Codice Oleario

I fans dell’olio amaro e piccante

Cosa accadeva in tempi nemmeno tanto lontani - anzi, a dire il vero in anni recentissimi, riferiti al secolo in corso - a tutti coloro che oggi osannano a spada tratta solo l’extra vergine possente, quando invece l’olio prodotto e consumato in tutte le regioni aveva prevalentemente un sapore dolce, e comunque per nulla marcato nelle sue note amare e piccanti? Dov’erano, allora, in quei tempi, tutti i patiti delle note sensoriali così spiccate? Cosa facevano e, soprattutto, cosa è cambiato in loro, a parte la migliore qualità delle produzioni oggi disponibile sul mercato?

Luigi Caricato

I fans dell’olio amaro e piccante

Per quanto mi riguarda, la mia preferenza di gusto è tutta per l’olio possente, dal fruttato intenso, possibilmente erbaceo, e, in ogni caso, piuttosto marcato nei profumi, oltre che nelle sensazioni tattili e chinestetiche percepite in bocca. Se poi vi è anche una nota astringente, tanto meglio. Provo un piacere immenso per gli oli dai sentori e dal gusto intensi, anche se non rinuncio mai a ottimi oli dal fruttato leggero e perfino dolci, capaci di farmi sognare, e sicuramente i miei preferiti per abbinarli ad alimenti verso i quali risultano più indicati. Di tutte queste mie predilezioni, c’è ampia documentazione nei tantissimi articoli scritti da me in passato, pubblicati su svariate riviste, divulgative e tecniche, oltre che nei miei libri, testi scritti da me in tempi in cui la gran parte di coloro che oggi si reputa appassionata cultrice di tale materia prima, ancora doveva evidentemente svegliarsi dal letargo, o forse non era ancora nata.

Oggi, osservando bene intorno a me, e in particolare leggendo nella grande giungla dei social, resto molto sorpreso dalle battaglie cruente cui assisto ogni giorno da parte di chi vuole ad ogni costo imporre l’amaro e il piccante dell’olio anche a chi non lo apprezza e non lo gradisce, esprimendo un rifiuto netto se non addirittura denunciando un certo fastidio fisico.
Ne conosco tante di persone che amano un olio delicato, fine, elegante, senza toni accentuati. Un olio che serva per condire amabilmente ogni pietanza, versatile, morbido, dal gusto rotondo, senza eccessi. Perché allora imporre un proprio personale gusto a chi desidera tutt’altro? È un approccio sbagliato, inconcludente.

Ora, però, veniamo alla mia storia personale: perché io amo l’olio amaro e piccante? La risposta e semplice e immediata: perché la mia predilezione va per extra vergini capaci di racchiudere in poche gocce l’essenza stessa di un frutto che sappia esprimere sapientemente un carattere altrettanto netto. L’oliva, se avete ben notato, è di per sé amara, al gusto, va infatti deamarizzata, prima di poterla consumare tal quale come oliva da tavola. C’è bisogno di una lavorazione che la renda consumabile, fruibile senza alcun fastidio. Ebbene, tutta quella carica di molecole contenuta nel frutto, a me piace sentirla viva e possente nell’olio. Amo i gusti forti, come nella letteratura, nella musica, nell’arte; ma questo è, appunto, un mio gusto personale, non mi sognerei mai di imporlo ad altri. Ognuno fa le sue scelte naturali, quelle per le quali si sente più vocato.

Chi apprezza la qualità di un olio extra vergine di oliva, e ne conosce a fondo anche le dinamiche di produzione, sa bene che il frutto non ancora maturo esprime il meglio di sé, caratterizzandone l’olio che si estrae.
È evidente che un olio realizzato alla perfezione sia dotato di una certa personalità, indipendentemente dal fatto che si tratti di un olio dal gusto delicato oppure strong, perché poi, alla fine, esercitano un ruolo determinante anche le stesse cultivar, come pure le aree di produzione, oltre a tanti altri fattori.

Oggi, complessivamente, la qualità è un dato acquisito da tutti gli olivicoltori, seppure non in senso assoluto, ma resta comunque il fatto che l’olio sia decisamente da considerarsi migliore rispetto a un passato nemmeno tanto lontano.
Eppure, nonostante ciò, nonostante tale evidenza, c’è chi insiste fissandosi su alcune caratteristiche sensoriali che dovrebbero invece essere sganciate da logiche esasperanti che tendono a forzare la mano, con l’illusione che tutto l’olio prodotto debba obbligatoriamente, per rispondere a criteri di qualità assoluti, esprimere toni di amaro e piccante pronunciati e netti, pensando dunque a un olio che sia il più amaro e piccante possibile. Non è così. L’olio può essere delicatissimo, ma non per questo sprovvisto di personalità, anche quando non è smodatamente amaro e piccante.

Si può anche anticipare la raccolta delle olive, ma questa tendenza a mostrare i muscoli, solo per farsi notare, non è la strada tecnicamente adeguata per sentirsi sicuri di aver fatto un olio di qualità.
Quanti sono gli oli amari e piccanti indecenti? Squilibrati, con eccesso di nota verde, dovuta molto spesso a presenza di foglie e rametti, o a esasperazioni nel processo estrattivo? L’olio deve esprimere la propria identità, nella logica conseguente della cultivar o delle varietà da cui l’olio si estrae. A poco serve inseguire il falso mito dell’amaro e del piccante quale sinonimo di qualità assoluta e indiscutibile. Non sempre è così.

Oggi ci sono troppi fans dell’olio amaro e piccante in circolazione, che nemmeno riesco a immaginare cosa facessero in tempi neanche tanto lontani – e si parla, per essere precisi, solo di pochi anni fa – ovvero in tempi in cui la nota amara e piccante degli extra vergini apparteneva solo a pochi oli, e peraltro di ristretti areali produttivi.

Come vivevano? Dove si rifugiava tutto questo nucleo di fans dell’olio amaro e piccante? Come comunicavano tra loro prima che venisse fuori la moda dell’olio amaro e piccante? Mancando oltretutto in commercio tali oli, uno si chiede come si alimentavano qualche anno fa i tanti fans accaniti di oggi.
Se, dopo anni e anni di mie degustazioni di oli provenienti da ogni dove, gli extra vergini amari e piccanti si riducevano a un numero esiguo, come risolvevano, appunto, i fans dell’amaro e piccante, una necessità oggi divenuta per loro così essenziale?

Al riguardo, io ammiro un mio collega giornalista (che però non si occupa d’olio, anche se tratta comunque il tema dell’agroalimentare in modo professionalmente impeccabile) quando mi implora di indicargli produttori che facciano oli dolci, visto che tutti oggi, condizionati dalle mode, sono così fortemente contrari a produrne come invece avveniva un tempo – e, dolci, badate, non perché tali oli siano cattivi, ossidati, ma in quanto non esasperati nella loro nota amara e piccante.

Alla fine mi dico che le mode passano, e presto ci si renderà conto che la qualità non è tutta ravvisabile nella intensità e quantità di amaro e piccante, ma nel profilo complessivo che rende un olio buono o, quando è il caso, anche eccellente.

Vi ricordate tutta quella mania di alcuni produttori di vini che imponevano ai consumatori vini muscolari, possenti, da meditazione, da annusare, sorseggiandone un poco sollevando lentamente il calice?
Alla fine, tutti quei vini barricati hanno segnato una sonora sconfitta, per chi li ha prodotti, dopo un iniziale apprezzamento del mercato, perché a essere realmente consumati erano invece i vini facili, ma non per questo banali o elementari, facili nel senso di semplici, fino a rendersi piacevolmente e gradevolmente bevibili.

Lo stesso vale per l’olio. Non è l’esibizione del grado di vigore e di carattere che fa la differenza, ma la sapienza nel realizzare oli che possono essere dolci quanto amari, purché esprimano realmente una qualità autentica, non frutto di esasperazioni.
Alla fine, ciò che conta, non è la qualità che si camuffa dietro a una esagerata nota amara e piccante, ma la capacità di interpretare al meglio ciò che potenzialmente è contenuto nell’oliva, ma senza forzare la mano, senza snaturare l’essenza stessa dell’olio contenuto nel frutto.

Fare un olio amaro e piccante lo possono fare tutti, la tecnologia aiuta moltissimo, basta osservare le buone regole e si ottiene un olio di qualità, ma saperlo fare con tocco da maestro non è da tutti.

Un messaggio, in chiusura, ai produttori: provate a fare un olio delicato, dal fruttato leggero che sia straordinariamente efficace e potentemente espressivo, senza dover essere obbligatoriamente amaro e piccante, come certe mode impongono oggi. Sta qui la vera sfida della qualità: ottenere un olio delicato, elegante, fine, senza forzature, ma con l’ingegno di chi sa affidarsi alla tecnologia, sapendola utilizzare al meglio, correttamente, e far valere tutta la propria competenza, frutto di grande professionalità.
Gli altri facciano pure l’olio insistentemente amaro e piccante, illudendosi con ciò di essere bravi solo per questo, voi, invece, pensate a fare l’olio buono, non tradendo mai la materia prima di partenza, ma assecondandola così da trarne la vera personalità contenuta nel frutto.

Un messaggio anche ai fans dell’olio amaro e piccante a tutti i costi: ma voi, dove eravate – vi prego di dirmelo con tutta sincerità – quando l’olio amaro e piccante non era così in voga come oggi, ed era anche difficile reperirlo sul mercato?

Un messaggio infine ai consumatori: non fatevi ingannare da chi vi vuole imporre un proprio personale gusto. Lasciatevi sedurre da un olio extra vergine di oliva per le sue caratteristiche distintive, purché alla prova della cucina risulti di vostro gradimento. L’olio ricavato dalle olive è buono, e talvolta anche eccellente, quando si percepisce la freschezza del frutto, quando sentite tutto il piacere al naso, e quando in bocca, nelle sensazioni anche tattili, oltre che al gusto, ne apprezzate appieno i sapori, l’effetto condente, l’armonia, la pulizia che vi lascia in bocca subito dopo.
Lasciate perdere quanti parlano a vanvera, raccontando quel che voi non trovate e non avete mai trovato in un olio, abbandonatevi piuttosto al piacere personale che è l’unico parametro cui dovete ubbidire.
Consumate olio di qualità senza condizionamenti, scegliendo con saggezza, e soprattutto senza mai smettere di fare confronti tra tutti gli oli presenti in commercio.
Ogni volta acquistate un olio differente, fino a che non trovate i vostri oli preferiti. Le chiacchiere, lasciatele a chi ha voglia di perdere tempo nell’inutilità e caducità delle mode.

La foto di apertura è di Mario Sguotti

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