Meno lampante, più extra vergine
E’ da preferire solo il meglio, d’accordo, ma se si continuano a produrre oli di minore qualità, le altre categorie degli oli da olive, diverse dall’extra vergine, non potranno mai scomparire dal mercato. La proposta del pediatra appassionato d’olio: siccome fare qualità significa prestare cure e attenzioni, non sarebbe il caso di ricorrere a cassa integrati e disoccupati?

Circa l’opportunità che esistano sul mercato, nella vendita al dettaglio, quattro categorie di olio da olive, con al vertice della qualità l’extra vergine, rispondo come medico e in particolare come pediatra.
All’alba dei primi anni ’60, quando le mamme non avevano più latte, non esistevano più le balie e ancora non erano stati messi a punto i latti idrolisati spinti in polvere (per i lattanti allergici), alla Clinica Pediatrica dell’Università di Modena, per i lattantini “allergici” sotto i 5 mesi che non tolleravano alcun tipo di latte (latte in polvere, latte di mucca, latte d’asina ecc.) si ricorreva a un preparato che ogni 100 millilitri conteneva 3,5 ml di olio di oliva extra vergine (per le sue caratteristiche compositive, a quel tempo, simili al grasso dell’uomo), 5 grammi di parmigiano reggiano stagionato di 30-36 mesi (e, diciamo così, “certificato” in quanto dopo tale stagionatura le proteine, a eccezione della caseina, erano trasformate in aminoacidi e peptoni e quindi non più allergizzanti) e glucosata al 5 per cento, mentre sopra i 5 mesi di età (avendo i bambini maturato la capacità digestiva di carboidrati più complessi) si sostituiva la glucosata con crema di riso e zucchero, riducendo lievemente l’olio e il parmigiano.
La stragrande maggioranza dei bambini cresceva benissimo senza andare incontro a effetti collaterali (immediati o tardivi, esempio ipertensione arteriosa). Il mio interesse per l’olio extra vergine di oliva, per gli altrettanto importantissimi suoi composti minori (sostanze che recentissime indagini, anche di tipo genetico, stanno chiarendo molti aspetti del meccanismo d’azione su benessere e longevità), per i lipidi in generale, è molto datato e, per vecchie e nuove esperienze, per me esiste solo ed esclusivamente l’olio extra vergine d’oliva.
I vari tipi di olio d’oliva del commercio sono però il risultato di:
una difficoltà a raccogliere le olive al punto ottimale di maturazione per trascuratezza, per motivi atmosferici, perché le piante sono troppo grandi, perché non vengono potate in maniera adeguata, per mancanza di personale, per mancanza di attrezzature adeguate e anche per una molitura tardiva rispetto alla raccolta, per i motivi ora citati.
Per ovviare a tutto ciò, a mio modesto avviso è importante:
favorire lo sviluppo culturale con corsi per specialisti in potatura delle piante, per assaggiatori facendo capire il ruolo importante dell’olio extra vergine di oliva non solo nell’economia di chi vi lavora ma anche nella salute di tutti i consumatori;
favorire l’organizzazione e lo sviluppo di consorzi per l’acquisizione di attrezzare adeguate, per condividere tecnologie standard e ottenere un prodotto d’eccellenza, di cui essere orgogliosi a livello nazionale e internazionale, e a prezzi concorrenziali;
evitare che molti oliveti vengano abbandonati, in quanto non redditizi, favorendo il deterioramento delle piante e dell’ambiente. La comunità non deve assolutamente tollerare tale fenomeno e perdere tanta ricchezza. Senza espropriare tali proprietà, la comunità, ricorrendo all’impiego di quanti si trovano nelle varie situazioni di cassa integrati o disoccupati, potrebbe, al momento opportuno, sia provvedere alla raccolta delle olive, sia, sotto la direzione di persone esperte, alla potatura e a quanto è necessario alle piante durante tutto l’anno. Con l’aiuto di persone esperte molte proprietà potrebbero produrre un olio di qualità, dare un certo reddito a vantaggio sia dei proprietari sia di quanti si impegnano in tale progetto.
Il concetto è chiaro: c’è tanta gente in cassa integrazione o disoccupata, con pochi soldi, che non fa niente tutto il giorno e che potrebbe rendersi utile con qualche vantaggio economico sia pur modesto (o ricevendo come compenso dell’olio extra vergine d’oliva che loro stessi hanno contribuito a produrre), con vantaggi per la salute, in quanto si troverebbero a lavorare e a fare un po’ di attività fisica in un ambiente certamente più salubre delle città, e vantaggi per la comunità. Inoltre raccogliere le olive a settembre-ottobre e potare le piante a metà marzo non sono nè lavori molto faticosi nè umilianti e, se si riuscisse a infondere un certo entusiasmo in quello che fanno, almeno per alcuni si potrebbero aprire degli spiragli interessanti.
Infine mi chiedo, e chiedo: se, e fino a quando, non si riuscirà a realizzare quanto su riportato, o qualcosa di simile (che permetterebbe di eliminare i non pochi speculatori che oggi fanno enormi guadagni), si possono eliminare i vari prodotti che non siano l’olio extra vergine di oliva (che, a mio modesto avviso, sono quantità notevoli) togliendo quindi, ai vari produttori, anche i pochi centesimi che servono loro per sopravvivere?
Possibile che le nostre capacità intellettive, la genialità che tutti ci riconoscono anche a livello internazionale, non siano in grado di risolvere una situazione che porterebbe enormi vantaggi a tutti?
La foto di apertura è di Alberto Martelli e rimanda a una scena tratta da Olio Officina Food Festival 2014
Per commentare gli articoli è necessario essere registrati
Se sei un utente registrato puoi accedere al tuo account cliccando qui
oppure puoi creare un nuovo account cliccando qui
Commenta la notizia
Devi essere connesso per inviare un commento.