L’Italia olivicola deve scegliere se restare ferma o agire
Le soluzioni ci sono, e le abbiamo sotto gli occhi. A volte, però, si tende a non voler rispondere e ciò che accade è facile e intuibile: il settore indietreggia invece che evolversi. Il Paese non può permettersi di arretrare, soprattutto alla luce degli instabili equilibri mondiali. Le riflessioni di Bartolomeo Buccelletti, titolare di Buccelletti Vivai, per guardare a cambiamenti concreti e attuabili
Il settore olivicolo italiano non riesce a evolversi in maniera definitiva, e spesso si possono osservare più arretramenti anziché avanzamenti.
A fare luce su quello che è l’approccio degli attori del comparto verso le nuove tecniche di conduzione degli oliveti è Bartolomeo Buccelletti, titolare di Buccelletti Vivai, nonché promotore del sistema Livita Plus quale soluzione alle sfide del climate change e della produzione olivicola italiana.
Nell’ambito di Enovitis in Campo, manifestazione organizzata dall’Unione Italiana Vini, Buccelletti è intervenuto all’incontro organizzato da Olio Officina su un tema alquanto attuale e urgente: ovvero, se sia oggi possibile una via italiana al vivaismo olivicolo. La situazione generale, si sa, non è tra le migliori. C’è una forma di resistenza al nuovo che è incomprensibile, soprattutto in un tempo in cui tutto cambia e si è necessitati ad agire e rinnovarsi.
Sempre nello stesso ambito di Enovitis in Campo c’è stata anche una interessante intervista-video, a cura di Sauro Angelini, destinata ai canali televisivi di Agrilinea.
Il tutto – l’incontro organizzato da Olio Officina per Enovitis in Campo e l’intervista video – si è svolto nella suggestiva cornice di Palazzo di Varignana – che quest’anno ha appunto ospitato la storica manifestazione annuale dell’Unione Italiana Vini. In questo contesto, Bartolomeo Buccelletti ha chiarito come, per ottenere nuove varietà di olivo, si renda oggi necessario disporre di un periodo di tempo piuttosto esteso, che va oltre i dieci anni. Investire in ricerca significa dedicare tante risorse, investimento e tempo.
Nonostante la cura e l’attenzione che vengono impiegati per generare nuove cultivar, capaci di rispondere alle problematiche attuali – dal cambiamento climatico ai agenti patogeni molto aggressivi – non tutti i produttori sembrano accogliere e comprendere la necessità di ricorrere a nuove tecniche per far fronte alle tante emergenze.
C’è una parola che non tutti conoscono o dimostrano familiarità: cis-genesi
«La cis-genesi è una tecnica di ibridazione che ci può consentire di migliorare le varietà oggi disponibili, e non soltanto. La cis-genesi – puntualizza Bartolomeo Buccelletti – non è da confondere con la trans-genesi. Questa parola, così poco conosciuta, assume una grande importanza per l’olivicoltura moderna, in quanto consente di portare il gene caratteristico trasmettendolo in un’altra varietà».
Il titolare della Buccelletti Vivai sottolinea anche un aspetto che, forse, anzi: senza forse, non viene preso sempre nella giusta considerazione, soprattutto quando si riflette sullo stato, ormai stagnante, in cui versa l’olivicoltura italiana. Il fatto è che ci sono forti resistenze, rispetto alle novità tecnologiche, resistenze che riguardano il paesaggio e la sua difesa. Resistenze, ma anche attriti, ostilità vere e proprie, soprattutto verso i nuovi paesaggi, i quali risultano per certi versi incomprensibili. Ci si è costruita una idea legata agli olivi tra loro distanti, con sesti di impianto oggi inattuali ma avvertiti come espressione di qualcosa di bello. L’aspetto più incongruo, in tutta questa opposizione, è la stridente contraddizione, laddove, anziché immaginare una nuova visione olivicola, per un distorto senso della tradizione, si preferisce di gran lunga avere un paesaggio abbandonato, perfino svilito dalla sua vetustà, anziché averne uno più funzionale, più efficiente, più ordinato, più vitale e anche più sostenibile economicamente e ambientalmente.
La difficoltà nell’accettare, in Italia, le novità in campo vivaistico
La lacerazione nel comparto olivicolo è evidente, tra i sostenitori dell’olivicoltura tradizionale e i fautori di un rinnovamento. Questo iato profondo non sembra giungere a una soluzione condivisa, accettare le nuove proposte da parte dei vivai e di coloro che puntano a una olivicoltura più razionale ed efficiente. Questo scollamento dalla realtà è un dato di fatto e infatti parlano i fatti: in Italia c’è una risposta alquanto ostile verso una olivicoltura intensiva o, come preferisce denominarla Bartolomeo Buccelletti, una olivicoltura ad alta densità. Il linguaggio è importante, e infatti il nome con il quale si indica questo sistema integrato per la coltivazione dell’olivo – olivicoltura ad alta densità – è il più appropriato, nonostante questa nuova visione di olivicoltura venga ancora connotata in un’accezione negativa che invece – sostiene Buccelletti – di negativo non ha proprio nulla.
L’alta densità, spiega Buccelletti, è dovuta alle caratteristiche delle piante, dal momento che non tutti gli alberi sono da ritenere predisposti all’occorrenza. Ad esempio, gli olivi calabresi non si prestano a tale pratica, perché c’è bisogno di avere alberi compatti, dalla vigoria bassa, predisposti per stare tra loro vicini e produrre una elevata quantità di materia prima.
Ci sono varietà, poi, che hanno la peculiarità, non comune, di produrre sul “ramo dell’anno”. Spieghiamo, per i meno esperti, cosa si intenda con ciò: l’olivo, si sa, è caratterizzato da una fase produttiva di carica ed una invece di scarica, e quindi la pianta – chiarisce Buccelletti – prepara il ramo, dove quasi non produce, per l’anno successivo. Cosa succede dunque in alcuni casi? Gli olivi producono sia nel ramo che deve produrre, sia in quello della vegetazione. La pianta, pertanto, non ha investito nella vegetazione, ma nel frutto.
Volgendo uno sguardo agli impianti olivetati, questi, se tenuti nel modo corretto, possono anche superare i trentacinque anni, senza dare segnali di mancanza di produzione. Tutto sta a impostare bene la gestione dell’impianto.
Il sistena Livita Plus ad alta densità
«Con il nostro metodo Livita Plus – spiega Buccelletti – mettiamo le piante di olivo a spalliera. Facciamo crescere la pianta ad asse centrale e puntiamo a una potatura geometrica in funzione della macchina che deve intervenire nelle operazioni colturali».
Gli strumenti ci sono tutti, così come ci sono gli esperti che lavorano con l’impegno di migliorare la resa degli olivi e rendere di conseguenza più competitivo il settore. Ciò che invece non risulta facile da ottenere, è avere l’appoggio dei produttori. Serve un cambio di passo. D0’altronde, cosa ne sarà dell’olivicoltura italiana – e delle relazioni economiche collegate – senza un cambiamento radicale e necessario?
Il metodo messo a punto dalla famiglia Buccelletti – come loro stessi sostengono – consiste nella realizzazione di oliveti “chiavi in mano”, seguendo un preciso sistema integrato per la coltivazione dell’olivo che consta di tecniche di allevamento dedicate e comprende nel contempo anche una consulenza aziendale, finanziaria e perfino una assistenza nella distribuzione commerciale.
In apertura, foto Olio San Giuliano | Domenico Manca, veduta dall’alto di un oliveto ad alta densità
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