Codice Oleario

L’oliveto? E’ un pozzo di carbonio

E’ stato dimostrato in Umbria, determinando la carbon footprint (ovvero la quantità di gas a effetto serra prodotta nell’intero ciclo di vita di un prodotto) in sette oli extra vergini di oliva, con il duplice obiettivo di inserire l’indicatore di impatto ambientale nelle etichette e di verificare se gli oliveti possano essere considerati agrosistemi in grado di assorbire più CO2 di quella che viene emessa nel corso della produzione dell’olio

Marcello Ortenzi

L’oliveto? E’ un pozzo di carbonio

I risultati di un progetto di ricerca finanziato dalla misura 124 del vecchio PSR umbro, presentati a Trevi dell’Umbria, hanno riguardato la sostenibilità dell’olio d’oliva extravergine relativamente all’assorbimento della CO2. Il progetto denominato “ECO2LIO – Carbon footprint dell’olio extra vergine di oliva umbro” ha analizzato la sostenibilità della filiera olivicola – olearia determinandone gli effetti sulla mitigazione dei cambiamenti climatici ed è stato realizzato in partnership tra 3A Parco Tecnologico Agroalimentare dell’Umbria, Aprol Perugia (Coldiretti), Università degli Studi di Perugia e diverse aziende olivicole e frantoi del territorio.

Nel corso dei due anni di progetto è stata determinata la carbon footprint (impronta di carbonio, ovvero la quantità di gas a effetto serra prodotta nell’intero ciclo di vita di un prodotto) di 7 oli extra vergini di oliva, con il duplice obiettivo di inserire questo noto indicatore di impatto ambientale nelle etichette, ma anche di verificare se gli oliveti possano essere considerati un “pozzo di carbonio”, cioè agrosistemi in grado di assorbire più CO2 di quella che viene emessa nel corso della produzione dell’olio.

Sono stati monitorati oltre 70 ettari olivetati, con un campione significativo su oltre circa 24000 piante (età media 70 anni) appartenenti alle cultivar tipiche umbre. L’analisi sperimentale ha evidenziato, con criterio scientifico, che la carbon footprint dell’olio è tanto più bassa quanto più la coltivazione è biologica o usa metodi tradizionali e tecniche biologiche. Al contrario, l’impronta di un olio prodotto in Italia, ma con olive non italiane, o per le quali si è fatto ricorso all’uso di prodotti chimici, è notevolmente più alta.

Inoltre il monitoraggio sperimentale ha permesso di determinare quanta CO2 può essere assorbita da un oliveto e come questo valore riesca non solo a compensare, ma addirittura a superare, le emissioni di gas effetto serra determinate dalla produzione di olio. Per le aziende esaminate, infatti, il bilancio netto tra la CO2 immagazzinata e quella emessa è sempre positivo: si arriva a quantità di CO2 equivalente assorbita 6 volte superiori rispetto a quella emessa (rapportate al litro di olio). Il progetto ha permesso pertanto di dimostrare come un oliveto, coltivato con tecniche biologiche, può produrre olio e catturare CO2 contemporaneamente, diventando così strumento di mitigazione dei cambiamenti climatici, in grado di generare “crediti di carbonio” per il mercato volontario: in tal modo anche oliveti marginali, potrebbero mantenere competitività e si eviterebbe l’abbandono di aree economicamente e agronomicamente marginali. I risultati ottenuti dal confronto tra gli impatti associati alle operazioni di filiera e la quantità di carbonio assorbito dai diversi agro-ecosistemi sottolineano il ruolo di carbon sink dell’oliveto, introducendo interessanti prospettive sul ruolo dell’agricoltura nelle politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici.

Il progetto Eco2lio ha dimostrato come l’innovazione di processo, implementando tecniche e tecnologie ecocompatibili lungo la filiera olivicola-olearia, possa aumentarne la sostenibilità valorizzando al contempo un prodotto d’eccellenza italiano sui mercati esteri, più sensibili alle informazioni ambientali. E’ stata evidenziata,inoltre, la concreta opportunità per le aziende di avvicinarsi a un sistema di produzione sempre più spinto verso la sostenibilità e il risparmio energetico.
La ripetibilità del progetto anche in altre regioni dimostra come l’innovazione e la ricerca applicata possano diventare un’arma vincente per difendere non solo l’oro verde ma anche il paesaggio tipico delle colline umbre.

La foto di apertura è di Luigi Caricato

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