L’oliva Ascolana? La regina tra le olive verdi da mensa
Costituisce un patrimonio agricolo piceno ed assume un ruolo d’importanza ancor più rilevante quando si parla di cultura gastronomica, e per questo il territorio punta sempre a innovare e migliorare il prodotto. Come l’importante progetto Oro verde - oliva Ascolana del Piceno Dop, che ha visto la realizzazione di una serie di attività sperimentali finalizzate alla riduzione dell’impatto ambientale del processo di deamarizzazione
Leonardo Seghetti, Alberto Felici,
La storia dell’oliva Ascolana del Piceno si perde nella notte dei tempi. Da sempre, per le sue particolari caratteristiche organolettiche, è stata oggetto di miglioramento sia varietale (Morettini A. e Armellini S. a partire dagli anni ’50 del 1900) che dal punto di vista tecnologico della trasformazione (deamarizzazione).
L’oliva tenera Ascolana è considerata la regina tra le olive verdi da mensa. Costituisce un patrimonio del territorio agricolo piceno ed assume un ruolo d’importanza ancor più rilevante essendo la base per la produzione della prelibatezza gastronomica qual è l’oliva farcita, più conosciuta come oliva Ascolana ripiena.
La coltura ha un’area di diffusione nelle province di Ascoli Piceno, Fermo e nella provincia di Teramo (dal fiume Tronto al fiume Vomano). Il territorio comprende zone pianeggianti, dolci pendii e colline fino a ridosso della fascia appenninica su altitudini di norma non superiori ai 500 m. s.l.m.
Le olive Ascolane hanno rappresentato e consolidato nel tempo la loro fama per la qualità, la peculiarità e prelibatezza delle produzioni, come testimoniano le numerose ed autorevoli dizioni, fin dai tempi dell’antica Roma.
I classici latini la denominarono Picena e successivamente prese il nome di Ascolana tenera; Plinio la considerava tra le migliori olive di allora ed usate come antipasto (gustatio) come testimonia il famoso banchetto di Trimalcione.
I primi a fornire suggerimenti per la preparazione e concia sono stati Palladio, Catone e Marco Varrone, mentre Columella nel trattato di agricoltura la cita tra le diverse varietà di olive da tavola. Anche Marziale aveva un debole per le olive Picene, le consumava sia come aperitivo che a fine pasto; inoltre descrive i recipienti usati per raccogliere, conservare e trasportare le olive “colymbades” (galleggianti in acqua).
Recenti acquisizioni storiche ci testimoniano che Cleopatra nel periodo della permanenza a Roma gustò le olive Ascolane esclamando: “felice è il Piceno ad avere tale tesoro per il palato” (Margaret George 1988 nel libro Io Cleopatra, edito da Sperling Kupfer).
Si deve ai monaci Benedettini Olivetani, intorno al 1500, la razionalizzazione delle pratiche agronomiche sugli olivi; inoltre gli stessi furono i primi ad adoperare il ranno (liquido ottenuto sciogliendo una parte di calce viva con quattro-cinque parti di cenere di legno) per la deamarizzazione.
Successivamente, il papa Sisto V da Montalto, Marche, nel 1583 esprime particolare apprezzamento per le olive Ascolane, cosi come i positivi giudizi espressi in tempi più recenti da Garibaldi, Rossini, Carducci e Puccini, confermati dai premi ottenuti da aziende locali alle varie esposizioni nazionali ed internazionali di Milano, Roma, Parigi, tra le varie, alla fine del 1800.
Da quanto brevemente detto emerge un quadro complessivo del territorio che può vantarsi di saper diligentemente coltivare e provvedere con arte ad addolcire e conservare il frutto.
Le caratteristiche importanti di questa varietà sono rappresentate dalla pezzatura, grandezza delle olive, e dalla qualità della polpa, particolarmente tenera e croccante.
Il peso medio di una drupa si aggira intorno a 6 – 8 g, con 120 – 140 olive per chilogrammo; il rapporto polpa/nocciolo è veramente ottimale, mediamente tra 5,8 –6,1, a dimostrazione che la polpa rappresenta una percentuale superiore all’80%. Il nocciolo ha forma allungata e termina a punta; si separa molto bene dalla polpa.
Il progetto “Oro verde – Oliva Ascolana del Piceno Dop” nasce dalla sinergia tra diversi segmenti del settore agricolo, il settore dell’istruzione e quello della ricerca scientifica, il tutto con la collaborazione della regione Marche che, attraverso il programma Sviluppo Rurale 2014-2022 (progetto ID 41887), ha sostenuto tutte le attività progettuali che riguardavano la deamarizzazione dell’oliva tenera Ascolana del Piceno Dop.
La compagine progettuale era molto variegata; infatti oltre al Consorzio per la Tutela dell’Oliva ascolana del Piceno Dop, erano presenti le aziende picene del settore agroalimentare “Cooperativa Agricola Case Rosse”, “Tenuta la Riserva” e “Altagamma”, l’Istituto agrario “Ulpiani” di Ascoli Piceno e l’Università di Camerino attraverso il coinvolgimento della Scuola di Architettura e Design e della Scuola di Bioscienze e Medicina veterinaria.
Il progetto ha visto la ha realizzazione di una serie di attività sperimentali finalizzate alla riduzione dell’impatto ambientale del processo di deamarizzazione; a tal scopo di campioni di oliva tenera ascolana Dop, in quantità gradualmente crescenti nel corso delle varie annualità, sono state deamarizzate utilizzando una soluzione di idrossido di sodio, in linea con le prescrizioni del disciplinare di produzione.
Una volta completata questa fase di lavorazione si è proceduto alla progressiva riduzione dell’idrossido attraverso una serie di lavaggi con acqua fino a portare il pH della soluzione in cui erano immerse le olive ad un valore compreso tra il 7/8 rispetto ai valori iniziali di pH pari a 12/13, e creando così le condizioni ottimali per la successiva azione dei batteri che, attraverso un processo di fermentazione, completavano la maturazione dell’oliva fino alla formazione del prodotto finale che tutti noi possiamo apprezzare sulle nostre tavole.
Il lavaggio con acqua è stata la fase su cui si è principalmente incentrata l’attività progettuale. Tipicamente questa operazione è caratterizzata da una variabilità nel numero dei lavaggi, nella loro durata e nei quantitativi di acqua utilizzata; mediamente un buon risultato si ottiene con tre lavaggi spalmati in un arco temporale di circa tre giorni e utilizzando complessivamente una quantitativo di acqua pari a circa tre litri per ogni chilogrammo di oliva (un litro in ognuno dei tre lavaggi).
Nel progetto “Oro verde” la compagine progettuale ha messo a punto una nuova procedura di lavaggio che prevedeva l’immissione di anidride carbonica proveniente dalla fermentazione di mosti ottenuti da uve biologiche.
L’immissione di anidride carbonica è stata effettuata sia nei vari stadi della fase di lavaggio con acqua, sia nella soluzione di idrossido di sodio contenente le olive non appena si fosse accertato il completamento della fase di deamarificazione e quindi saltando completamente la fase di lavaggio.
L’anidride carbonica in presenza di acqua forma una soluzione di bicarbonato che reagisce rapidamente con l’idrossido di sodio portando a rapido abbassamento del pH; le attività sperimentali hanno consentito di mettere a punto un protocollo operativo facilmente replicabile che ottiene questo risultato già a partire dal primo lavaggio o, addirittura, dalla soluzione iniziale idrossido di sodio-olive; riducendo notevolmente o addirittura eliminando in questo modo i lavaggi con acqua.
Le determinazioni organolettiche e sensoriali hanno dimostrato che tutti i campioni di olive trattati con anidride carbonica hanno le stesse caratteristiche organolettiche delle olive deamarizzate senza l’aggiunta di anidride carbonica, ma possiedono migliori caratteristiche sensoriali, riscontrando quindi un maggior gradimento da parte del consumatore.
In questo modo di ottengono contemporaneamente molteplici risultati. Innanzitutto, si ha una riduzione dell’anidride carbonica proveniente dai mosti che viene immessa in atmosfera: un importante risparmio idrico poiché si possono evitare quasi tutti, o addirittura tutti, i lavaggi. Diminuiranno poi anche le tempistiche, che dai circa tre giorni necessari si riducono ad alcune ore, con ovvie ricadute sui costi di produzione.
In apertura, si ringrazia per la foto Azienda Agricola Bonanno
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