Codice Oleario

Olivicoltura ad alta densità con cultivar italiane

Non è un'eresia parlare di olivicoltura moderna con sesti di impianto differenti da quelli tradizionali in Italia. Gli elevati costi di produzione da un lato spingono a un cambiamento radicale, ma chi pensa che vi siano rischi per la biodiversità si sbaglia. Il caso di di Alessio Pezzoli dei Vivai Verde Molise di Termoli. Il suo obiettivo è stato capire se nel germoplasma olivicolo nazionale ci fossero cultivar, popolazioni o biotipi censite e sconosciute che potessero essere adattati ai nuovi modelli. Ecco i risultati ottenuti nei vari impianti dimostrativi

Pasquale Ciuffreda

Olivicoltura ad alta densità con cultivar italiane

Negli ultimi anni, l’olivicoltura estensiva italiana stenta a sostenere i costi di produzione, sempre più alti, basti pensare che per la raccolta con abbacchiatori pneumatici sono richiesti circa 200 euro/t, con dei prezzi delle olive variabili dai 400 ai 600 euro/t.

Premessa

Uno dei punti di debolezza dell’olivicoltura italiana è il frazionamento aziendale: l’azienda media è di circa 1,8 ettari. Inoltre, l’Istat stima che il 63% delle aziende olivicole italiane sono marginali rispetto al mercato, per cui molte di queste aziende sono costrette ad abbandonare gli oliveti non riuscendo a valorizzare l’olio.

Si aggiungono, poi, i problemi della reperibilità di manodopera specializzata sia per la potatura che per la raccolta.

In questo contesto olivicolo difficile si diffonde l’olivicoltura ad alta densità arrivando ad occupare, ad oggi, superfici pari a circa il 5% della superficie olivicola nazionale.

L’olivicoltura ad alta densità è un modello colturale che si afferma negli ultimi venti anni grazie alla ricerca spagnola che, con l’utilizzo di cultivar a bassa vigoria ed a rapida entrata in produzione, si pone l’obiettivo di ridurre i costi di produzione meccanizzando la potatura e la raccolta.

L’oliveto ad alta densità prevede dei sesti d’impianto che vanno dai 3,7-4 m tra le file e 1,5 metri sulla fila, con un investimento di circa 1400-1800 piante x ettaro.

Le piante molto vicine sulla fila formano una parete o siepe che consente la raccolta in continuo, mediante macchine scavallatrici, inoltre, avendo la parete uno sviluppo prevalente su due dimensioni, si semplificano notevolmente anche le operazioni di potatura.

L’entrata in produzione dell’oliveto si ha già a 30 mesi dalla messa a dimora con produzioni di circa 5/6 t/ha, mentre al terzo anno si superano facilmente le 10 t/ha.

La produzione, con una gestione accurata della chioma, si stabilizza, a seconda delle zone, tra le 9 e le 12 t/ha.

Le cultivar più utilizzate sono le spagnole Arbequina, Arbosana e la greca Koroneiki ed alcune di più recente introduzione come l’italiana Lecciana e le spagnole Oliana, Sikitita, Frantene… Queste ultime frutto di incrocio tra le precedenti, oppure tra le precedenti ed alcune cultivar tradizionali.

Materiali e metodi

L’obiettivo che ci siamo posti, diversi anni fa, trainati dall’entusiasmo di Alessio Pezzoli amministratore dei Vivai Verde Molise di Termoli, era quello di capire se nel germoplasma olivicolo nazionale ci fossero cultivar, popolazioni o biotipi censite e sconosciute che potessero essere adattati a questo modello di olivicoltura.

Per perseguire questo obiettivo abbiamo realizzato nel 2018, in collaborazione con alcune aziende agricole, degli impianti dimostrativi con cultivar scelte in base ad una valutazione preliminare dell’habitus vegetativo, che si avvicinasse il più possibile all’ideotipo spagnolo.

Sono state scelte più di 20 cultivar allevate in 6 aziende diverse su superfici variabili da 0,5 ad 1 ha.

In ogni azienda sono state coltivate da un minimo di 5 ad un massimo di 10 cultivar.

Morosina 2020, azienda De Meo

I campi dimostrativi sono stati ubicati in provincia di Foggia, a Torremaggiore, presso l’azienda De Meo, sesto 1,5x 4, irriguo, potatura manuale, raccolta meccanica al secondo e terzo anno; in provincia di Campobasso, a San Martino in Pensilis, presso l’azienda Giuliano, sesto 1,5×4, non irriguo, potatura manuale, raccolta meccanica al secondo ed al terzo anno; a Campomarino, presso l’azienda Bonanno, sesto 1,5x 4, irriguo, potatura manuale, raccolta meccanica al terzo anno; a Termoli, presso l’azienda De Camillis, sesto 1,5x 4, irriguo, potatura manuale, raccolta meccanica al secondo e terzo anno; in provincia di Chieti, a San salvo, presso l’azienda Cilli, sesto 1,5x 4, irriguo, potatura manuale, raccolta meccanica al terzo anno; in provincia di Ascoli Piceno, a Monteprandone, presso l’azienda Acquaroli, sesto 1,5x 4, irriguo, potatura manuale, raccolta meccanica al terzo anno.

Le cv utilizzate sono state le standard spagnole, Arbequina ed Arbosana, le nazionali Leccio del corno, Maurino, Itrana ed Ascolana e le locali Peranzana, Peranzana clone, Morosina, Olivastro di Montenero, Nociara, Piantone di Mogliano, Lorenzella, Rossellino, Rotondella, Nociara, Grognalegna, Oliva nera di Colletorto, Cornarella, Sperone di gallo, Olivastro di Morrone, selezione di Ordinaria di Vasto, Coroncina e Carboncella.

Leccio del corno, azienda Gagliardi
Leccio del corno, azienda Gagliardi

Ogni varietà è stata raccolta singolarmente e sono state valutate le produzioni medie per pianta, attualizzate a produzione per ettaro, e solo nel 2020 sono state valutate anche le rese in olio.

Lorenzella, azienda Giuliano

Risultati e conclusioni

Nel 2020, al secondo anno dall’impianto, i risultati produttivi medi di tre dei sei campi valutati sono stati di 4,4 t/ha, con Arbequina attestatasi a 6,3 t/ha, resa in olio 13,5%, mentre le varietà più performanti sono state Lorenzella 6,1 t/ha, resa in olio 15%, Rossellino 5,8 t/ha, resa in olio 12%, Piantone di Mogliano 4,9 t/ha, resa in olio 20%, Peranzana 4,9 t/ha, resa in olio 14,5%, Morosina 4,6 t/ha, resa in olio 14,5%, Rotondella 3,1 t/ha, resa in olio 15,5%, Leccio del corno 2,8 t/ha, resa in olio 14 % e Cornarella 2,5 t/ha, resa in olio 18%.

Nel 2021, al terzo anno dall’impianto, i risultati produttivi medi dei sei campi valutati sono stati di 6 t/ha, con Arbequina che ha raggiunto 8,9 t/ha, Arbosana le 8,2 t/ha mentre le varietà più performanti sono state Leccio del corno con 8,6 t/ha, Rossellino con 8,4 t/ha, Olivastro di Montenero con 7,8 t/ha, Morosina 6,3 t/ha, Nociara 5,7 t/ha, Maurino 5,5 t/ha, Piantone di Mogliano 5,3 t/ha, Lorenzella 5,3 t/ha, Peranzana 5,2 t/ha, Ascolana 4,8 t/ha, Peranzana clone 4,8 t/ha, Rotondella 4,8 t/ha e Grognalegna 4,4 t/ha, Oliva nera di Colletorto 4,2 t/ha.

Inoltre, sempre nel 2021, fuori da questi campi demo, nell’azienda agricola Green Planet dei f.lli Gagliardi, in agro di Torremaggiore, in provincia di Foggia, il Leccio del corno è riuscito a produrre fino a 14 t/ha al terzo anno di impianto. In questo caso, parliamo di terreni fortemente vocati e di un eccellente gestione colturale.

Considerando la variabilità delle aziende, ubicazione, conduzione agronomica, disponibilità idrica, microclima e caratteristiche pedologiche, possiamo affermare che alcune cultivar italiane sono state significativamente performanti come gli standard spagnoli.

Alcune cultivar sono entrate in produzione già al secondo anno mentre altre hanno avuto un’entrata in produzione significativa al terzo anno.

In assenza di irrigazione, nell’azienda Giuliano, nel 2021 le piante hanno sofferto lo stress idrico, riuscendo comunque a recuperare con le piogge tardive. Le prime osservazioni, in assenza di irrigazione, ci indicano che alcune cultivar, come Peranzana, Morosina, Lorenzella sono più tolleranti rispetto alle altre e che l’ipotesi di un oliveto ad alta densità in asciutta sarebbe fattibile con determinate varietà ed accettando l’alternanza di produzione.

Alcune varietà, come Nociara, Grognalegna , Rotondella, Morosina sono più vigorose rispetto agli standard ed è necessaria maggiore attenzione durante i diversi interventi di potatura mentre Piantone di Mogliano, Rossellino, Maurino e Lorenzella hanno un habitus più contenuto.

Infine, alcune varietà come l’Ordinaria di Vasto e l’Olivastro di Morrone hanno prodotto poco e mostrato una vigoria ed un habitus tale da essere considerate poco idonee.

Dopo queste prime confortanti esperienze, nei prossimi anni, ci sentiamo di allargare le valutazioni su nuovi campi e nuove cultivar.

In apertura, cultivar Olivastro di Montenero nell’azienda Bonanno

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