Un aspetto cui tengo molto è la valorizzazione di tutta la categoria merceologica degli oli da olive: ovvero, in ordine di importanza e qualità, l’olio extra vergine di oliva, che rappresenta il vertice in assoluto, e, a seguire, secondo una logica di qualità decrescente, l’olio di oliva vergine, l’olio di oliva e l’olio di sansa di oliva.
Di fronte a questa piramide della qualità, consolidata ormai nel corso dei decenni, ritengo sia giusto assegnare a ciascuno di questi differenti oli il proprio rispettivo valore nutrizionale e sensoriale, senza che vi sia alcuna discriminazione.
Sostengo questo principio con convinzione da molti anni, e continuerò a sostenerlo finché ufficialmente esisteranno tali distinzioni commerciali. Poi, certo, tutto potrà cambiare in futuro, come è più volte accaduto, visto che ogni materia prima si evolve nel tempo, ma fino a quando rimarrà tale, questa scala di valore degli oli da olive va osservata e presa in seria considerazione.
A me dispiace che sia scomparso di fatto l’olio di oliva vergine, ottimo in cottura, negli usi quotidiani. Eppure di olio vergine se ne produce molto, è un prodotto che esiste. Che senso ha avere in commercio extra vergini di minore qualità quando è disponibile la categoria degli oli vergini, che per qualità si collocano a un gradino immediatamente successivo all’extra vergine?
L’extra vergine è stato in qualche modo depauperato in questi anni in cui sulla categoria si sono concentrate tutte le possibili promozioni, le più estreme, fino ad arrivare a bottiglie in sottocosto presentate addirittura a prezzi inferiori a un comune olio di oliva.
Non è accettabile questa distorsione, per questo occorre valorizzare questa piramide della qualità e non svilire le categorie diverse dall’extra vergine. Non tutti lo comprendono, perché capire e accettare la complessità significa avere una mente aperta e capace.
L’olio di oliva vergine va riportato sugli scaffali. L’olio di oliva incentivato nelle fritture, o in generale in cottura, o, infine, per chi non gradisce i sentori e i sapori intensi di un extra vergine, al posto degli oli da seme. E poi, nessuno abbia paura a pronunciare il nome: c’è il tanto bistrattato, odiato, perseguitato olio di sansa di oliva. Un errore, perché adatto in frittura, o nei prodotti da forno.
Alla quarta edizione del Forum Olio & Ristorazione segnalo l’intervento del professor Massimo Cocchi, biochimico della nutrizione, che interviene sul tema “Dalla sansa di olive un giacimento di salute: l’oleocantale”, dove emerge in tutta la sua evidenza la qualità nutrizionale degli oli estratti dalla sansa, ovvero dalla buccia, dalla polpa e dal seme dell’oliva. Tutto ciò per dire che cosa? Che se vi è un olio così complesso come quello ricavato dalle olive, che si presenta in quattro modi distinti, non dobbiamo certo contestarne la complessità.
A ciascuno il suo, in base anche ai differenti impieghi e modalità di utilizzo. Riusciremo in questo intento?
Il testo che ha appena letto è l’editoriale di apertura del numero 21 del mensile Oliocentrico, una pubblicazione riservata agli oleofili e che potete leggere cliccando QUI
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