Le tradizioni olivicole toscane da salvaguardare
Nella regione, tra le più virtuose del Paese, sono presenti circa 20 milioni di piante di olivo in produzione di cui un terzo trascurate e il cui prodotto in larga parte non viene raccolto. Le aziende agricole che coltivano olivi sono oltre 50 mila con 100 mila ettari localizzati soprattutto in collina e bassa montagna. La produzione olearia rappresenta il 5,5% della produzione nazionale
La raccolta delle olive avviene, al giorno d’oggi, tra ottobre e novembre, una tradizione che ci accompagna da vari secoli. A tal proposito le attività archeologiche esercitate in antichi siti hanno rilevato prove della spremitura identificando l’olivo come uno dei primi alberi da frutto addomesticato dall’uomo che partendo dalla mezza luna fertile e già da circa otto secoli si è affacciato nel mediterraneo. La spremitura fa quindi parte della nostra identità culturale e numerose iniziative sono state promosse per facilitare la raccolta delle olive in questo momento d’emergenza.
Soprattutto per mancanza di mano d’opera e con decreto-legge del marzo scorso in alcune regioni d’Italia, gli imprenditori del comparto agricolo possono avvalersi dell’aiuto, a titolo gratuito, di parenti fino al sesto grado di parentela mentre anche in zone di lock down a causa della pandemia le autorità hanno concesso agli hobbisti che devono curare gli olivi sui propri terreni di recarsi fuori dal comune di residenza. Tutto ciò ha dato la possibilità anche ai più giovani e ai meno esperti di poter immergersi in attività agricole dove le mani si sporcano ma profumano di buono e in terreni rigogliosi popolati da piante magiche e secolari.
Ogni metodo di raccolta ha diversi effetti sul frutto che, a maturazione, offrirà una maggiore quantità di olio e di sostanze fenoliche che daranno successivamente le qualità organolettiche e nutraceutiche all’oro verde che ogni anno si rinnova.
La spremitura può essere effettuata secondo varie metodologie ma è consigliata farla il più possibile subito dopo la raccolta e in condizioni di aerobiosi in modo da evitare o almeno ridurre al minimo processi di ossidazione.
L’oliveto evoca raro fascino al punto che molti desiderano conoscere a fondo le tecniche di lavorazione. Una volta al frantoio per non dividere il proprio olio ottenuto con altri utenti e quindi per un ciclo di spremitura completo le olive appena raccolte sono immagazzinate in almeno una ventina di cassette con fori per aerare il frutto poi saranno e soggette a vagliatura, lavaggio, gramolatura, spremitura e dopo separazione si ottiene il prezioso prodotto che per conservarne le caratteristiche chimico-organolettiche sarà accuratamente conservato in contenitori ermeticamente chiusi e al buio.
L’olivicoltura rappresenta l’attività agricola che per tradizione, cultura e favorevoli condizioni climatiche è maggiormente radicata nel tessuto sociale della Toscana. Soprattutto in questo ultimo periodo non passa giorno che quotidiani e periodici di altissima e media tiratura si occupino dell’olio extra vergine di oliva e delle sue qualità organolettiche e nutraceutiche nel senso più completo del termine mentre stimolare l’interesse dei giovani per questa coltura potrebbe aiutare ad aumentare l’occupazione e quindi anche il reddito pro-capite salvaguardando e valorizzando anche quei territori a vocazione olivicola dove un tempo questa pianta era largamente coltivata.
In Toscana sono presenti circa 20 milioni di piante di olivo in produzione di cui un terzo trascurate il cui prodotto in larga parte non viene raccolto. Le aziende agricole che coltivano olivi in Toscana sono oltre 50 mila con 100 mila ettari localizzati soprattutto in collina e bassa montagna. Nel 2020 la produzione di olio extravergine si aggirerà intorno a 15 mila tonnellate che rappresenta il 5,5% della produzione nazionale. Va poi aggiunta la produzione delle “imprese accessorie” che producono olio per autoconsumo e che si basano esclusivamente sul volontariato familiare a titolo gratuito.
Parallelamente negli ultimi anni sono stati divulgati numerosi studi che hanno documentato come la maggior parte degli effetti benefici della dieta mediterranea nella promozione della salute umana può essere attribuita al consumo di olio extravergine di oliva (EVO) in grado di ridurre l’ossidazione lipidica e possa impattare in maniera significativa sulla riduzione di malattie neurodegenerative quali ad esempio l’Alzheimer. Vi è stato quindi l’interesse per il rinnovamento delle figure professionali che a seguito del ricambio generazionale e del ricorso a manodopera straniera ha reso indispensabile la formazione e l’aggiornamento degli operatori intenti a sviluppare una produzione di alta qualità ma anche la diffusione anche a livello locale come le “sagre paesane” delle molteplici qualità dell’olio.
Rispetto alle antiche e tipiche tradizioni culturali contadine oramai in disuso sono cambiate molte cose dove i cambiamenti di maggior rilievo si sono registrati nella difesa fitosanitaria e nelle pratiche colturali compatibili con le esigenze ambientali. Un sistema che gli esperti chiamano integrato che va dal supporto online per le pratiche di diagnostica per tecnici e operatori e che mira al conseguimento di una produzione di altissima qualità in sinergia con le direttive e regolamenti comunitari. Per non far svanire le nostre tradizioni olivicole dovremmo allora trovare un giusto equilibrio tra conoscenze tradizioni secolari e innovazioni tecnologiche. Parallelamente le osannate qualità della dieta mediterranea che comprende l’invito al consumo di olio EVO sembrano aver perso il loro fascino, infatti, il consumo medio pro-capite degli italiani negli ultimi anni è sceso di circa il 30%.
La Toscana è una delle Regioni più virtuose nel conservare le tradizioni poiché la produzione è fortemente legata all’inconfondibile paesaggio e alla sua cultura. Numerose iniziative sono sorte per la valorizzazione di borghi, frazioni e località della Toscana che custodiscono un patrimonio gastronomico locale.
Per il primo assaggio del nuovo olio EVO si usa la “fettunta” con pane crogiolato aglio e immerso nell’olio, oppure fagioli bianchi lessati e ben conditi con l’olio nuovo. Quest’anno con la pandemia da Covid 19 le sagre paesane non sono state organizzate.
Un esempio a noi vicino è stato introdotto a Reggello in provincia di Firenze per la XLVII edizione della rassegna dell’olio extra vergine di oliva che si è tenuta in remoto ed ha riscosso un notevole successo divulgativo e anche economico. Inoltre, prendendo spunto da iniziative già testate come “Le città del vino”, sembra “germogliare” il turismo delle città dell’olio che riunirà produttori e artigiani per promuovere le eccellenze collegate con i territori. Infine, a livello nazionale, l’aspetto tradizionale e culturale olivicolo ha avuto una discreta spinta promozionale per una nuova scoperta fatta durante i recenti scavi a Pompei dove sono stati rinvenuti alcuni flaconi di olio che sembrano risalire proprio al periodo dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Gli scavi hanno anche restituito la quasi totalità di un antico Thermopolium o “street food” il primo cibo da strada situato nella Regia V. Uno studio approfondito del materiale rinvenuto nelle ampolle, usando metodologie innovative, potrebbe apportare nuove conoscenze per questo straordinario prodotto e ulteriormente valorizzare l’olivicoltura del nostro Paese.
La foto in apertura, e le due interne all’articolo, sono di Mauro Cresti
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