Olio Officina Festival

Il nuovo corso dell’olio

Si può legittimamente parlare di un Nouvelle vague dell’olio in Italia? Se ne è discusso a Olio Officina Festival, con Cristina Santagata, Agostino Sommariva e Marco Camplone per De Cecco. Sì, è possibile. Purché si parta da una comunicazione adeguata. Tutto deve partire da un racconto. Per restituire valore, è necessario rivestire l’olio da olive di uno status specifico e di un profilo identitario ben definito

Mariangela Molinari

Il nuovo corso dell’olio

Nouvelle vague: “Nuova ondata”, tendenza innovatrice della cinematografia francese a cavallo fra gli anni Cinquanta e Sessanta. Per estensione: nuova moda, nuova tendenza. È così che recita il vocabolario per spiegare un termine divenuto ormai di uso comune quando si vuole designare il delinearsi e l’affermarsi di un nuovo corso. Ed è così, utilizzando questa espressione, che durante l’ultimo Olio Officina Festival si è dibattuto, partendo da una domanda di fondo: il mondo dell’olio è pronto per la grande svolta?

In un Paese come il nostro, restio ai cambiamenti e alle innovazioni, quali strade sono percorribili per proiettarsi verso il futuro, uscendo dalla fissità in cui è rimato invischiato? Per Cristina Santagata, titolare della casa olearia Santagata che, con sede a Genova, da oltre 100 anni seleziona e commercializza oli di oliva ed extravergini di alta qualità, «nel mondo dell’olio c’è veramente bisogno di una rinascita, unica possibilità di ripartire, liberandosi da un immobilismo che non possiamo più permetterci».
Per la giovane, quinta generazione di una consolidata tradizione familiare, non si può più attendere: è indispensabile valorizzare la straordinaria ricchezza dei nostri oli, riconoscere e dare valore a prodotti che troppo spesso vengono sviliti in primis proprio dagli operatori stessi. Per farlo c’è un solo modo: metterci la propria faccia, facendosene, così, garanti. Il che, a ben vedere, sarà un nuovo corso, ma è pure un ritorno alle origini.
«Iniziative come Olio Officina Festival, dunque, sono fondamentali», continua Cristina Santagata. «Qui tutti gli operatori della filiera possono fare ammissione di responsabilità. Per cambiare è necessario l’impegno di ognuno a fare comunicazione e cultura del prodotto; è indispensabile che ognuno si metta in gioco a modo proprio e con i propri strumenti. Per il nostro settore non c’è alternativa: l’unica possibile nouvelle vague è guidata, ancora una volta, da impegno e volontà».

Come osserva Agostino Sommariva, dell’azienda Sommariva Tradizione Agricola di Albenga (Savona), «Negli ultimi 20-30 anni il nostro settore si è andato spegnendo. Per rendercene pienamente conto basta ricordare com’erano gli spagnoli un paio di decenni fa e notare lo straordinario sorpasso che hanno compiuto, dimostrando grandi capacità nel comunicare, vestire e valorizzare il prodotto».
La via che il nostro olio può percorrere, dunque, secondo Sommariva è quella di una comunicazione che punti a far comprendere il suo essere un prodotto vivo. E questo, sottolinea, può essere tanto più efficace se condotto con l’aiuto degli chef. Anche nei ristoranti stellati, infatti, è difficile che l’olio venga mostrato e spiegato. Per questo, l’impegno che la stessa Ais si è assunta sul fronte della formazione, con un programma didattico dedicato all’olio, promette di aprire al comparto nuove prospettive e, soprattutto, avvicinare una clientela più preparata, attenta e consapevole.

Anche Marco Camplone, direttore delle relazioni esterne di De Cecco, ha sottolineato l’importanza di una valida comunicazione. Non a caso, l’azienda abruzzese, che non significa solo pasta, ma annovera in portafoglio anche olio extra vergine di oliva, ha rilanciato Mondo De Cecco, la sua storica rivista rigorosamente cartacea (per come è chiamarlo house organ pare riduttivo), che ha mostrato di essere molto apprezzata, tanto da vantare una tiratura di 16.500 copie e una prossima versione in inglese.
«Quando parliamo di pasta e di olio parliamo della nostra cultura e del nostro saper vivere», afferma Camplone, «ed è questo che dobbiamo portare all’estero. Ciò che in Italia manca è una cultura dell’olio trasmessa attraverso riviste dedicate». E, in effetti, con le sue cinque testate specializzate anche in questo la Spagna ci ha superati. Insomma, la nouvelle vague potrebbe partire da qui: da un racconto e una comunicazione che, per traghettare questa ricchezza della nostra cultura alimentare verso una rinascita, cominci a rivestirla di uno status e un profilo identitario, raccontandolo come si deve.

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