Sembra facile dire qualità e sostenibilità, quando si ha a che fare con l’olio extra vergine di oliva
Sono due obiettivi che si intersecano all’interno della filiera olivicola. Due paradigmi dai quali non si può prescindere. Due aspetti che vanno affrontati in prospettiva futura ma che vanno concepiti e pianificati ora, subito. L’associazione tra olio Evo e concetto di sostenibilità rappresenterebbe un tassello aggiuntivo nell’ottica di valorizzazione di un prodotto troppo spesso banalizzato. Da qui le priorità degli imprenditori del settore e le conseguenti motivazioni delle scelte di acquisto del consumatore
Il webinar Qualità e sostenibilità nella produzione dell’olio extra vergine di oliva organizzato da Ceq Italia in collaborazione con l’Accademia dell’Olivo e dell’Olio ha rappresentato l’inizio di una riflessione destinata ad animare futuri dibattiti e ulteriori spunti di confronto su una questione tutta in evoluzione. Una tavola rotonda con l’intento di farsi fucina di riflessioni più che dispensatrice di soluzioni su una tematica ancora in divenire.
Qualità e sostenibilità, due obiettivi che si intersecano all’interno della filiera olivicola; due paradigmi aventi una dimensione molto ampia e che, in egual modo, possono orientare da una parte le priorità degli imprenditori del settore, dall’altra le scelte d’acquisto del consumatore.
Mauro Meloni, direttore del Consorzio Ceq, in veste di moderatore, ha innestato la discussione sottolineando come qualità e sostenibilità si trovino attualmente in due momenti diversi della loro storia. Se da una parte il concetto di qualità, pur nella sua accezione generale, si porta dietro un vissuto abbastanza condiviso agli occhi del consumatore, che negli anni ha potuto costruirsi una sua idea di qualità, tale bagaglio viene meno quando entra in gioco la parola “sostenibilità”.
L’Agenda 2030, che ha avuto il merito di focalizzare l’attenzione sul tema, declinando il concetto di sostenibilità in tre macro-aree, ovvero sostenibilità ambientale, sociale ed economica, per un totale di 17 obiettivi di sviluppo sostenibile, offre una quadro del temine molto articolato e sfaccettato.
Attualmente, come conseguenza di una fisiologica semplificazione anche solo linguistica, il termine stesso viene ampiamente abusato in svariati contesti, in quanto ancora fluttuante e difficilmente incasellabile e, in virtù di ciò, usato a guisa di vessillo che qualsivoglia azienda o Paese può sbandierare come cifra del proprio vantaggio competitivo.
Alla luce di ciò, la provocazione lanciata dal direttore del Ceq Meloni si traduce nell’interrogativo su come il sistema olivicolo italiano possa declinare la qualità, suo tratto distintivo, e la sostenibilità, ovvero quale possa essere l’equilibro tra le due dimensioni che consentirà al nostro sistema olivicolo nazionale di mantenere e meglio rafforzare le sue caratteristiche differenziali rispetto ai concorrenti. In sostanza, una dimensione così ampia, dove tutti i paesi presto o tardi si collocheranno, ci obbliga a elaborare una nostra originale interpretazione, se vogliamo continuare ad alimentare i nostri tratti distintivi.
Il professor Riccardo Gucci, dell’Università di Pisa, ha immediatamente sottolineato come esista, in primis, un problema di misurabilità quando si parla di sostenibilità, ovvero la mancanza di parametri oggettivi altrimenti presenti sotto la voce “qualità”. Tuttavia, sebbene il vulnusmetodologico attualmente presente, tanto i sistemi olivicoli tradizionali quanto quelli più orientati all’intensificazione colturale possono trovare il loro spazio, secondo il professore, sul terreno della sostenibilità.
Sul concetto di sostenibilità economica si è invece soffermato il professor Primo Proietti, dell’Università di Perugia, quale elemento cardine senza il quale l’olivicoltura italiana è destinata a scomparire. La sopravvivenza può essere coadiuvata, contrariamente, attraverso la valorizzazione e monetizzazione di quei servizi ecosistemici che caratterizzano l’olivicoltura italiana, coniugando quindi sostenibilità economica e ambientale.
All’aspetto del panorama varietale, introdotto dal direttore Meloni, si è allacciata la riflessione del professor Tiziano Caruso, sottolineando l’urgenza di una standardizzazione dei processi produttivi, a cui è sotteso un problema di sostenibilità anche sociale – si veda il processo di meccanizzazione – tanto più difficile in un Paese dotato di un panorama varietale estremamente ricco e variegato come quello italiano.
La dimensione del frantoio è quella in cui, invece, mutuando le parole del professor Maurizio Servili, dell’Università di Perugia, mancano totalmente degli indicatori di misurabilità e in cui l’equilibrio tra qualità e sostenibilità si fa estremamente precario, laddove spesso le innovazioni tecnologiche introdotte, foriere di vantaggi a livello qualitativo, risultano molto meno performanti sotto il profilo dell’efficientamento energetico.
Analogamente il professor Lanfranco Conte, presidente del Sissg, Società italiana per lo studio delle sostanze grasse, rileva sul piano dei contaminanti una attuale mancanza di un criterio di misurabilità standardizzato in termini di sostenibilità; elemento particolarmente dibattuto soprattutto alla luce di una tematica alla ribalta, quale quella della presenza degli oli minerali, per i quali non è stato ancora definito un limite di tossicità e il relativo livello di rischio accettabile per il consumatore.
A quest’ultimo, in particolare, è dedicato l’intervento del professor Andrea Marchini, dell’Università di Perugia, e alla sua capacità attuale di percepire la sostenibilità quale valore aggiunto del prodotto. Un compito di cui le imprese senz’altro devono farsi carico, ma per il quale il consumatore allo stato attuale non sarebbe ancora un interlocutore maturo, mancando ancora nella filiera in generale e nella distribuzione in particolare un condiviso sistema di standardizzazione.
A chiosare lo scambio di osservazioni sul tema, la voce di Zefferino Monini, in qualità di vicepresidente del Ceq, che ha voluto sottolineare l’incidenza che l’intera olivicoltura può avere nell’ottica di futuro sostenibile, in quanto ha dalla sua un prodotto potenzialmente insostituibile, quale l’extra vergine di qualità, capace di coniugare esigenze edonistiche e salutistiche al contempo.
L’associazione dell’olio Evo al concetto di sostenibilità rappresenterebbe un tassello aggiuntivo nell’ottica di valorizzazione di un prodotto troppo spesso banalizzato agli occhi del consumatore. Una sfida, questa, che rientra nella priorità del Consorzio Ceq da sempre impegnato nella valorizzazione degli extra vergini di qualità e nella diffusione a 360° di una cultura dell’extra vergine, laddove qualità e sostenibilità possano trovare le giuste proporzioni.
In apertura, foto di Olio Officina
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