Codice Oleario

La morìa degli olivi in Puglia

Si è avuta conferma scientifica che la varietà Leccino presenta interessanti caratteri di resistenza alla Xylella, ma il fenomeno desta ancora preoccupazione e non è più circoscritto al Salento. Sarà di conseguenza risolutiva soprattutto la lotta al vettore, piuttosto che al batterio, così come fu risolutiva la lotta alla zanzara anofele piuttosto che al plasmodio per liberarci dal flagello della malaria

Angelo Godini

La morìa degli olivi in Puglia

Ho letto l’estratto dell’articolo titolato “Convivere con la Xylella”, comparso su Olio Officina del 29 giugno 2016. È tanto che conosco l’argomento e ne discuto col Prof. Martelli, commander in chief dell’Unità di ricerca che a Bari si occupa della spinosa e seria vicenda concernente la morìa degli olivi in Puglia (ormai non si può più parlare di solo Salento). Si è dunque avuta conferma scientifica che la varietà Leccino presenta interessanti caratteri di resistenza alla Xylella. Ho usato il presente indicativo e non il condizionale per fare capire ai lettori che io considero assolutamente attendibili le ricerche condotte dall’equipe barese. Almeno fino a prova contraria.

Foto 1. Rappresentazione grafica della distribuzione territoriale delle 5 principali varietà d’olivo in Puglia

I ricercatori dell’Università di Bari hanno dunque portato a termine un importante studio che rientra nelle loro specifiche competenze scientifiche. Non vorrei che i risultati della ricerca, sebbene interessantissimi, rischiassero di far perdere di vista l’obiettivo, che non è soltanto quello di ingannare la Xylella ponendole di fronte un ospite oggi resistente come Leccino, ma quello di controllare la diffusione dell’epidemia nel resto del territorio regionale (e, aggiungo, nazionale).

Ad oggi, le varietà d’olivo che sono state severamente colpite da Xylella sono Ogliarola di Lecce e Cellina di Nardò, che popolano quasi in esclusiva l’olivicoltura della Puglia centro-meridionale. Con una differenza: mentre l’areale di Cellina di Nardò coincide grosso modo con la provincia di Lecce, quello di Ogliarola di Lecce è molto più vasto perché dal Capo di Leuca a sud-est si spinge fino ai dintorni di Bari a nord-ovest (Foto 1).

È vero che, così facendo, l’Ogliarola cambia ogni volta nome e diventa Pizzuta (a Taranto e Massafra), Cima di Fasano, Cima di Monopoli, Cima di Mola nei rispettivi comuni. Cambia nome, ma non cambia Dna per cui tutto fa pensare che non sia in grado di “mimetizzarsi” e di resistere alle “iniezioni” di Xylella da parte del vettore Philaenus spumarius, volgarmente detto “sputacchina”.

È stato così trovato il modo per rimpiazzare gli olivi uccisi da Xylella con una varietà d’olivo resistente: la toscana Leccino. Mi vedo costretto a ripetermi: non vorrei che un risultato tanto importante distraesse chi di dovere dal compito di vigilare e operare per frenare, controllare, combattere e vincere il binomio vettore-batterio nel resto della regione.

In altre parole, non vorrei che a qualcuno con facoltà di decidere venisse in mente che, trovata la soluzione, non c’è più bisogno di fare nulla, ma basta aspettare che il destino si compia e che, una volta compiutosi, si provveda a rimpiazzare alberi anche secolari di Cellina e Ogliarola, con giovani astoni da vivaio di Leccino. Con tanti saluti al paesaggio.

Pienamente d’accordo per la ricostruzione dell’olivicoltura nel Salento, ormai devastata dalla Xylella, così come i nostri connazionali – fatte le debite proporzioni – ricostruirono l’Italia devastata dalla scriteriata seconda guerra mondiale. Ma nel nostro caso ci troviamo di fronte a due facce dello stesso problema: ricostituire ciò che è stato distrutto e, in più, evitare che l’aggressore continui a seminare distruzione nelle popolazioni d’alberi d’olivo.

Foto 2. Panoramica degli splendidi oliveti tra Monopoli (Bari) e Fasano (Brindisi) cui fa esplicito riferimento L. Alberti nell’opera del 1577 citata nel testo

Lasciare che Xylella porti a termine il suo lavoro significherebbe mettere a rischio la sopravvivenza di qualcosa come 150mila ettari di oliveti, cioè la superficie attualmente occupata da Ogliarola e Cellina in Puglia. In altri termini assistere impotenti a morie all’interno di una popolazione di 10-15 milioni di alberi d’olivo, tra i quali molte migliaia di quelli monumentali, vanto della storia e della cultura dell’uomo, come quelli plurisecolari di Cisternino, Ostuni, Savelletri, Fasano, Monopoli, Mola di Bari ecc., perché tutti o quasi di varietà Ogliarola di Lecce e perciò sensibili a Xylella.

Proprio quelli che destarono ammirazione e stupore nel bolognese Leandro Alberti, che nel 1577, in “Descrittione di tutta l’Italia e isole pertinenti ad essa” ebbe così ad esprimersi nei riguardi degli oliveti tra Fasano e Monopoli (pag. 245): “….si veggono tanti olivi, e tante mandorle piantate con tal’ordine, ch’è cosa maravigliosa da considerare, come sia stato possibile ad esser piantati tanti alberi da gli huomini. Da i quali n’è cavato gran guadagno da i loro frutti e dagli habitatori del paese, essendo portati quà e là, per Italia e etiandio fuori”. Quasi certamente, si tratta degli stessi alberi che a noi è concesso di osservare oggi, 439 anni dopo la descrizione fatta da L. Alberti e la cui immagine ho ritenuto di allegare a questa mia nota (Foto 2). Scomparsi ormai da tempo i mandorli, sono rimasti solo gli olivi a disegnare il paesaggio.

Ho già spiegato in più di una circostanza che vedo come risolutiva soprattutto la lotta al vettore piuttosto che al batterio, così come fu risolutiva la lotta alla zanzara anofele piuttosto che al plasmodio per liberarci dal flagello della malaria. Anche perché un dubbio continua ad assillarmi per cui, se c’è qualcuno che se la sente di escludere, come esperienza insegna, che la Xylella non possa subire mutazioni che la portino ad aggredire, da qui a qualche lustro, una varietà oggi resistente come Leccino, per piacere si faccia avanti e mi rassicuri.

La foto di apertura è di Francesco Caricato

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