Olivo Matto

Com’è buono l’olio del convento, ma che fatica produrre!

Luigi Caricato

Com’è buono l’olio del convento, ma che fatica produrre!

Sull’ultimo numero in edicola del mensile “La Cucina Italiana” ho dedicato la mia rubrica di luglio agli extra vergini delle comunità monastiche. Proprio una bella idea. L’ho fatto per ringraziare l’impegno di tanti monaci che hanno salvato nel medioevo l’olivicoltura nazionale. Oggi è tempo di dire grazie, dal cuore. Vi consiglio di leggere con attenzione. Intanto, per quanto mi riguarda posso dirvi che niente è più come prima. La vita in monastero non è più come una volta. Così come le aziende agricole a conduzione strettamente familiare versano in grandi difficoltà, anche i monasteri, e, per estensione, ogni altra comunità religiosa che abbia a che fare con la conduzione delle campagne, vive momenti difficili. I giovani religiosi studiano, non hanno tempo, mentre gli altri confratelli o non hanno più l’età, o cercano di fare il possibile per coltivare i campi, ma solo nell’ambito del proprio tempo libero. Per il resto, a complicare il tutto ci pensa la burocrazia. Anche per loro.

Burocrazia selvaggia. Sono troppe le formalità da osservare, ancjhe per i monaci. Ci vuole troppo impegno. Così, mentre i giovani disertano, perché poco attratti, gli altri fanno il possibile, ma per salvare gli oliveti, come pure ogni altra coltura a rischio abbandono, ci vuole una strategia comune. Gli operai esterni risolvono in parte i problemi, le comunità religiose più giovani, e soprattutto più numerose, riescono a gestire meglio le tenute agricole. Il risultato per fortuna è sempre l’alta qualità delle produzioni. Si tratta solo di veicolare meglio le bottiglie d’olio. Il commercio non risparmia nessuno.

Frate Lorenzo Saraceno, dei camaldolesi dell’Eremo di San Giorgio a Bardolino, lamenta le difficoltà nel vendere l’olio al prezzo giusto, remunerativo. Sono 16 gli ettari in loro possesso, di cui 9 coltivati a oliveto. “Si cerca di perdere il meno possibile e di ottenere il pareggio. Siamo dieci confratelli, ma la forza lavoro è composta da due sole persone. Io avrei dovuto occuparmi d’altro, ma lo faccio volentieri. Sono lontani i tempi in cui si forniva l’olio in tutti i monasteri della Germania. Non abbiamo più le forze per stare sul mercato, la grande distribuzione ci ha strozzato e ne siamo usciti fuori”, ammette.

In Francia esiste il gruppo “Monaster” che veicola i prodotti religiosi, sarebbe il caso di inventarsi qualcosa di analogo anche da noi. “Vendiamo quel che riusciamo, ma gestire una realtà agricola oggi è difficile”, ammette padre Lorenzo.

Come per le aziende agricole, che stentano, perché i commercianti sostengono che gli oli siano cari e i consumatori vogliono il prezzo basso, così anche gli oli della religione faticano a trovare spazi. “La collina oggi è piena di olivi, noi preserviamo il territorio coltivandolo”, aggiunge padre Lorenzo. Forse è il caso di sostenere gli sforzi di chi fa il possibile per resistere. E’ un grido d’allarme rivolto ai consumatori, lo stesso che echeggiano, inascoltati, gli agricoltori da tempo. La qualità d’altra parte ha un costo e va incoraggiata al momento dell’acquisto rendendo remunerativo lo sforzo di chi lavora.

Gli oli da me recensiti?

L’olio dei monaci Camaldolesi dell’azienda agricola Monte San Giorgio a Bardolino, in Veneto.

L’olio del Convento dell’azienda agricola Monte Carmelo a Loano, in Liguria.

L’olio San Masseo del Monastero di Bose ad Assisi, in Umbria.

L’olio Ogliarola della Fraternità di Bose di Ostuni, in Puglia.

I dettagli leggendo “La Cucina Italiana” di luglio.

Luigi Caricato

Per commentare gli articoli è necessario essere registrati
Se sei un utente registrato puoi accedere al tuo account cliccando qui
oppure puoi creare un nuovo account cliccando qui

Commenta la notizia