Codice Oleario

Tutto quello che serve sapere sulle olive da tavola a marchio Dop

Vi raccontiamo come è andata la seconda parte del ciclo di webinar del progetto Alive su caratterizzazione e valorizzazione delle olive da mensa e a duplice attitudine, organizzato dal Crea, il Consiglio per la Ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria. L’incontro di martedì 16 novembre è stato il penultimo di una lunga e interessante serie. Gli interventi hanno gravitato attorno al ruolo dei consorzi, ma ci si è soffermati anche su molti altri aspetti

Chiara Di Modugno

Tutto quello che serve sapere sulle olive da tavola a marchio Dop

Un webinar davvero interessante e utile, quello voluto e organizzato dal Crea nell’ambito del Progetto Alive.

Il professor Riccardo Gucci, professore ordinario del dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro – ambientali dell’Università di Pisa, ha aperto il dialogo mostrando dati significativi, quelli «relativi alle dinamiche dei consumi e delle produzioni delle olive da mensa, a livello mondiale, sono aumentati. In Italia, il consumo non risulta diminuito, ma al contempo c’è un forte calo della produzione. L’approvvigionamento, quindi, per poter soddisfare la domanda, proviene da altri Paesi».

Il settore olivicolo ha bisogno di nuovi impianti per permettere una ripresa capace di risollevare il settore, ma una perplessità che spesso circola tra l’opinione pubblica è: modernizzare e intensificare gli impianti, porterà ad una serie di impatti e conseguenze sul clima e sull’ambiente?

Riccardo Gucci lo spiega in modo chiaro: «l’intensificazione, quindi l’aumento di imput produttivi, avviene con tecnologie tali da consentirne la massima efficienza anche nelle utilizzazioni ai fini della sostenibilità» e aggiunge un pensiero dal quale non possiamo prendere le distanze: «il cambiamento ci attraversa, è inevitabile, così come lo è il confronto con nuove realtà. Proprio perché i modi di produzione non saranno più gli stessi, dobbiamo accettare questa sfida e imparare a lavorare in altre ottiche».

Questo quadro delineato dal professor Gucci riassume in modo chiaro la situazione in cui versa oggi il settore in molte realtà, e il dottor Roberto Bruni osserva più nel dettaglio l’olivicoltura nelle zone collinari e di montagna.

Si parla spesso di viticoltura eroica, quindi un tipo di coltivazione praticata in contesti e condizioni distanti da quelli tradizionali, e «perché non parlare di olivicoltura eroica? Il mondo dell’olivo, e in particolare dell’oliva da mensa, ha molto da imparare dal settore della viticoltura, che è stato capace di evolversi sia a livello di professionalità, ma anche a livello di consumatori. Certo, l’olivicoltura eroica può incontrare una serie di difficoltà, soprattutto se si pensa alla struttura morfologica di alcune zone, ma questi concetti meritano di essere sviluppati prendendo, ad esempio, spunto dalla Spagna e dall’affermarsi del turismo legato all’olio. Questo genere di attività porta a una conoscenza non solo del territorio, ma, ovviamente, anche del prodotto».

Promozione, attività del consorzio e nuovi mezzi sono elementi chiave per posizionare in una nuova collocazione il settore olivicolo.

Si sta, infatti, sta sempre più affermando l’idea che questo settore debba incontrare nuovi strumenti, come quelli spiegati da Bruni in merito all’implementazione dell’agricoltura di precisione, resa possibile grazie all’impiego di dispositivi di sensoristica.

«In questi giorni, grazie alla collaborazione con il Politecnico di Torino, abbiamo posizionato dei sensori che non utilizzano un sistema di onde radio, ma il loro impiego è dato da una specifica banda destinata alla ricerca. In questo modo è possibile conoscere le informazioni di ogni singola pianta. Nel caso degli uliveti abbandonati, un monitoraggio di questo tipo permette di procedere a una mappatura e prevenire eventuali rischi idro geologici, causati appunto da una mancanza di controllo di quel terreno».

Osservare questi elementi significa ottenere un determinato prodotto, dove i processi sono sempre più dettagliati e, conclude Bruni, «nonostante la dimensione aziendale nelle Marche sia ridotta, cerchiamo di raggiungere una qualità sempre maggiore con l’impiego di nuove tecnologie».

Giuseppe Dibisceglia, direttore del Consorzio di tutela oliva da mensa Dop La Bella della Daunia – Varietà Bella di Cerignola porta la sua esperienza nel corso del convegno, raccontando che «l’agricoltura destinata alle olive da mensa pone la stessa attenzione di tutte le altre coltivazioni da frutto. Ci si avvale di tecnici ed esperti, adottando, tra i vari mezzi, sistemi di irrigazione molto avanzati e che non abbiano un forte impatto ambientale. Si è lavorato molto per la Bella di Cerignola, e l’impiego di strutture avanzate e specializzate ne è un chiaro esempio».

Dibisceglia sottolinea anche l’importanza dell’utilizzare prodotti per la cura delle piante sempre più validi, con la speranza che la ricerca riesca a ottenere soluzioni di qualità.

A quanto detto, si somma il ruolo fondamentale dei consorzi, capaci di conferire valore aggiunto e di essere il mezzo necessario per promuovere la conoscenza del prodotto in questione.

«Credo nella Dop e nell’attività di comunicazione per dare sempre più visibilità alla denominazione, ma non è facile» afferma Dibisceglia, e prosegue «con gli esegui mezzi di cui disponiamo, e con le modeste quote versate, aggiungendo una serie di altri motivi, ciò di cui possiamo avvalerci è davvero molto poco. Servono aiuti provenienti da realtà maggiori per far percepire la nostra oliva come qualcosa che non è solo un elemento dell’aperitivo. Se il nostro agricoltore e tutti gli attori della filiera, come il trasformatore e il confezionatore, devono ricevere, come giusto che sia, un ritorno proporzionato agli sforzi impiegati, l’oliva deve essere valorizzata diversamente e non consumata solo di accompagnamento in un momento come, appunto, l’aperitivo in un locale. Sicuramente una campagna di comunicazione promossa dal Ministero aiuterebbe gli sforzi che facciamo in continuo: ci rendiamo disponibili nell’accogliere le scolaresche e nello svolgere altre attività a fondo divulgativo. Ma non basta per far cambiare la percezione del valore dell’oliva. In Italia, infatti, il prezzo è un grosso problema, a differenza di quanto accade negli Stati Uniti e in Russia, luoghi in cui la nostra oliva ha, da sempre, un grande successo, dove sono disposti a pagare il prodotto quanto occorre».

Il riconoscimento Dop prevede che gli operatori agiscano seguendo disposizioni precise e ben delineate, e il disciplinare di produzione ha lo scopo di definire i requisiti necessari. Alice Jaschke – Ferreri, responsabile qualità Bella di Cerignola, ha chiarito nel corso del suo intervento i contenuti del disciplinare e l’importanza di quanto debba essere aderente alla realtà, specificando che il disciplinare dell’oliva Bella della Daunia ha l’aspetto descrittivo molto ben strutturato e definito: «il ruolo del disciplinare è quello di spiegare in modo chiaro quanto deve essere fatto. Per quanto concerne le olive da mensa, c’è uno studio più accurato nel momento della stesura di questo strumento».

Da parte del consorzio e da parte di coloro che si impegnano costantemente per favorire la commercializzazione delle olive anche attraverso modalità differenti da quelle conosciute, sono iniziati da diverso tempo studi e lavori.

Il disciplinare, infatti, consente di poter vendere le olive anche in termo plastica, con la possibilità di adottare questa soluzione in determinati contesti.

Jaschke – Ferreri però spiega che, nonostante i progressi e la ricerca, non è stato ancora trovato il materiale giusto per il trattamento termico previsto dal disciplinare «dobbiamo, per questo, perfezionare gli studi e trovare il metodo di confezionamento adatto. Un altro fatto da tenere in considerazione, oltre al materiale da utilizzare, è il peso minimo che queste confezioni mono dose devono avere, e a tal proposito il disciplinare ci limita: il minimo è di cento grammi. Ci sono state fatte richieste specifiche per cerimonie, come il realizzare vasetti di vetro con all’interno tre o quattro olive da circa dieci grammi l’una, ma vista la soglia minima che dobbiamo raggiungere, non è stato possibile soddisfare questo tipo di lavoro».

In conclusione, Jaschke – Ferreri ci rivela un fatto: l’attenzione nel corso della fase produttiva per le olive verdi e per le olive nere è esattamente la stessa.

Ciò che invece è mutato nel tempo è la percezione e la scelta di acquisto da parte del consumatore, inizialmente scettico che destinava il suo acquisto solo all’oliva verde.

Il successo per le olive nere è arrivato più tardi, e dopo un primo momento caratterizzato dal poco acquisto, probabilmente per via delle dimensioni e del colore scuro, oggi sono riuscite a pareggiare le olive verdi che, al contrario, non hanno mai incontrato ostacoli.

Con Maurizio Simeone ci avviciniamo a un’altra realtà, quella dell’oliva di Gaeta, in quanto ricopre il ruolo di presidente del Consorzio per le Tutela e la Valorizzazione dell’Oliva di Gaeta Dop.

La storia dell’oliva di Gaeta comincia nel 1600, commercializzata via mare ed esportata in tutto il mondo.

La zona di produzione della Dop, ad oggi, è concentrata in 44 comuni, e la cultivar di provenienza dell’oliva di Gaeta è l’Itrana, a triplice attitudine: «dalle olive bianche, raccolte tra ottobre e dicembre, si ottiene l’olio extra vergine d’oliva Dop delle colline Pontine. Sempre dalle olive raccolte nello stesso periodo si ricavano le olive in salamoia che per ora si chiamano olive di Itrana bianca. Le olive a maturazione inoltrata, dopo aver aspettato che si insanguano, ovvero che il rosso della polpa arrivi a macchiare l’osso, raccolte da marzo in avanti, danno vita alle olive nere itrane, che messe sotto acqua e sale con metodo al naturale previsto dal disciplinare, danno luogo, a loro volta, alle olive di Gaeta Dop».

L’oliva di Gaeta è un’oliva molto imitata, e uno dei motivi della nascita del consorzio, avvenuta nel 2010, è proprio quello di contrastare e inibire queste pratiche di imitazione. Dopo vent’anni di lotta tra la fazione che puntava all’Igp e l’altra alla Dop, si è conclusa in favore di quest’ultima.

Questa soluzione più radicale prevede la trasformazione delle olive nella reale riproduzione, essenziale per garantire margini di efficienza economica nell’area in cui le olive vengono prodotte.

Attualmente il Consorzio vede la partecipazione di 250 aziende, dove l’80% è composto dai produttori e il restante 20% da trasformatori e confezionatori.

Un’altra sfida che si pone il Consorzio è quella di aumentare il numero di produttori e di migliorare le condizioni di trasformazione dell’oliva d’Itrana nera in oliva di Gaeta Dop. Inoltre, il Consorzio sta attuando e lavorando sulle sotto misure del Piano di sviluppo rurale del Lazio a favore delle aziende iscritte.

È evidente come il ruolo del Consorzio sia necessario per la tutela e la promozione di questo prodotto, e a tal proposito Simeone ci ricorda che «prima che il consorzio si costituisse, le olive venivano vendute a un prezzo poco dignitoso per il lavoro che vi è dietro. Dopo la sua nascita, l’oliva ha acquisito un valore differente sotto tutti gli aspetti».

Cosmo di Russo, titolare dell’omonima azienda agricola afferente al Consorzio dell’oliva di Gaeta, esordisce con una grande affermazione «il Consorzio ci dà la possibilità di migliorare il nostro prodotto, con garanzie maggiori. L’azienda di cui sono titolare è a filiera chiusa, e ci occupiamo di trasformare completamente il nostro prodotto che, per questo motivo, esce a nostro marchio. Il confezionamento è caratterizzato da un forte equilibrio, in quanto utilizziamo la stessa salamoia in cui hanno riposato le olive per un lungo periodo. L’oliva nera itrana è più adatta per l’uso in cucina, elemento imprescindibile di tante ricette non solo della nostra zona. L’oliva bianca ricopre un ruolo diverso, più adatta nell’accompagnamento dell’aperitivo o nell’antipasto».

Con di Russo torniamo al concetto anticipato in precedenza dell’insanguamento, elemento estremamente caratterizzante della tradizione di questa oliva: «l’oliva, al suo interno, comincia a colorarsi e ad acquisire un colore violaceo. Nella drupa, questo colore arriva verso metà gennaio. A questo punto è fondamentale che ci siano tre, quattro giorni di gelo, sperando fortemente che avvengano in quel determinato periodo per due motivi: i giorni di gelo servono per dare una sterilizzazione a tanti patogeni che si possono sviluppare, ma soprattutto perché bloccano completamente la pianta. Quando questa riparte, lo fa con una vegetazione differente da quella avuta in precedenza. L’oliva rimane più piccola, aspetto molto positivo, ma comunque insangua. Se, al contrario, abbiamo un gennaio mite, la pianta continua a vegetare, l’oliva cresce con il rischio che non insangua correttamente e a marzo, aprile, avremo delle olive che non colorano. Le giornate di gelo, per questo, risultano necessarie per dare una corretta maturazione e colorazione, tipica dell’Itrana nera».

In quanto afferente al Consorzio, Cosmo di Russo ci spiega anche un aspetto cruciale «l’opportunità che si ha con la valorizzazione dell’oliva, e in particolare Dop, è l’unica strada che ci permette di poter programmare. Al contrario, si rischierebbe di non avere il prodotto ma di sostenere comunque le spese, senza riuscire a stimare programmi a lungo termine, in quanto la programmazione dell’olivicoltura è pluriennale: l’ulivo non dà risposte immediate. Alla luce di questo, quando il nome di una produzione viene qualificata, aumenta la richiesta, come successo negli ultimi anni, nonostante le raccolte scorse non siano state molto redditizie in termini di quantità, e, inevitabilmente questo ha portato a un aumento del prezzo».

L’ultimo consorzio che abbiamo conosciuto martedì è quello dell’Oliva Ascolana del Piceno Dop.

Barbara Alfei, responsabile del settore olivicoltura presso Assam.

L’oliva Ascolana tenera si veste di molteplici usi, come l’oliva verde in salamoia, l’oliva ripiena e fritta, ma non solo: dall’oliva Ascolana tenera si ottengono anche oli mono varietali, tra cui l’Igp Marche.

Il nome di questa oliva la lega in modo particolare al territorio e l’Ascolana tenera rientra in uno studio di valorizzazione e progettazione di olivicoltura nelle Marche

«Una delle parole chiave da utilizzare quando si affronta questo concetto è biodiversità, quindi questo ricco patrimonio di varietà che vogliamo valorizzare. La compatibilità ambientale, altro concetto, sta assumendo sempre più importanza in un’epoca caratterizzata dai cambiamenti climatici. Si arriva, poi, al concetto di terroir che stiamo concretizzando negli ultimi anni, dove quel determinato territorio esprime delle caratteristiche che non sono ripetibili in altre aree. Il terroir porta con sé termini come clima, terreno, varietà, storia, cultura, paesaggio, e ricette. Alla base di tutto c’è il produttore, che deve essere equamente retribuito per l’impegno e il lavoro dietro ai prodotti. L’olivicoltura, infatti, ha bisogno di professionalità».

Bisogna conoscere bene la varietà, i suoi pregi e i suoi punti deboli, solo così è possibile gestirla nel modo più corretto.

Ad oggi «si sta facendo sempre di più dal punto di vista della trasformazione e della sperimentazione e sono in corso molti progetti specifici. Come dicevamo, l’Ascolana ha una destinazione come potenziale fonte di reddito sia come olio, sia come oliva in sé. La produzione come oliva presuppone determinati impianti e attrezzature, ma un’attenzione particolare deve essere data anche alla scelta dell’oliveto: la densità dell’impianto e le tecniche di potatura devono essere rispettose della struttura della pianta. Quando si parla di Ascolana bisogna specificare a quale Ascolana ci si riferisce, perché l’Ascolana tenera ha determinate caratteristiche non sono uguali a quelle che delineano l’Ascolana dura. La Dop è riferita all’Ascolana tenera. L’impegno che stiamo portando avanti come Assam è uno studio sugli olivi secolari delle principali varietà autoctone delle Marche, cercando di scoprire le loro origini sempre più a fondo. Queste piante sono simboli di un passato che da sempre caratterizza le Marche, in modo particolare la zona di Ascoli – Piceno e i comuni limitrofi. Vantiamo un prodotto imitato e replicato con altre varietà, merita quindi tutte le attenzioni possibili».

Leonardo Seghetti, professore dell’IIS “Celso Ulpiani” Istituto agrario Ascoli Piceno, conclude gli interventi di questa penultima giornata di lavori.

Il 2005 è l’anno in cui l’oliva Ascolana ottiene il riconoscimento Dop.

La territorialità ha un ruolo fondamentale: il disciplinare prevede che la carne per il ripieno dell’oliva all’Ascolana provenga da animali allevati nella regione Marche, e vanno osservati sia i tipi di carne che si possono utilizzare, sia le quantità necessarie.

Nelle olive ripiene si deve vedere il fondo verde, quindi la panatura non deve rimanere aderente, cosa che spesso accade quando si cerca di imitare questo prodotto.

Nel corso dell’intervento è stata affrontata una questione che ha suscitato grande interesse, ovvero ciò che concerne la deamarizzazione biologica, quindi senza l’uso della soda: «ciò che abbiamo ottenuto è stata un’integrità dei tessuti vegetali; una riduzione dell’utilizzo di sale e acqua; nessuna produzione di reflui inquinanti; maggiori contenuti di sostanze fenoliche nelle olive e croccantezza. Infine, questo sistema ha portato anche ad un miglioramento delle caratteristiche organolettiche, con un solo svantaggio dato dal processo di deamarizzazione molto lungo, di circa sei mesi. Stiamo ancora tentando la selezione di batteri lattici che, agendo, accellerano il processo di deamarizzazione per migliorare anche l’aspetto del colore dal momento che un periodo così lungo comporta la perdita del verde brillante dell’oliva. Da due anni stiamo portando avanti una sperimentazione: recuperiamo l’anidride carbonica dai mosti e la utilizziamo per deamarizzare le olive. Per adesso, i primi risultati ci danno ragione e ciò ci conforta. Dalla fermentazione del mosto, dalla fermentazione degli zuccheri, si produce il 46,6% di anidride carbonica. Recuperandola vengono ridotte le emissioni in atmosfera e viene, invece, impiegata nella crescita di giovani piantine di olive in serra condizionata, oltre ad essere impiegata nel processo di deamarizzazione. Per questa ricerca sono stati coinvolti diversi operatori e l’Università, ottenendo un finanziamento. Purtroppo, con i mezzi dei produttori e dei consorzi, è impensabile avviare una ricerca. Bisogna quindi avere la capacità di progettazione e saper cercare i fondi dove potrebbero essere disponibili, e credere in questo lavoro perché senza ricerca non c’è progresso».

Si è così concluso il penultimo appuntamento di questo ciclo di incontri. Olio Officina Magazine è media partner dell’iniziativa, e pertanto vi aspettiamo martedì 7 dicembre per assistere all’ultimo webinar del lungo ciclo di incontri del Progetto Alive. Importantissimo e fondamentale il contributo del Comitato scientifico che ha approntato l’intero ciclo di webinar, ed esattamente ci riferiamo al biologo Innocenzo Muzzalupo, del Crea-Olivicoltura, frutticoltura, agrumicoltura, all’agronomoa Carmela Pecora, del Consiglio dell’Ordine Nazionale Dottori Agronomi e Dottori Forestali, e al biologo Giovanni Misasi, coordinatore della Commissione Ambiente, territorio e paesaggio, dell’Ordine Nazionale Biologi di Calabria.

In apertura, le olive all’ascolana, una foto di Tipicità Marche

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