Tutti i segreti dell’olio
Non può esserci frantoio efficiente senza il ricorso a un laboratorio capace di indagare l’olio extra vergine di oliva in tutte le sue evidenze, anche quelle sensoriali. "La classificazione degli oli appena prodotti non avviene più in base al solo screening domestico del grado di acidità. Sempre più spesso l’olio viene portato in laboratorio per analisi che, benché di base, ovvero di numero inferiore a quelle previste dalla legislazione, sono già sufficienti ad attribuire all’olio una classificazione merceologica abbastanza certa". È quanto afferma Valentina Cardone, direttore del prestigioso Laboratorio Chemiservice di Monopoli
Luigi Caricato. È finito il tempo dell’improvvisazione, in cui bastava estrarre l’olio dalle olive e collocarlo nei silos dopo una rapida e sbrigativa analisi dell’acidità libera. Oggi un frantoio che lavora con grande cura e attenzione, dopo aver opportunamente selezionato le olive all’ingresso, deve anche saper riconoscere e connotare in modo corretto l’olio che ottiene, esaminandolo in base al suo profilo chimico-fisico. Il “fai da te” non è la strada giusta. Di cosa allora si deve dotare un frantoio, per poter essere efficiente e avere certezza dei riscontri nel gestire correttamente gli ”li che produce? C’è necessità di un professionista interno o si può essere in parte autosufficienti per poi appoggiarsi su laboratori esterni?
Valentina Cardone. Questa generazione di frantoiani con la quale ho l’opportunità di lavorare e che incontro personalmente durante il periodo di campagna presso il laboratorio, le cooperative, le varie realtà produttive locali e non, è una generazione di uomini (e sempre più spesso anche di donne) nella quale osservo una sorprendente consapevolezza, preparazione e capacità di guardare a sé e gli altri in modo critico, in una prospettiva di miglioramento. Il concetto di qualità, nella sua accezione tecnica, ha ormai fatto breccia in queste realtà e mi sembra, con profitto. Certo, ciò avviene in maniera proporzionale alla dimensione dell’impresa e non di rado alla disponibilità di risorse economiche. Ma è comunque presente. E si traduce in diverse azioni che forse in passato non venivano compite.
In primo luogo la classificazione degli oli appena prodotti, non avviene più in base al solo screening domestico del grado di acidità. Sempre più spesso l’olio viene portato in laboratorio per delle analisi che, benché di base ovvero di numero inferiore a quelle previste dalla legislazione, sono già sufficienti ad attribuire all’olio una classificazione merceologica abbastanza certa; è sempre più frequente la presenza nei frantoi di una figura consulenziale che partecipa alla produzione in tutte le sue fasi e si preoccupa di rendere il manuale dell’Haccp una “lettera viva”, un sistema utile, necessario. Non di rado questo ruolo viene svolto dallo stesso frantoiano che attualmente è una figura molto diversa dagli antichi cliché. Il frantoiano moderno molto spesso ha conseguito la laurea, ha frequentato master, corsi di specializzazione e visita regolarmente i propri fornitori, esegue una scrupolosa manutenzione degli impianti, viene personalmente in laboratorio a confrontarsi sulle problematiche di suo interesse. Le quali spaziano dalle caratteristiche dei terreni, alla qualità dell’acqua utilizzata per irrigare, a come smaltire gli scarti di lavorazione, alle temperature di gramolazione, all’economia del confezionamento, alle caratteristiche degli ambienti di stoccaggio. Il “fai da te” riferito a questa tipologia di frantoiano è dunque rassicurante. Non compromette, anzi conferisce valore aggiunto ai frutti del suo lavoro. Ma anche in coloro che non posseggono questi strumenti di confronto e di valutazione critica del proprio operato e del proprio prodotto, osservo una tendenza sempre maggiore ad affidarsi a consulenti esterni e a rapportarsi con il laboratorio chiedendo oltre alle analisi dell’olio anche un supporto di più ampio respiro. Alcune realtà hanno implementato anche piccoli laboratori al proprio interno e impiegato tecnici con i quali è davvero molto interessante per noi interagire.
L. C. Dopo una prima selezione, per collocare l’olio in stoccaggio nei diversi silos, la parte ancora più complessa viene quando occorre realizzare i blend e procedere con l’imbottigliamento. Non c’è soltanto la capacità di valutare l’olio sul piano sensoriale, ma vi è, importantissimo, l’aspetto analitico classico, che non può tralasciare i 28 parametri, tutti da verificare, affinché un olio si possa classificare extra vergine. Che consiglio darebbe a un frantoio che voglia essere sicuro di non commettere errori?
V. C. La classificazione merceologica di un olio ottenuto dalle olive è affidata alla verifica di parametri e valori riportati nell’All. 1 del Reg. CEE 2568/91 e s.m. dove per “successive modifiche” si intende un incredibile, graduale, costante, intervento del legislatore a introdurre nuove analisi, variazioni ai limiti legali, alberi decisionali, protocolli di gestione dei campioni, delle modalità di esecuzione dei controlli e di gestione delle contestazioni. E’ infatti di una norma corposa che consta di XXI allegati. La maggior parte di essi serve a spiegare la ratio di ciascun parametro analitico e il metodo con il quale la prova deve essere eseguita. Sono previste analisi per monitorare la qualità e la genuinità degli oli. Esse sono davvero numerose. Farle eseguire tutte ovviamente rende possibile ottenere un quadro completo dell’identità del prodotto, delle sue caratteristiche, le eventuali criticità, una visione integrale dei punti di forza e di debolezza. Ma normalmente la scelta dei parametri da eseguire viene effettuata sulla base di esigenze concrete, pratiche e circoscritte. Analisi imprescindibili sono quelle per verificare il grado di acidità, il numero di perossidi e i valori spettrofotometrici perché sono analisi da cui si evince la freschezza del prodotto. Ma non si può, a mio parere, davvero trascurare il monitoraggio del valore degli esteri etilici degli acidi grassi perché esso rivela lo stato di salute delle olive e dunque in qualche modo aiuta a prevedere quali saranno le evoluzioni chimico fisiche ed organolettiche che l’olio si prepara a subire. Insomma, sono parametri che permettono anche di stabilire in maniera consapevole il termine minimo di conservazione che è opportuno attribuire all’olio. Noto ancora una certa resistenza ad affidare i campioni al Laboratorio per far eseguire il panel test perché questa prova viene ancora percepita come “facoltativa”, come se il relativo parametro non fosse, alla stregua di quelli appena menzionati, previsto dal legislatore tra quelli che è obbligatorio verificare per attribuire al prodotto la corretta identità merceologica. Si tratta invece di un’analisi che benché sensoriale ha la medesima dignità di quelle strumentali e nonostante tutte le sue criticità è un parametro legale. Certamente l’esperienza del frantoiano, dell’operatore interno qualificato, è fondamentale per una prima selezione degli oli presenti in azienda, ma da un punto di vista formale non è sufficiente ad ottenere rassicurazioni sulla conformità del prodotto alla normativa vigente. I campioni di olio dunque vanno affidati ad un panel professionale o ufficiale per ottenere un’idonea attestazione di conformità. C’è ancora un altro parametro analitico che mi sembra importante da segnalare ed è quello degli stigmastadieni. La loro presenza negli oli infatti, serve a rivelare l’eventuale contaminazione con oli raffinati. Tale contaminazione, benché accidentale, rende l’olio extravergine di oliva non conforme. Non è raro che questa contaminazione abbia luogo nelle realtà produttive in cui la medesima linea viene usata sia per il confezionamento dell’extra vergine che degli oli di oliva raffinati o della sansa. Oppure in tutte quelle occasioni in cui non si sia data una adeguata pulizia agli attrezzi di lavorazione (pompe, sonde, contenitori, ecc.) utilizzati anche per la manipolazione degli oli soggetti a raffinazione. Fare una verifica è di fondamentale importanza per rendersi conto in primo luogo dell’efficienza del proprio sistema di autocontrollo e poi per prevenire contestazioni anche pesanti a proprio carico in caso di non conformità emerse nel corso di controlli ufficiali.
L. C. In tanti anni dedicati all’olio, con Chemiservice hai ereditato da tuo padre non solo l’attività in se stessa, ma pure una visione nuova e originale, un approccio e uno stile nella scienza analitica che fa di fatto la differenza rispetto a un laboratorio che invece si limita a fare solo fredde analisi, ma non studia nuove soluzioni. Se tutti le professioni evolvono con il tempo, che scenari si aprono nel campo dell’analitica dell’olio?
V. C. Fortunatamente per me e per mia sorella, mio padre ha avuto sempre un grande rispetto per le nostre inclinazioni e attitudini culturali. Non ha mai preteso da noi che studiassimo la chimica, le scienze agrarie, la tecnologia alimentare, che facessimo il suo stesso lavoro. Il fatto che io lo abbia seguito nei suoi progetti e affiancato nelle attività di laboratorio subito dopo la laurea in legge, è avvenuto in maniera naturale e spontanea. La mia formazione è dunque una formazione legale e il mio approccio al lavoro in laboratorio non può che essere di questo tipo. Ho scoperto che, nonostante le apparenze, la chimica e la legge non sono delle discipline così estranee l’una all’altra: la gran parte dei servizi che il laboratorio si rende in grado di offrire nascono da esigenze di conformità alle leggi. In un passato ormai abbastanza lontano la sicurezza alimentare era un’aspirazione, lasciata al buon senso degli imprenditori del settore. Oggi invece ogni segmento di questa materia viene passato alla lente di ingrandimento del legislatore, tradotto in disposizioni più o meno specifiche, reso pubblico a tutti con i moderni potenti mezzi di divulgazione. Un laboratorio che opera in questo presente non può pensare di fare solo analisi, di riassumere il proprio servizio in numeri. Deve conoscere le legislazione prima degli stessi operatori dell’agroalimentare, deve partecipare alla stesura delle norme tecniche se possibile, e alla sperimentazione dei nuovi metodi, al miglioramento di quelli esistenti. Deve trovare accesso nei contesti in cui si decide l’evoluzione delle tecniche analitiche e quando opportuno, poter dire la propria. In questo modo si entra in possesso di tutti i mezzi per poter supportare i clienti e aiutarli a comprendere un servizio che non può restare accessibile solo a chi possiede competenze tecniche specifiche. L’imprenditore che si rivolge al nostro laboratorio raramente è un chimico o un tecnico, ma è giusto che sia messo nelle condizioni di comprendere a pieno il contenuto dei controlli che ci ha incaricato di eseguire. E’ una esigenza che comprendo molto bene, avendo dovuto io stessa allenarmi alla comprensione di un linguaggio e di concetti per me all’inizio estranei e di difficile accesso. Per riassumere dunque, per me il futuro della chimica applicata gli oli vede viaggiare sullo stesso binario legge e scienza. La direzione è rappresentata dal conseguimento di dati analitici sempre più robusti e attendibili, resi comprensibili a tutti gli operatori della filiera attraverso un linguaggio e una comunicazione accessibili.
L. C. La qualità degli oli è diventata una certezza rispetto ad alcuni decenni fa. Considerando l’attività che svolgi, e avendo una visione più internazionale, dal momento che Chemiservice è un punto di riferimento per tutti, quando è avvenuta esattamente questa presa di consapevolezza da parte dei frantoiani? Là dove ci sono anomalie negli oli, di quali si tratta in particolare?
V. C. Per alcuni operatori la sicurezza alimentare e la qualità dei propri prodotti hanno sempre rappresentato un’aspirazione e in quanto tale è stato spontaneo conseguirle. Per altri invece sono diventate delle necessità emerse a seguito di contestazioni formulate nel contesto di controlli ufficiali. Per altri ancora, la internazionalizzazione delle imprese e dunque l’esigenza concreta di esportare olio all’estero, ha reso necessario informarsi circa parametri e limiti stabiliti dalle legislazioni interne ed esterne. Anche l’occasione di commercializzare i propri oli nel contesto della grande distribuzione è stata per molti operatori il passaggio ad una sistematicità dei controlli di qualità e genuinità.
Circa le anomalie negli oli o meglio le fattispecie di non conformità degli oli contestate agli operatori, le più numerose secondo la nostra esperienza, sono quelle che riguardano la presenza di difetti organolettici; valori non conformi ai limiti previsti per la spettrofotometria e i perossidi (spesso causati da inadeguate modalità di conservazione degli oli nella fase successiva al loro confezionamento e in particolare sugli scaffali della distribuzione); valori di stigmastadieni non conformi al limite previsto per gli extra vergini (causati spesso da accidentali contaminazioni degli oli di oliva vergini con oli di oliva raffinati/sansa); il riscontro di fitofarmaci in quantità superiori a quelle previste dalla normativa vigente sia in materia di oli convenzionali che biologici; il riscontro di fitofarmaci non ammessi da Paesi importatori come gli USA.
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