Codice Oleario

La verità sul test del DNA dell’olio

Le analisi attuali permettono di risalire all’origine geografica o alla sola origine varietale? Esiste una banca dati che raggruppa i profili molecolari dell’intero germoplasma olivicolo mondiale? E’ sconcertante la grande superficialità nel trattare un tema così delicato. Una idea distorta di tale test porta a errate conclusioni da parte di chi lo applica, offrendo il fianco a prese di posizione altrettanto errate. L’applicazione di tale strumento deve avvenire mediante l’uso di prove oggettive, affidabili, ma soprattutto verificabili e condivisibili

Innocenzo Muzzalupo

La verità sul test del DNA dell’olio

Ascoltando la televisione, leggendo i social network e le riviste specializzate si sente molto spesso parlare di analisi del DNA dall’olio di oliva. L’argomento è arrivato anche nella fase investigativa e ha coinvolto alcune aziende ed imprese olearie italiane.
Leggendo e ascoltando alcune affermazioni, rimango però basito, perché vengono fornite informazioni che non sono del tutto corrette.
Riprendiamo alcuni argomenti ricorrenti e cerchiamo di fare chiarezza.

1. Il test del DNA dall’olio d’oliva
L’utilizzo errato del “test del DNA” porta, non solo, ad errate conclusioni da parte di chi lo applica ma, offre il fianco alle associazioni di categoria che assumono altrettante errate prese di posizione con cavilli burocratici come, la definizioni di metodo “non ufficiale” o “sperimentale”. Non è giusto demonizzare una metodica importante come quella dell’analisi del DNA da olio solo perché qualcuno non sa a cosa serve o non sa come usarla.

Per prima cosa diciamo in modo inequivocabile, ed una volta per tutte, che le analisi attuali del DNA da olio d’oliva permettono di poter risalire all’origine varietale e non all’origine geografica dell’olio stesso.
Che cosa vuol dire?
Facciamo un esempio. Dall’analisi del DNA si stabilisce che un olio d’oliva è stato ottenuto da solo varietà d’olivo autoctone italiane. Domanda: “si può anche affermare che questo specifico olio è stato prodotto in Italia?” La risposta è: NO.

L’affermazione che un dato olio sia prodotto in Italia è una pura supposizione che non si basa sui risultati del test del DNA. Infatti, nel caso in cui specifiche varietà di olive che hanno prodotto un dato olio d’oliva, NON siano autoctone italiane, non si può escludere che queste siano state coltivate in Italia oppure che l’olio non sia stato estratto in Italia, pertanto, non si può scartare l’ipotesi che quest’olio sia un prodotto italiano.

Per stabilire l’origine geografica dell’olio d’oliva devono essere utilizzate altre tecniche e metodiche come ad esempio l’approccio della spettroscopia nel vicino infrarosso (FT-NIR), l’esame del rapporto isotopico, la chemiometria, ecc., ma non l’analisi del DNA.

Il test del DNA permette di risalire in modo certo alle varietà di olive che hanno contribuito alla produzione dell’olio stesso, dunque serve per determinare l’origine varietale dell’olio d’oliva. Non è un risultato da poco, ma non si può dare altro significato al di fuori di quello che ha realmente.

Tra le sue più importanti applicazioni rientrano la verifica del rispetto dei disciplinari DOP e IGP ma anche, la tutela e la valorizzazione delle produzioni tipiche italiane. Le produzioni DOP ed IGP di olio così come di altre eccellenze agroalimentari, sono produzioni tipiche e la loro tipicità è fortemente legata alle caratteristiche del territorio di coltivazione. In particolare, per quanto riguarda l’olio, in entrambi i casi esiste un disciplinare di produzione che descrive dettagliatamente tutte le modalità di produzione e le varietà di olivo autoctono che devono essere utilizzate per estrarre uno specifico olio.

La presenza di varietà non riportate nei disciplinari rappresenta una violazione al disciplinare stesso. In questo caso l’analisi del DNA non solo è utile ma, è l’unica tecnica che permette in modo certo di affermare l’origine varietale dell’olio. Dunque, l’analisi del DNA non serve contro le frodi del “Made in Italy” ma, è un efficacissimo metodo contro quelle le violazioni dei disciplinari DOP e IGP. Ma non solo …

2. Database molecolare del germoplasma olivicolo

Uno dei punti cardini delle analisi del DNA è il confronto del profilo allelico ottenuto da un olio con una banca dati che raggruppa i profili molecolari dell’intero germoplasma olivicolo mondiale. Purtroppo, un database del genere attualmente non esiste, dunque si utilizzano le banche dati esistenti, pur presentando delle limitazioni.

Comunque, utilizzare un profilo molecolare di una pianta di olivo ritenuta “riferimento varietale” per l’analisi del DNA da olio, ottenuto da piante non presenti in un campo collezione riconosciuto dal MiPAAF, non solo non è opportuno ma forse è del tutto sbagliato.

Attualmente, a mia conoscenza, l’unica banca dati pubblica del germoplasma olivicolo in cui è possibile individuare la pianta che ha prodotto uno specifico profilo molecolare è quella relativa al sito del progetto CERTOLIO – certificazione della composizione varietale, dell’origine geografica e dell’assenza di prodotti di sintesi negli oli extra vergini di oliva (QUI) di cui il sottoscritto ha coordinato le attività. Tale aspetto non è da sottovalutare perché individuare la pianta (una varietà) d’olivo che produce un dato profilo allelico vuol dire rendere le analisi ripetibili nel tempo.

Il metodo scientifico definito da Galieo Galilei prevede infatti, che un dato scientifico deve essere: oggettivo, affidabile, verificabile e condivisibile. Spesso vengono riportati dati che sicuramente sono oggettivi ed affidabili ma, purtroppo non sempre questi sono verificabili e condivisibili, pertanto non sono da considerarsi dati scientifici secondo la definizione Galileana.

Nel caso del database creato nell’ambito del progetto CERTOLIO, ad ogni profilo molecolare SSR, sono associate le coordinate GPS della pianta di provenienza. Inoltre, mediante un’applicazione di Google maps è possibile individuare l’ubicazione delle stesse piante, direttamente nel campo collezione del CREA-OLI, sito presso l’Azienda Regionale per lo Sviluppo dell’Agricoltura Calabrese (ARSAC) di Mirto-Crosia. Inoltre, per 200 varietà sono riportate anche le schede elaiografiche pubblicate nel libro “Olive germplasm: italian catalogue of olive varieties” (QUI).

Il campo collezione sopra menzionato, con Decreto del MiPAAF (già Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste) del 16 giugno 1993 costituisce il Centro di conservazione e premoltiplicazione dell’olivo, sotto la responsabilità del CREA (già Istituto Sperimentale per l’Olivicoltura).

La FAO nel 2010 in “The Second Report on the State of the World’s Plant Genetic Resources For Food and Agriculture” (QUI), ha riportato che nel mondo sono presenti ben 2.629 accessioni di olivo e pertanto, la collezione del CREA-OLI (ITA401), con 443 accessioni di olivo rappresenta il 17% del germoplasma mondiale, e costituisce la prima banca del germoplsma ex situ al mondo per l’olivo. Nelle successive 5 posizioni riportate nel suddetto elenco, non risultano altre collezioni italiane.

Attualmente, il campo collezione del CREA-OLI raccoglie oltre 500 accessioni di olivo, tutte caratterizzate mediante i marcatori SSR, i cui i profili molecolari, come già detto, sono disponibili nel sito del progetto CERTOLIO. Inoltre, tutte le accessioni d’olivo sono contrassegnate da un passaporto varietale da cui è possibile risalire anche alle piante madri originarie.

3. Invasione in Europa da olio tunisino

Il vero problema di oggi non è l’importazione, senza dazio, dell’olio tunisino, bensì che il consumatore “tipo” italiano non conosce quel che mangia. Abitualmente, i consumatori quando vanno a fare la spesa scelgono i prodotti principalmente in base al prezzo. In periodi di crisi, come quelli attuali, la scelta risulta essere anche logica ma, molti consumatori, non conoscono la differenza che c’è tra: oli d’oliva vergini (extravergine; vergine e vergine lampante), oli d’oliva e oli di sansa e non sono in grado di poter svolgere autonomamente un’analisi sensoriale. In tal senso, risulta essenziale dare maggiori informazioni e soprattutto aiutare il consumatore a scegliere in base alla qualità e al giusto prezzo del prodotto stesso.

In tutti i casi, se il consumatore volesse acquistare un prodotto Made in Italy oppure un olio DOP o IGP, dovrebbe poterlo individuare con certezza. In realtà leggendo le etichette spesso questa certezza non si ha. Sarebbe dunque opportuno che le etichette presenti sui prodotti fossero più chiare e magari anche più tecnologiche. Oggi grazie ai codici QR, è possibile ottenere tutte le informazioni relative ad uno specifico prodotto tramite uno smartphone.

Come ho già detto in un’intervista recente (QUI), si sta realizzando un codice QR, che riportato sull’etichetta dell’oli di oliva vergini di alta qualità, darà certezze al consumatore, sull’origine varietale, sull’origine geografica e anche sulle caratteristiche qualitative e sensoriali dell’olio che sta acquistando. In questo modo il consumatore potrà direttamente verificare le caratteristiche e l’origine geografica e varietale del prodotto che sta acquistando.

Per chiunque volesse saperne di più può contattare l’associazione CibusLAB – laboratorio dell’analisi sensoriale per la tutela e la valorizzazione dei prodotti agroalimentari (QUI).

Ci sarebbero ancora altri argomenti da trattare come ad es. il caso dell’oli ‘Taggiasca’.
Questo, è un caso limite per l’analisi del DNA, infatti, come è noto, la ‘Taggiasca’ viene considerata sinonimo (nome diverso stesso profilo genetico) della ‘Frantoio’, della ‘Casaliva’, della ‘Correggiolo’, della ‘Ogliarola barese’, ecc., dunque in questo caso l’analisi del DNA potrebbe non risultare sufficiente a determinare l’origine varietale di quest’olio. Questi casi necessitano di maggiori approfondimenti e di strette collaborazioni tra gli enti di ricerca e il mondo produttivo locale che vuole tutelare una propria eccellenza.

Conclusioni

L’analisi attuale del DNA è un potente strumento che permette di determinare l’origine varietale di un olio d’oliva e pertanto tutelare e valorizzare i prodotti tipici italiani, come le DOP e le IGP. L’applicazione di tale strumento deve avvenire secondo le regole del metodo scientifico Galileano cioè mediante l’uso di prove oggettive, affidabili, ma soprattutto verificabili e condivisibili. Inoltre, è necessario che venga utilizzata una banca dati che contenga i profili molecolari di tutte le piante riconosciute come “riferimento varietale”.

C’è ancora da lavorare per sviluppare al massimo tutte le potenzialità della metodica del DNA e probabilmente, in un futuro non lontano, attraverso altre analisi di epigenetica, sarà anche possibile determinare l’origine geografica degli oli d’oliva. Ma per il momento dobbiamo accontentarci dell’origine varietale (scusate se è poco!!!).

Se si vuole finalmente fare chiarezza ed offrire un servizio utile:
– alla ricerca scientifica,
– agli operatori della filiera olivicola-olearia (dal produttore al consumatore),
– ed a tutta la società civile italiana

bisogna che controllori e controllati convergano gli sforzi verso un interesse comune cioè verso: la tutela e valorizzazione dei prodotti tipici italiani.

Ciò potrà avvenire solo garantendo informazione e qualità a tutti i consumatori.
Per fare ciò bisogna utilizzare tutti i mezzi a disposizione della ricerca scientifica che, non dobbiamo dimenticare, è finanziata da fondi pubblici.

La foto di apertura è di Lorenzo Cerretani

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