Un titolo simile può lasciare interdette le persone mediamente intelligenti, perché è evidente che si tratti di una forzatura. Tutti gli oli da olive, di quasiasi origine essi siano, sono infatti tra loro equiparabili, sul piano compositivo, e meritano di conseguenza – come è giusto che sia – la medesima considerazione. Non vi è d’altra parte alcuna differenza tra paese e paese. E se non fosse per i soli tratti peculiari, percepibili sul piano sensoriale, possiamo a buon diritto sostenere che tutti gli oli da olive siano in qualche modo uguali, pur nei loro tratti distintivi. Anche se, a voler essere precisi, lo stesso profilo chimico-fisico è a sua volta peculiare, pur restando uguali su un piano sostanziale. In ragione di ciò, per puro buon senso, è evidente che non si possa affermare che un olio da olive proveniente dall’estero possa far male, o che, comunque, sia da ritenere nutrizionalmente meno buono. Non è così.
Allo stesso tempo, un titolo simile, “Con gli oli stranieri la salute potrebbe risentirne”, può al contrario trovare invece largo consenso, soprattutto tra coloro che hanno una visione per certi versi razzistica e ostile verso ciò che proviene da un luogo diverso dall’Italia. Un po’ come se al di fuori del nostro Paese possa avvenire chissà cosa. Tale atteggiamento è purtroppo largamente diffuso, soprattutto dopo la persuasiva campagna di demonizzazione orchestrata da Coldiretti, insieme con i suoi seguaci, e con la complicità dei media che hann la grave colpa di non mettere mai in discussione quanto propinato dalla nota organizzazione agricola. Non mi stupisce, di conseguenza, che anche alcuni uomni di scienza possano cascare nell’equivoco, come è infatti capitato, lo scorso gennaio, con il professor Giorgio Calabrese.
Questa doppia interpretazione del titolo, “Con gli oli stranieri la salute potrebbe risentirne”, ci fa ben intendere come la questione oli da olive sia piuttosto controversa e apra a molte incomprensioni. Il che non è certo un bene, dal momento che a rimetterci è soprattutto il consumatore, oltre poi a un prodotto che fino all’altro ieri è stato sempre percepito alla stregua di un alimento salutare. Il rischio di ingenerare una sorta di psicosi collettiva, non è del tutto escluso, viste anche le massicce comunicazioni negative sul fronte degli oli. Il fatto che ci si muova ormai non più su basi scientifiche, ma su elementi fortemente impregnati di emotività, desta pertanto non poche preoccupazioni, potendo ingenerare incomprensioni e fraintendimenti.
Sostenere che “la salute potrebbe risentirne”, come ha testualmente espresso, nero su bianco, lo scorso gennaio – ma ne ho preso visione solo da poco – il professor Calabrese, mi sembra un’affermazione piuttosto azzardata. E ancor più grave è leggere della necessità di controllare i prodotti esteri, “specie l’olio perché, se non fosse anch’esso di alta qualità, potrebbe provocare danni metabolici di cui potrebbero soffrire oltre a noi italiani, anche i turisti di tutto il mondo”.
Ecco, crdetemi sulla parola, leggere, afirma di un personaggio noto che non passa giorno senza una sua dichiarazione pubblica, che vi possano essere danni metabolici consumando olio non italiano (e di conseguenza di alta qualità), mi sembra che l’ipotesi di un sovertimento del buon senso sia ormai una certezza con la quale dobbiamo tristemente conviveree. Resto francamente senza parole. Sapere che un rappresentante del mondo scientifico – un noto medico nutrizionista, per giunta docente universitario, e non un medico generico – faccia perno sulle spinte emotive di quanto sta cavalcando Coldiretti, facendole proprie, è per me un’amara, anzi deprecabile, sconfitta.
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