Codice Oleario

La malattia dell’abbandono

Si dà la colpa alla Xylella fastidiosa, ma questa sarebbe riuscita ad aggredire piante vigorose, ben potate, ripulite da polloni e succhoini, con terreni dissodati, fertilizzati ed irrigati se necessario?

Maria Lisa Clodoveo

La malattia dell’abbandono

Riflettere apre sempre a nuovi pensieri. Sono così capitata sull’articolo di Giuseppe Vergari che parla della Xylella e della condanna a morte degli ulivi pugliesi (QUI). Le parole dell’agronomo salentino si sono intrecciate con quelle di una versione di latino di mia figlia scritte da Valerio Massimo: Senectui iuventa ita cumulatum et circumspectum honorem reddabat, ut maiores natu adulescentium communes patres essent.

Non dicono altro che un tempo gli anziani erano onorati in quanto considerati “padri di tutti”. Ma questi olivi secolari salentini non sono forse i padri della nostra identità e della nostra cultura? La Xylella è la malattia dell’abbandono. Abbiamo trascurato e dimenticato queste antiche sentinelle che da millenni presidiano le nostre terre arricchendo la popolazione e sfamando i nostri figli.

Oggi gli alberi maestosi sono un peso ingombrante, un costo troppo alto da sopportare. Non curati, non potati, sono fragili ed esposti alle malattie.

Nessuno piange o urla per centinaia di mastodontiche piante che soffrono abbandonate in uno degli angoli più belli del Mediterraneo. Si dà la colpa alla Xylella, ma questa sarebbe riuscita ad aggredire piante vigorose, ben potate, ripulite da polloni e succhoini, con terreni dissodati, fertilizzati ed irrigati se necessario?

Molti ricercatori sono alla ricerca di una soluzione “chimica” a questo male. Potremmo ripartire invece dalla cura e dal rispetto, dall’applicazione, anche coatta, delle normali e necessarie pratiche agronomiche e, in estremo, con azioni di sequestro degli oliveti abbandonati: chi non sa raccogliere l’eredità ricevuta dai propri antenati non dovrebbe conservare il privilegio di possedere oliveti che ha condannato all’abbandono e alla morte.

La foto di apertura è di Francesco Caricato

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