che è unanimemente‎riconosciuta, a ragione, come l’eccellenza di Puglia, e non solo di Puglia. Mi riferisco alle olivicolture basate sulle varietà ‘Cima di Bitonto’ e ‘Coratina’, riguardo alle quali ci sono due notizie, una buona e l’altra cattiva.

La notizia buona è quella che ‘Cima di Bitonto’ o ‘Ogliarola barese’ (conosciuta anche come ‘Frantoio’) sarebbe resistente a Xylella.

La notizia cattiva è quella che ‘Coratina’ non sembrerebbe invece resistente. Ora, il lettore riesce ad immaginare quale disastro (storico, culturale, economico, paesaggistico) deriverebbe qualora Xylella, per come è le stata organizzata finora la lotta, arrivasse in un prossimo futuro dalle parti di Corato, Andria, Barletta, Canosa, Cerignola, ecc.? Senza dimenticare cosa potrebbe avvenire (o sta già avvenendo?) nell’areale classico degli olivi monumentali di Cisternino, Ostuni, Fasano, Monopoli ecc., con varietà che sappiamo essere sensibili al morbo. Senza contare quanto è già avvenuto nel basso Salento, oramai diventato un cimitero di alberi d’olivo. Senza pensare a quello che potrebbe succedere qualora a Xylella fosse “consentito” di dilagare fuori di Puglia.

I nostri nipoti, avventurandosi un domani in quelle zone di Puglia ormai devastate potrebbero rivolgersi all’interlocutore ospite dicendo: “C’era una volta …”.

Lasciatemi dire, per l’affetto che porto ad altre due specie che mi hanno accompagnato nei miei cinquant’anni di studi e ricerche all’Università, che desidero richiamare l’attenzione sui rischi che corrono gli alberi di altre due specie, molto importanti per l’economia agricola pugliese, e che sono entrambe sensibili a Xylella. Mi riferisco al ciliegio (prima produttrice d’Italia, la Puglia) e al mandorlo (Puglia, seconda produttrice d’Italia).

Un fatto nuovo è balzato in primo piano nelle ultime settimane, vista anche l‘inutilità delle misure messe in atto finora. Unione Europea e Ministero delle Politiche Agricole hanno messo nuova enfasi sui criteri di contrasto da adottare per controllare meglio la patologia. Preso atto dei tempi da lunghi a molto lunghi occorrenti per l‘assai incerta messa a punto di programmi di ricerca d’intervento diretto sul batterio, lautamente finanziati, UE e MAF sono direttamente passati a individuare nel vettore il principale nemico da combattere e da eliminare. Come? Non più o non solo con le buone pratiche (stavo per scrivere con le buone intenzioni), inclusi gli abbattimenti, che io ritengo coadiuvanti e non risolutivi.

Allora in quale altro modo? Udite, udite, con gli insetticidi! Non per eliminare Xylella, ma il suo vettore Philenus spumarius, in volgare detto sputacchina. Apriti cielo, non l’avessero mai detto. Tutte le organizzazioni di ambientalisti o pseudo ambientalisti, di adepti dell’agricoltura biologica e di partiti politici che li sostengono sono insorti come un sol uomo invocando un’agricoltura che si rifà ai principi di quella bucolica o georgica di virgiliana memoria e hanno preso a protestare vibratamente, minacciando di tutto e di più contro la messa in atto del programma ministeriale.

Ma quali insetticidi dovrebbero essere impiegati? Certamente non l’ormai bandito DDT, ma altri, con principi attivi di nuova generazione, più selettivi e più rispettosi dell’ambiente. Così parlò l’Unione Europea, così le fece eco il Ministero delle politiche agricole italiano. Per i nostri strenui “difensori” dell’ambiente trattasi di eresia allo stato puro. E io mi chiedo: ma, scusate, gli alberi d’olivo, giovani o millenari, non concorrono a “fare ambiente”? Ci si riempie tanto la bocca con l‘olivo come componente essenziale del paesaggio, si legifera prevedendo di comminare multe salatissime a coloro che dovessero estirpare e vendere olivi monumentali non per fare legna da ardere, ma per abbellire paesaggi in altre regioni e quindi salvarli da morte sicura e poi si assiste a braccia conserte, impotenti e silenti, stavo per dire complici, alla avanzata della strage e alla morte di decine di migliaia di alberi, tra i quali sicuramente molti monumentali? Si è cioè disposti ad assistere passivamente alla falcidia degli oliveti pugliesi ad opera di uno stupido, microscopico batterio veicolato da un ancora più stupido insetto? Il tutto per non disturbare la fauna spontanea a loro spesso ignota che, indifferente, ripopolerà in pochi anni i siti dai quali sarà temporaneamente eliminata coi trattamenti?

Ma lo sanno i nostri ineffabili contestatori che per rifare il paesaggio con gli alberi d’olivo che tutti ammiriamo ci vorranno da 300 a 500 anni? Ma tanto, cosa importa agli oppositori delle misure attive di contrasto? A loro basta (come si dice a Roma) “fare caciara” per salvare il principio di opposizione a tutto e, nel caso in questione, difendere vermi, insetti e uccellini della maggior parte dei quali (voglio sperare dei primi due soltanto) magari hanno anche ribrezzo.

Sia chiaro che il ricorso agli insetticidi non mi ha mai esaltato né mi esalta, ma nella situazione che stiamo vivendo, continuo a considerarlo l’unico, radicale, efficace ed estremo rimedio per debellare il vettore di Xylella e di conseguenza avere la ragionevole certezza di riuscire ad estinguere il male. Certo, ammesso che la proposta vada avanti, bisognerà studiare anche le strategie più acconce per rendere il più efficace possibile l’impiego degli insetticidi e massima la tutela per uomini e animali. Su questo ho le mie idee delle quali potrò parlare un’altra volta.

In tempi più difficili e non sospetti, solo soletto ho messo al primo punto della lotta a Xylella non il batterio, non le pratiche colturali, non formulati esotici e altre stregonerie, ma proprio la lotta al vettore e proprio con gli insetticidi. Avrei ritenuto molto efficaci gli abbattimenti se fosse stato dimostrato che il vettore di Xylella è il vento (contro il quale nulla si potrebbe) e non un piccolo, insignificante insetto dell’ordine dei rincoti.

Personalmente sono molto onorato di trovarmi oggi in compagnia di autorevoli scienziati, politici e giornalisti, usciti dal riserbo. Quando, a dicembre 2015 scrissi tutto ciò, l’uso d’insetticidi era considerata eretica provocazione. Anzi di più: offesa all’intelligenza e crimine ambientale. Viste le sempre più chiassose minoranze di cui sopra, le cose sono cambiate in peggio.

Ho solo un cruccio: quello di temere tardiva la presa d’atto di UE e Governo italiano. Ho davanti agli occhi la carta geografica dell’Italia meridionale e confermo che, quando ne scrivevo io, il morbo era ancora relegato nel “tacco”; oggi esso è dilagato ben oltre i confini del Salento, ha risalito “tallone” e “calcagno” e dunque la superficie interessata è più vasta. Xylella oramai si è spostata verso nord ovest e ha invaso un territorio più difficilmente controllabile perchè meno circoscritto.

Tuttavia voglio sperare che non tutto sia perduto e che la situazione possa ritornare sotto il controllo dell’uomo. Molto confido anche nella caparbietà dei nostri olivicoltori (e cerasicoltori e mandorlicoltori) che ricorreranno, visti dubbi, indecisioni, intralci e tentennamenti degli organi istituzionali, anche al “fai da te” per proteggere e salvare, nei limiti consentiti dalla legge, il proprio patrimonio arboricolo a dispetto di tutti coloro che, cialtroni inconcludenti e invidiosi come oppositori a prescindere, sono bravi solo a contestare chiunque abbia in animo di costruire qualcosa di positivo e di salvare cultura e storia, cioè la nostra civiltà.

Certo, come già detto, non nego che la zoosfera dovrà pagare un prezzo, così come fu fatto pagare un prezzo alla zoosfera per i trattamenti contro la zanzara per eradicare la malaria. Zoosfera spontanea che da molti anni ha ripreso tranquilla a popolare come prima quegli ambienti, che allora erano preclusi solo all’uomo, proprio per il rischio di contrarre la malaria. Si tratta solo di decidere se s’intende pagare quel prezzo, dovesse anche costare un temporaneo, ripeto temporaneo abbattimento delle popolazioni indigene d’insetti e volatili.

Qualcuno ha sollevato anche il rischio che correrebbero gli allevamenti di api (pochi per la verità) presenti un Puglia. Niente di più sciocco: gli ignorantoni che hanno sollevato l’allarme dovrebbero sapere che gli alveari si possono facilmente trasferire per il tempo necessario in zone tranquille, non coinvolte nell’esecuzione programmata dei trattamenti insetticidi. Gli allarmisti di cui sopra ignorano che gli apicoltori stessi sono soliti noleggiare (e quindi trasferire) i propri alveari dovunque in regione e collocarli in aziende ortofrutticole, per favorire l’impollinazione, ad esempio, dei fiori di mandorlo e ciliegio. E lo dice uno che già negli anni ’70 lamentava l’inadeguatezza della presenza di pronubi spontanei rispetto alle esigenze d’impollinazione dei fruttiferi in Puglia e che si è battuto (insieme col collega Raffaele Monaco, entomologo) per la diffusione dell’apicoltura non solo per la produzione di miele, ma come servizio all’agricoltura.

Ho letto del rifiuto di alcuni sindaci del Salento di autorizzare l’impiego di insetticidi per ‎‎“eliminare” il vettore sputacchina e bloccare il dilagare della incurabile patologia. Vorrei ‎che quegli oppositori salentini comprendessero che Xylella non è un fatto privato, che possa essere ‎affrontato e risolto senza aiuti dall’esterno. Xylella non interessa soltanto alcune particelle dei territori ‎comunali da loro amministrati e alcuni sfortunatissimi olivicoltori. Mi rifiuto di pensare che i suddetti amministratori abbiano così deciso per paura di perdere consenso e preferisco credere che non abbiano compreso che si trovano di fronte ad un morbo ‎devastante e dalla diffusione non contrastabile con i mezzi da loro preferiti (quali?) e le responsabilità che si assumono così facendo.

Io resto dell’idea che Xylella sia entrata in Italia meno di dieci anni fa avendo come primo insediamento un ignoto sito del basso Salento jonico e che la sua comparsa sia la conseguenza di una negligente fatalità. In meno di dieci anni Xylella è già riuscita ad uccidere milioni di alberi d’olivo di qualunque età distribuiti su migliaia di ettari di terreno.

Nessuno, si è finora permesso di dare colpa ai salentini per avere ospitato il focolaio iniziale di un’infezione che ha già dimostrato di ‎‎‏sapersi muovere per andare ad attaccare oliveti nei ‎‎territori al di fuori del Salento. Aggiungo però che, preso atto dell’evoluzione della malattia, motivi etici e solidaristici dovrebbero farli recedere da una incomprensibile indolenza e stimolare in loro coraggiosa responsabilità a non ostacolare l’uso d’insetticidi, sebbene non condiviso, ma valido per fare l’ultima cosa che resta da fare per tentare non solo di eradicare la malattia dal proprio territorio, ma anche per impedire la diffusione del morbo in altri distretti olivicoli ancora meno colpevoli perchè lontani dai primi focolai.

L’articolo del professor Angelo Godini, già docente presso l’Università degli Studi “Aldo Moro” di Bari, nonché Premio Olio Officina per la cultura dell’olio 2018, è una versione più ampia e dettagliata di un analogo articolo pubblicato dal quotidiano “La Gazzetta del Mezzogiorno” il 23 maggio 2018. La foto di apertura è di Luigi Caricato

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