Codice Oleario

La potatura degli olivi tra vecchio e nuovo testamento

Ah, quella diavoleria del monocono. Che brutti però quegli alberi. Non si possono guardare. Sembrano cipressi. Il cipresso deve essere cipresso, non può essere olivo. Il potino di una volta? Guai a contraddirlo. Meglio gli “artisti della forbice” del passato che dedicavano almeno 30 minuti a pianta o chi è alle prime armi oggi?

Angela Canale

La potatura degli olivi tra vecchio e nuovo testamento

È diventata Toscana quando si è riempita di olivi, si, ogni tanto qualche cipresso, ma soprattutto olivi! Se c’è un luogo dove l’olivo viene onorato, forse oltre misura, quello è proprio la Toscana! Rispettato, coltivato e finalmente raccontato. Chiunque sia arrivato in questa meravigliosa terra ha colto l’arte, la c aspirata e il fruscio delle chiome degli olivi, e non è mai ripartito senza aver sentito raccontare di quanta cura durante l’anno si dedica alla pianta dell’olivo.

Niente è più importante della potatura per l’olivicoltore toscano! La semplice pratica di asportare rami improduttivi, qui si trasforma in arte, e l’artista si chiama potino. Anzi: signor Potino. Sa tutto di olivo, più di un maestro, e nessuno osa mai contraddirlo, a volte guida una squadra, ma spesso preferisce fare da solo. Non è che non sia in grado di insegnare, è che non è facile capire!

La categoria con gli anni si è sempre di più impoverita, e così senti dire: non è più come una volta! I giovani d’oggi non hanno passione, non vogliono più lavorare in campagna! Non sanno distinguere un ramo a frutto da un ramo a legno!

Arrivo in azienda, comune di Trequanda. Quindici ettari di oliveti, tutti ricostituiti dopo la gelata dell’85. Che tragedia! Meno 11 gradi centigradi e il sogno di tante generazioni che finisce. Quelle chiome meravigliose tutte mummificate, con tre notti di freddo. Ma chi si ferma è perduto, e tra lacrime e imprecazioni si è ripartiti.

Il mondo scientifico si divide, i più consigliano di aspettare la ripresa vegetativa e tagliare dove si notano segni di vita; i meno consigliano di ricostituire nuovi impianti, trasformare una tragedia in una opportunità! In alcuni casi succede che nuovi impianti prendono il posto dei cadaveri rimasti: 5×5 m, 6×6 m, 6×3 m; Leccino, Frantoio, Moraiolo, qualcuno azzarda Picholine, Coratina; vaso policonico, monocono; con l’irrigazione, senza. Non importa, l’importante è ripartire! L’età avanza, e si rischia di non vedere la prima fruttificazione!

Nella prestigiosa azienda in cui arrivo si allevano chianine e si fa un ottimo vino. Non si vuole rinunciare all’olio, ma soprattutto all’olivo. Non c’è altro luogo dove il senso estetico del paesaggio agricolo sia stato più curato, apprezzato e valorizzato che altrove.

Si comprende subito che le meravigliose colline che appaiono in tutta la loro bellezza non sarebbero più tali senza olivo. Si ricostituiscono gli impianti, quattro conti, giusto perchè occorre farli, e durante l’estate si preparano i terreni.

All’azienda Trequanda ripartono con le varietà locali. Forse non avranno resistito al freddo, ma mica tornerà di nuovo in quel modo! Quel che si cambia, è la forma di allevamento. Monocono! Bisogna meccanizzare. Raccogliere con una macchina. Uno scuotitore. Trent’anni fa rappresentava il futuro. Ma se nei primi anni è stato facile costituire il monocono, dopo il quinto se ne è persa la forma. Il potino non ce l’ ha fatta. Sarebbe andato contro natura, lui che a suon di forbicetta dedicava almeno 30 minuti a pianta, si sarebbe ritrovato con quattro micro tagli a gestire una chioma. E poi: che brutti quegli alberi! Non si possono guardare. Sembrano cipressi. Il cipresso deve essere cipresso, non può essere olivo.

Senza nemmeno chiedere a chi è responsabile dell’azienda, il potino decide che bisogna tornare alle origini. “Ragazzi, si capitozzano le piante, e dal prossimo anno 3-4 branche formeranno la chioma!”. Ma con gli anni il potino per cause di forza maggiore è dovuto andare in riposo e il futuro di ieri oggi è un presente ingestibile. Anche il paesaggio ne ha risentito. In seguito alle non potature forzate, gli oliveti da giardini curatissimi si sono trasformati in una macchia di vegetazione incontrollata.

Il potino non c’è più e se ci fosse non oso pensare quanto ci costerebbe. Ma l’olivo continua a essere elemento essenziale per l’azienda. Per la Toscana, per l’Italia, forse per tutti noi.

Bisogna rimetterci mano prima di poter meccanizzare. E già, il futuro di ieri oggi è potatura meccanica. E’ 15 ore per ettaro per anno di potatura, è espressione massima di produttività. Ho carta bianca, e allora decido per fare una potatura di riforma, di semplificare le chiome trasformate prima in vaso policonico, a 4-5 branche e poi diventate globi. E oggi, quasi macchia mediterranea.

Attraverso l’oliveto, scrutando le piante, sento già il rumore di forbici pneumatiche. Mi rincuora pensare che una squadra di giovani operai mi aspetta pronti a ridare dignità produttiva a questi ormai stanchi olivi. Trovo quattro signore armate di cappellino, guanti e forbici pneumatiche. Mi danno del lei, un po’ timorose, forse stanno osando troppo.

È vedendo me pensano che non c’è la potranno mai fare! Colgo in tutte loro una poco genuina c, aspirata, e allora per trovare un linguaggio amicale chiedo di dove siano.

Daria è marocchina, ma ci tiene a specificare che viene da Marrakech, e mi parla degli olivi lasciati nella sua terra, gli stessi che ha trovato qui.

Maria è calabrese, di Palmi. Vive in Toscana da diversi anni, e quando le dico che mio marito è nato nella sua terra mi sorride, quasi quasi vorrebbe abbracciarmi, ci scambiamo frasi in dialetto calabrese che ridendo riusciamo a capire solo noi.

Poi c’è Rita è Campana, di Caserta. Non posso fare a meno di dialogare anche con lei, accennando a frasi dialettali che da sempre mi sono familiari. Anche lei ha l’olivo nel bagaglio che si è portata quando con la sua famiglia si è trasferita in Toscana.

La quarta signora è di Sorano. Lei pronuncia una c aspirata, non posso sbagliare questa volta. Si aspetta la stessa domanda, e allora mi anticipa e prontamente mi dice: “nemmeno io sono di qui, sono maremmana, anche nella mia Maremma ci sono dei maestosi olivi”.

Una sana condivisa risata ci coinvolge, ognuna di noi viene da un Sud fatto di olivi e ora qui a prenderci cura di questi. Ammettono subito di non saper potare, di non averlo mai fatto. Ma è proprio questo quello che occorre. Dedichiamo una mezz’ora alle chiacchiere, semplifico al massimo quello che voglio ottenere ma non riesco a terminare i concetti che quasi mi anticipano nelle risposte.

Potiamo due piante insieme, ma dopo la seconda ognuna si impossessa della sua. Sarò stata io a trasmettere tanto entusiasmo o hanno già in mente la sfida con i colleghi che sono stati destinati in quei giorni ad altri lavori? Sono passate tre ore e le vedo già sicure, come il potino di 30 anni fa!

Prima di andare via non posso non fotografarle, ma quando dico loro di posare per una foto, dimenticano l’olivo e l’unico pensiero è mettersi in ordine, per essere oltre che brave anche delle belle signore.

Se il futuro di ieri è questo presente, io dico che mi piace. E all’azienda dico: ottima scelta!

Per commentare gli articoli è necessario essere registrati
Se sei un utente registrato puoi accedere al tuo account cliccando qui
oppure puoi creare un nuovo account cliccando qui

Commenta la notizia