Codice Oleario

Le scuole di ricerca sull’olio

Quella italiana nel settore degli oli dalle olive era più avanti nella ricerca analitica sulle sostanze grasse di tutte le altre a livello mondiale, comprese quelle, molto attive, di area anglosassone. Oggi la situazione è molto più livellata a livello internazionale. La crisi economica e le scelte sbagliate dei recenti governi hanno reso più difficile, o rallentato molto, lo sviluppo di una scuola. Molti si trovano costretti loro malgrado a “emigrare” nell’industria o nei laboratori pubblici, in Italia e all’estero

Giovanni Lercker

Le scuole di ricerca sull’olio

I laureati che iniziano a lavorare all’università o in altro centro di ricerca, normalmente entrano in un gruppo di ricerca, usualmente con una borsa di studio oppure, oggi per i più fortunati, come dottorandi di ricerca. Anche al sottoscritto è capitato all’inizio dell’attività lavorativa, di fruire di una borsa di studio e ho avuto la grande fortuna di entrare in un gruppo di ricerca che aveva l’obiettivo di operare nel settore delle sostanze grasse.

I meccanismi dello sviluppo scientifico e culturale di questo settore scientifico attraversavano, negli anni 60-70, un momento particolarmente rivoluzionario in quanto legato alla contemporanea nascita e alla divulgazione di tecniche analitiche strumentali molto importanti: la cromatografia in fase gassosa (GLC o più semplicemente GC) -anche accoppiate alla spettrometria di massa (GC-MS)- e successivamente anche in fase liquida (HPLC).

La gas cromatografia, così chiamata ancora oggi, aveva avuto le sue prime applicazioni proprio nel settore delle sostanze grasse (almeno in Italia) e, in particolare, nell’analisi della composizione degli acidi grassi del burro.
In quel periodo, esistevano diverse scuole di ricerca in Italia sulle sostanze grasse, localizzate presso Università statali e centri di ricerca del Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste (MAF) e del Ministero dell’Industria. Tutte queste scuole, diverse operavano sull’argomento degli oli dalle olive, con particolare focalizzazione sulla composizione, sulla tecnologia e sulle possibili frodi da contrastare. Su questi argomenti operavano anche le strutture dello Stato più attive del settore del controlli antifrode degli alimenti.

Chi si occupava di sostanze grasse, in generale, studiava anche altri oli, oltre quelli ottenuti dalla lavorazione delle olive, in quanto potenziali fonti di miscele fraudolente con gli oli da olive. Dal punto di vista commerciale in quel periodo gli oli da semi erano tutti di prezzo inferiore anche agli oli di minore qualità degli oli da olive, quali gli oli di sansa.

Rappresentanti autorevoli di tutte le strutture erano inseriti nella Commissione governativa per lo studio e la messa a punto di metodi di analisi sulle sostanze grasse, la cui attività era sostenuta (per i rimborsi delle spese) dal Ministero stesso. In seguito, la Commissione divenne autofinanziata dagli stessi membri, in quanto a carico delle singole istituzioni di appartenenza, per mancanza di fondi destinati allo scopo da parte del Ministero. La Commissione era ed è tuttora composta da circa una metà di studiosi selezionati e dall’altra metà di rappresentanti dei settori del controllo analitico (controllo di qualità) tutti iscritti e votati dagli associati della Società Italiana per lo Studio delle Sostanze Grasse (SISSG), provenienti dalle associazioni produttive e dalle industrie olearie interessate.

Questo tipo di strutturazione della commissione di esperti aveva generato una stimolante e proficua attività di ricerca in vari argomenti, tutti però focalizzati sulla messa a punto di metodiche antifrode soprattutto nel settore degli oli da oliva. Il grande sviluppo di tecniche analitiche, quali le gas cromatografie e tutte le cromatografie in generale, aveva prodotto apparecchiature destinate allo scopo, di buon livello investigativo.

I gruppi di ricerca che avevano assoldato ricercatori di formazione chimica, come ad esempio quello del Prof. Pallotta e del Prof. Capella dell’Università degli Studi di Bologna, quello del Prof. Iacini e del Prof. Fedeli della Stazione Sperimentale per lo Studio degli Oli e dei Grassi, quello del Prof. Cucurachi e il Dott. Solinas della Stazione Sperimentale del’Elaiotecnica di Pescara, quello del Prof. Montedoro dell’Università degli Studi di Perugia, quello del Prof. Tiscornia dell’Università degli Studi di Genova, quello del Prof. Vitagliano e del Prof. Catalano dell’Università degli Studi di Bari, si trovavano più pronte rispetto agli altri gruppi italiani, proprio per un rapido ed efficace impiego delle nuove tecniche analitiche.

In tempi relativamente brevi, la maggior parte dei nuclei di ricerca – poi divenuti vere e proprie scuole – si allinearono e affrontarono le tematiche più importanti nei vari periodi successivi.
Si instaurò una specie di gara positiva e stimolante nei confronti della messa a punto di metodi di analisi e nello studio delle composizioni delle matrici oleaginose e delle sostanze grasse ottenibili da esse.

La Rivista Italiana delle Sostanze Grasse era l’organo di stampa scientifico più utilizzato da tutti, in Italia, abbondantemente riempita di lavori sull’argomento e sugli argomenti vicini.
In seguito con l’allargamento della ricerca a sostanze grasse prodotte anche a livello internazionale, fu possibile accorgersi che gli esperti delle analisi di controllo e di studio delle sostanze grasse erano praticamente solo italiani: la necessità di contrastare le frodi operate negli oli da oliva, aveva costretto ad un approfondimento delle ricerche e delle tecniche analitiche correlate particolarmente in questo campo.

La scuola italiana, seguita successivamente da quelle spagnola e tedesca, era più avanti nella ricerca analitica sulle sostanze grasse di tutte le altre a livello mondiale, comprese quelle, molto attive, di natura statunitense, anglosassone e tedesca.
Attualmente, la situazione sullo studio delle sostanze grasse è molto più livellata a livello internazionale, pur rimando privilegiato il settore degli oli da olive – soprattutto nel campo degli oli extravergini – e la prevalenza complessiva negli studi propria della Comunità Europea.

Credo che la nascita delle scuole già considerate sia stata sicuramente promossa da personaggi di livello culturale e scientifico non comuni, associati a ideali al di sopra di interessi personali per argomenti o per carriera. Non trascurabile, ritengo, sono da considerare anche il caso e la necessità: il primo caratterizzato dallo sviluppo delle tecniche analitiche strumentali, sicuramente assecondate dagli studiosi sugli oli e i grassi, mentre la seconda è stata rinforzata dalla volontà degli addetti ai lavori di investigare sulle possibilità del controllo analitico per combattere la piaga delle frodi nel settore degli oli ottenuti dalle olive.

Le scuole, però, hanno necessità per crescere di livello, di avere coordinatori capaci e di tanta attività di lavoro portata avanti dagli “allievi” più operativi, ma non per ultimo anche un po’ di fortuna.
È ben chiaro, tuttavia, che la scuola si sviluppa se chi ne fa parte assorbe lo spirito del gruppo e l’entusiasmo e l’intraprendenza del fondatore, proseguendo in seguito lo stesso genere di attività e lo stesso spirito associato alla cultura crescente nelle scelte scientifiche.

Ecco come e perchè nell’insegnamento sia universitario che ad altro livello, sia proprio l’entusiasmo la “benzina” più potente per far funzionare bene il motore della curiosità e del desiderio del relativo approfondimento, guida continua ed essenziale alla base della ricerca.

Diversi colleghi, molto validi scientificamente, non hanno saputo o potuto creare una scuola, per motivazioni varie, prima fra tutte quella di pretendere ed attendere personale o collaboratori alle proprie dipendenze che fossero loro assegnati dall’istituzione di appartenenza, senza fare nulla per crearsi da soli delle opportunità in merito.

All’università ciascuno di noi mirava a conquistarsi un collaboratore potenziale, inizialmente attraverso il ruolo di tutore in una tesi di laurea e in seguito con una borsa di studio, spesso legata a commesse di ricerca di interesse del finanziatore, di cui si faceva attore e responsabile. Questo era e forse in molti casi ancora oggi è l’unica possibilità, per cui chi aspetta le istituzioni o dei regali, non costruisce scuole o non contribuisce al loro sviluppo.

Una buona misura della qualità di una scuola non la fornisce la fama e l’attività del solo fondatore, ma il valore degli appartenenti alla scuola che nel tempo si sono fatti valere andando ai convegni ed emigrando anche in giro per l’Italia e/o all’estero in strutture famose, insieme al livello delle altre nuove scuole da essi fondate. Pertanto, come sempre accade anche con i propri allievi dei corsi d’insegnamento, il docente/ricercatore si misura attraverso la bravura dei propri Studenti.

Se poi si condizionasse lo stipendio dei commissari dei vari concorsi in relazione alla bravura o meno di quelli che loro hanno promosso nelle varie occasioni di esame, allora la nostra Nazione sarebbe piena di premi Nobel, italiani e non.

Attualmente, la crisi economica e le scelte sbagliate a riguardo dei recenti governi hanno reso più difficile o rallentato molto lo sviluppo di una scuola, ma i meccanismi dovrebbero essere gli stessi. Non solo, ma i propri studenti o addirittura i collaboratori sono costretti a “emigrare” nell’Industria o nei laboratori pubblici, sia italiani sia stranieri. In generale, se questi lavoratori sono veramente bravi, ma che per mancanza di fondi sono costretti ad andarsene con l’obiettivo di trovare collocazioni nella ricerca, saranno così preziosi per chi li accoglie da convincerli a non fare mai più ritorno alla struttura di origine, con un inevitabile spreco economico e scientifico relativa alla loro pregressa attività formativa.

Ora, se le strutture che li portano via dall’università e dai centri di ricerca in generale sono straniere, lo spreco economico per la nostra nazione nel formare tecnici ad un livello così elevato da trovare buona collocazione in nazioni come l’Inghilterra o gli Stati Uniti. Questo significa che l’Italia si comporta come se volesse regalare danaro – oltre che bravura dei singoli ricercatori – a quelle nazioni che certamente non dovrebbero averne necessità.

La foto di apertura è di Lorenzo Cerretani

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